La via Flaminia da Foligno a Ravenna (quinto itinerario)

di Giovanni Caselli, da Le strade di Roma in Italia (vol.II°)

Flaminia da Foligno a Rimini

Poi la Via Flaminia entrava in Fulginiae (Foligno) e poco dopo vi era Forum Flaminii dove ritrovava la ‘militare’. Fino a Ponte Centesimo il tracciato attuale collima con quello antico; dopo il ponte la via scendeva sul Topino che traversava su un ponte distrutto dal tempo e dalla ferrovia, di cui rimangono pochi resti. Dopo Capodacqua la Via transitava su un viadotto costruito con blocchi calcarei in opera quadrata, con contrafforti. Passati per Pieve Fanonica, antica chiesa costruita in parte col pietrame delle Via Flaminia, si continua il percorso con l’immaginazione in quanto esso collimerebbe con quello della ferrovia Roma-Ancona. Dopo la galleria Valtopina, sotto il ponte ferroviario vi è un resto di un pilone di un ponte che aveva due arcate e mostra lo ‘stile’ augusteo.    …   continua a leggere  La via Flaminia da Foligno a Ravenna (quinto itinerario)

Vedi anche:

La via Flaminia dal Foro romano a Malborghetto (primo itinerario)

La via Flaminia da Malborghetto a Civita Castellana (secondo itinerario)

La via Flaminia da Civita Castellana a Carsulae (terzo itinerario)

La via Flaminia da Carsulae a Foligno (quarto itinerario)

Il castello di Campagnatico in Maremma

Conserva la sua antica struttura medievale, con la cinta muraria che, anche se frammentata e a tratti incorporata negli edifici abitativi, come spesso capita nelle operazioni di riutilizzo, si mostra ancora oggi in tutta la sua complessione originaria. Due ancora le attuali porte una che mostra il suo bell’arco aperto verso il centro abitato e l’altra che si intuisce e che viene ricordata nei cartelli storici prima dell’acceso a piazza Dante. Il nostro Poeta, in questo caso particolare, dà il proprio nome ad una piazza, come spesso accade per vie e strade e spiazzi nella nostra bell’Italia, di cui si rammentano i versi del canto XI del Purgatorio in cui il Nostro immortala un personaggio illustre della Famiglia comitale degli Aldobrandeschi, famiglia che detenne il suo potere su Campagnatico fino alle lotte portate dalla Repubblica di Siena nel XIII secolo al fine di sottomettere il castello.    … continua a leggere  Il castello di Campagnatico in Maremma

La Tirrenia costiera di Strabone

Ovvero la descrizione della costa dell’Etruria fra realtà e leggenda.

L’articolo è tratto da Giovanni Caselli, Viaggio nell’Italia romana.

Strabone fu un geografo e storico greco vissuto nel I° secolo a.C. autore della Geografia, monumentale opera descrittiva delle regioni europee e mediterranee.

Il territorio dell’Etruria secondo la ripartizione di Ottaviano comprendeva la parte che Strabone chiama Tyrrhenia

Dicono che la lunghezza massima della Tyrrhenia -la costa da Luna ad Ostia- sia di di 2500 stadi (nell’antica Grecia lo stadio corrispondeva alla lunghezza di 600 piedi, nel sistema attico era uguale a 177,60 m, nell’alessandrino e a Roma a 184,85 m n.d.r.), la sua larghezza (dalle montagne al mare) meno di metà della lunghezza. Da Luni a Pisa la distanza è superiore a 400 stadi; da qui a Volterra 280 e da qui a Populonium 270; da Populonium a Cosa quasi 800, ma alcuni dicono 600. Polibio, tuttavia, dice che in totale (da Luna a Cosa) vi siano addirittura 1330 stadi. … continua a leggere    La Tirrenia costiera di Strabone

Il pagliaio

di Luisa Gianassi

-Nonna raccontami di quando eri bambina nella grande casa del Pian dei Poggioli a Scarperia, che mi piace tanto…

-Va bene Elia, ti racconto di come salvai lo zio Tonio che stava cadendo dal pagliaio. Avevo circa la tua età, 9 anni, quando…

-Scusa nonna, ma cosa è un pagliaio?

-Hai ragione Elia, tu non puoi saperlo perché oramai i pagliai non esistono più. Tu sei abituato a vedere le presse e le rotoballe che fa il nonno Beppe. Oggi ci sono macchine che raccolgono il fieno e lo restituiscono in varie forme geometriche tipo parallelepipedi e cilindri, ma quando avevo la tua età il fieno si tagliava con una falciatrice trainata da vacche chianine e dopo che il sole lo aveva ben seccato, si trasportava nell’aia con carri trainati da questi stessi animali e qui si costruiva il “Pagliaio” che a dispetto del nome non era di paglia, ma di fieno. Per prima cosa il mio babbo, il tuo bisnonno Guido, piantava nell’aia un palo lungo e dritto, come quello dei telefoni. Iniziava poi a impilare il fieno. Il mio babbo stava sopra al pagliaio e spandeva e sparpagliava ben bene il fieno che lo zio Tonio portava.

