Galleria immagini: i vasi di Vulci

Alcuni dei vasi etruschi rinvenuti negli scavi archeologici di Vulci

Attingitoio (cm 19,5) 520-510 a.C.

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Il Crocifisso di Bosco ai Frati

di Salvina Pizzuoli

Come per gli umani, anche gli oggetti hanno un loro “destino” se così vogliamo chiamare le vicissitudini che spesso accompagnano e contraddistinguono il percorso di un’opera dell’ingegno e della creatività. Nel caso specifico ci riferiamo ad un crocifisso la cui storia ha dell’imprevedibile e pare più vicina al romanzo che alla vita reale.

È un crocifisso a grandezza naturale, 168 cm in altezza e160 in larghezza, in legno di pero e gesso e, come spesso capita per le vicende umane, ha avuto un’esistenza travagliata e piena di imprevisti, nella buona e nella cattiva sorte, fino a giungere a noi con il nome del suo fattore non sempre certo o accertabile, proprio perché non esiste una documentazione precisa che possa confermare o documentare la committenza, la provenienza e soprattutto come e perché abbia trovato una sua collocazione nel convento di Bosco ai Frati.

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Il Trittico di Nicolas Froment

di Salvina Pizzuoli

Datato 1461 fu donato da Cosimo I al Convento e poi ospitato nelle sale della Galleria degli Uffizi. Ritorna per breve tempo (fino al 30 aprile 2023) nel luogo che lo aveva in origine custodito. Oggi è esposto insieme ad altre pregevoli opere in una sala del Convento ed è qui che siamo venuti ad ammirarlo.

Vi sono raffigurate al centro la resurrezione di Lazzaro alla presenza delle sorelle Marta e Maria, protagoniste delle scene raffigurate a sinistra in cui Marta va incontro a Gesù sulla strada di Betania per avvisarlo della morte del fratello, mentre nello sportello a destra Maria rende omaggio a Gesù ungendogli i piedi con un balsamo profumato. Fu realizzato dal pittore francese Nicolas Froment e trasferito nelle collezioni granducali nel 1777, dal 1841alla Galleria degli Uffizi.

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Il Convento del Bosco ai Frati: la storia, il Trittico, la Chiesa e il Crocifisso

di Salvina Pizzuoli

Una storia antichissima che affonda le sue origini nel VII secolo, così lontane nel tempo che se ne sono perse le documentazioni ma di cui restano memorie: uno splendido convento situato oggi nel comune di Scarperia San Piero dentro un bosco di cerri, in un ambiente dalla bellezza rara e per le creazioni di madre natura e per gli interventi dell’uomo: ondulazioni lievi accompagnano il viaggiatore, una campagna lussureggiante e provvida dove i verdi intensi delle colture e il verde delle presenze arboree armonizzano accompagnando lo sguardo fino all’orizzonte segnato e limitato dai monti. L’ambiente pacato e rasserenante accoglie il visitatore, insieme al silenzio che domina tra gli alberi e tra le mura dell’ampio complesso architettonico. Siamo qui per ammirare nella loro antica collocazione opere d’arte poi trasferite per le alterne vicende e vicissitudini che accompagnano la vita degli uomini e delle cose.

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L’oratorio della Madonna del Vivaio a Scarperia

di Salvina Pizzuoli

Scarperia merita un viaggio e per i “Ferri taglienti” di cui va famosa e per il trecentesco palazzo dei Vicari e per l’antico centro storico che ne rispecchia la storia delle origini: fu infatti creata e voluta da Firenze come “terra nuova”, nel lontano 1306, ovvero come avamposto per reprimere e “frenare la superbia degli Ubaldini, o di altri del Mugello e di Oltr’Alpe”*, un avamposto munito di cui restano a testimonianza parti della cinta muraria e delle torri quadrangolari.

Scriveva il Repetti a tal proposito alla voce Scarperia del suo Dizionario:

[…] una deliberazione della Repubblica Fiorentina presa nel dì 29 aprile 1306, con la quale il consiglio dei cento, quello delle capitudini delle XII arti maggiori, il consiglio del capitano del popolo e difensore del Comune di Firenze, allora mess. Bernardo di Stellato Stellati di Fuligno, ed il consiglio del potestà, ch’era mess. Bino de’Gabbrielli da Gubbio, approvarono una provvisione de’ Priori delle Arti e del Gonfaloniere di giustizia di Firenze, la quale stabiliva l’edificazione di due Terre, che una di esse da farsi nel Mugello, e l’altra di là dalle Alpi fiorentine

Oggi Scarperia festeggia ancora in quel giorno, l’8 settembre, detto affettuosamente il  Diotto, la data della sua fondazione.  … continua a leggere L’oratorio della Madonna del Vivaio a Scarperia

Firenze settecentesca nelle “vedute” di Giuseppe Zocchi

La giornata di Giuseppe trascorreva trasportando rena per far calcina, insieme al babbo manovale nei cantieri delle ville signorili e della città e dei dintorni di Firenze, ma anche disegnando con il carboncino su quei bei muri intonacati di fresco che tanto scatenavano il suo desiderio di vedere realizzate le sue immagini fantasiose, anche a costo di sgridate e sguardi incuriositi. Fu così che il marchese Andrea Gerini ne scoprì l’acerbo talento e lo avviò agli studi perché potesse emergere in tutte le sue potenzialità. Fu quindi affidato agli insegnamenti di Ranieri del Pace un artista originale che aveva potuto sperimentare le botteghe romane e diffonderne le novità nelle terre del Granducato: era il lontano 1730.