Zio Tonio – disegno di Sara Gianassi

Il fieno doveva intrecciarsi, come una tela. Più si saliva su di altezza e più il pagliaio si restringeva, assumendo la forma di un cono e da ultimo diventava talmente alto che il bisnonno Guido doveva scendere con una scala lunghissima. Il fieno veniva così conservato per nutrire le vacche e i buoi durante l’inverno. Costruire un pagliaio era un’arte e un errore poteva compromettere la conservazione del fieno. Un pagliaio ben fatto era impermeabile e il fieno, per conservarsi bene, doveva diventare molto compatto tanto che per toglierlo usavano il tagliafieno.

Il pagliaio tagliato

Prima si consumava un giro del pagliaio che diventava tutto dritto e poi si prendeva il fieno al centro che era più duro.

Tornando alla nostra storia, tu devi sapere che una gallinella aveva l’abitudine di deporre le uova in cima al pagliaio e lo zio Tonio la spiava per trovarne il nascondiglio. In un pomeriggio assolato di agosto, mentre stavo saltellando nell’aia, sentii la zia Beppa che da dietro il pagliaio chiedeva aiuto. Accorsi subito e davanti ai miei occhi apparve una scena tragicomica. Lo zio Tonio era aggrappato al pagliaio e rischiava di precipitare a terra, mentre la zia Beppa tentava di frenare la caduta reggendolo con un lungo forcone, rischiando di infilzarlo! Lo zio Tonio avendo scoperto il covo della gallina pieno di uova, per raggiungerlo aveva legato insieme due scalei, ma una volta conquistata la cima, sotto il suo peso gli scalei avevano ceduto ed ora il pover’uomo stava veramente in una situazione pericolosa.

Capii subito che potevo salvarlo solo andando a prendere la lunga scala che il bisnonno usava per scendere dal pagliaio, dopo la sua costruzione. Non so ancora spiegarmi come riuscii a trasportarla, forse con la forza dell’affetto che provavo per quell’uomo tanto semplice, quanto buono, genuino e generoso che invece di temere per la sua vita ci gridava di andare via perché temeva di ferirci cadendoci addosso. Ricordo solo che trascinai la scala fino al pagliaio e che la alzai con l’aiuto della zia Beppa. Fu così che salvammo lo zio Tonio, che anche dopo tanti anni mi ricordava sempre questa storia con gli occhi che gli brillavano di commozione. Una commozione non tanto legata al salvataggio, quanto a quel pagliaio la cui costruzione gli ricordava la gioventù, una sapienza antica faticosamente appresa dai suoi avi e che andava sparendo senza che lui potesse tramandarla.

-Grazie nonna, è una bellissima storia. Costruiamo un pagliaio tutti insieme e così gli occhi del bisnonno e dello zio Tonio brilleranno ancora di gioia e noi saremo ancora quella grande famiglia del Pian dei Poggioli, dove c’era posto per tutti.

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La Rocca di Cerbaia lungo la valle del Bisenzio

di Salvina Pizzuoli

La si vede subito, appena superato l’abitato di Carmignanello e, vista dal basso, la sua poderosa mole tra il verde della folta vegetazione fa ancora paura, ricordando le lotte fratricide che hanno caratterizzato parte della sua storia.

Raggiungerla a piedi non è agevole, ma la fatica per la ripida salita viene ripagata dallo spettacolo.

Il primo incontro è con il fiume Bisenzio bello di acque fluenti nonostante la stagione calda. Un bel ponte, antico di fattura, ne permette l’attraversamento.

E si comincia a salire.    …   continua a leggere       La Rocca di Cerbaia lungo la valle del Bisenzio

Toponimi toscani: Livorno

Pianta di Livorno (1776)

Citta della Toscana, capoluogo di provincia, situata sulla costa tirrenica vicino alia foce dell’Arno e di fronte allo scoglio della Meloria. Il nome Livorna ricorre per la prima volta in una pergamena del 904. È  poi ricordato (inizi del sec. XII) come castello e quindi come villaggio e piccolo porto a breve distanza da Porto Pisano, per la cui difesa venne fortificato dai Pisani nel 1392. Caduta Pisa, passò ai Genovesi dal 1405 al 1421, quando fu acquistato da Firenze che ne accrebbe le fortificazioni e vi costruì un arsenale. Iniziato nel 1571 un nuovo porto e promulgata nel 1593 la «costituzione livornina» che concedeva piena libertà di residenza agli immigrati, tra cui moltissimi ebrei, la città cominciò a popolarsi e ad espandersi, favorita dal nuovo Porto Mediceo del 1618 e dal sistema di porto franco, tanto che alla fine del sec. XVIII era la seconda città della Toscana. Il toponimo si riconduce ad un personale etrusco Liburna che si può confrontare con il latino Liburnius, se non dipende da Leburna, Leburnius, anche questi antroponimi latini. Oltre che un’origine dall’onomastica antica, può essere verosimile una relazione col termine latino liburna ‘brigantino, feluca’, specie di imbarcazione, o con l’etnico antico dei Liburni, popolo del Quarnero, con cui, peraltro, avrà rapporto Liburna.

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