Non è una leggenda e nemmeno una favola a lieto fine, è la storia di un talento messo fortunatamente a frutto nella Firenze del XVIII secolo.

Parliamo ovviamente del giovane Giuseppe Zocchi (1711-1767), fiorentino, e della sua prorompente passione per il disegno, divenuto poi incisore e pittore di fama e di cui si conservano in vari Musei del mondo le opere: dipinse a Firenze nel palazzo Rinuccini, decorò la galleria Gerini, ma anche la villa Serristori e il soffitto del teatro della Pergola. Numerosissimi i paesaggi e le vedute sia di Firenze che della Toscana, ma disegnò anche per lavori in pietre dure e per le illustrazioni di classici latini e molte delle sue opere furono poi incise, da altri e da lui stesso.

Nell’estate del 1744 dalla bottega di Giuseppe Allegrini “stampatore in rame” usciva la scelta di XXIV vedute delle principali contrade, piazze, chiese e palazzi della Città di Firenze tratte dai disegni dello Zocchi.

Ci piace allora riproporre alcune sue “vedute”, particolari e minuziose della Firenze di allora, in una Galleria di immagini che possano, per quanto minime, presentare e far conoscere le sue opere che, oltre all’apporto artistico, rappresentano un ampio documento a livello storico e antropologico.

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Siena – Il Palio del 1739

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La badia di San Salvatore di Vaiano in Val Bisenzio

Abbazia di San Salvatore

Giunti a Vaiano si nota subito il bel campanile che con i suoi 40 metri sovrasta l’abitato. La sua sagoma slanciata ed elegante contempla nella parte inferiore una sola monofora, mentre nei due ordini superiori una bifora su ciascuno dei quattro lati. Rivestita in alberese cui si alternano alcune fasce in serpentino ovvero in marmo verde di Prato, termina in alto con un coronamento aggettante, un rifacimento quattrocentesco, con merlatura. Datato XIII secolo, oltre alla funzione che gli era propria. svolgeva anche quelle di avvistamento e difesa.

Tutto il complesso abbaziale ha subito nel corso dei secoli vari rifacimenti e ristrutturazioni sia all’interno che all’esterno.

Una prima documentazione data la badia nel 1057 anche se la sua fondazione risale ai secoli precedenti dovuta ai benedettini Cassinesi, tra il IX e il X secolo. Sulla sponda destra del Bisenzio …   continua a leggere  La badia di San Salvatore di Vaiano in Val Bisenzio

Il monastero e la chiesa della Badia detta a Isola

L’antica leggenda racconta che la contessa Ava, vedova di Ildebrando signore di Staggia, donna pia e caritatevole, impietositasi per la condizione dei pellegrini che transitavano lungo la via Francigena nei pressi del piano paludoso che intorno all’anno Mille si stendeva tra Monteriggioni e la località successivamente detta Badia a Isola, costretti a salire fino alla cima del Monte Maggio per trovare un ricovero nel suo castello, decise di costruire, insieme ai figli Tegrimo e Berizio, un’abbazia con ospitale alla base orientale del Monte Maggio. Il monastero venne fondato e sostenuto da una ricca dote di beni nell’anno 1001, come da documentazione conservata nell’Archivio di Stato di Siena.  … continua a leggere  Il monastero e la chiesa della Badia detta a Isola

 

Pieve di Pernina sulla Montagnola senese

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Raggiungere la pieve romanica di Pernina sa un po’ di pellegrinaggio dovendo percorrere, volendo anche a piedi, strade bianche tra verdi boschi di lecci. La posizione è piena di fascino così com’è in un’ampia radura erbosa, il grande cipresso che svetta a sinistra e l’alto campanile a destra. A pochi metri, proseguendo lungo la strada sterrata, il Romitorio di Villa Cetinale e la Scala Santa, di 200 scalini scavati nella pietra, che li unisce e, dall’altro lato, a pochi metri dalla strada provinciale, il castello di Celsa: il paesaggio è da favola ed ha un sapore magico che solo il silenzio, interrotto da brevi cinguettii, può regalare al visitatore in una surreale visione d’insieme.  … continua a leggere  Pieve di Pernina sulla Montagnola senese