L’Alchermes, il liquore de’ Medici

Il suo è un nome che di fiorentino ha poco eppure la ricetta più famosa e diffusa di questo liquore, che ha conosciuto vari tentativi di imitazione, ha Firenze come città natale. 

L’origine di questo nome esotico è araba ed è legata al suo bel colore rosso ricavato dalla “Cocciniglia”, dall’ arabo al qirmiz, che indica e l’insetto e il colore. Le femmine della Cocciniglia secernono acido carminico per difendersi dai predatori ed è dalle femmine essiccate che si ricava una polvere colorante da cui si ottiene il colore rosso carminio che contraddistingue il liquore. Oggi, nella produzione industriale, la Cocciniglia è sostituita da coloranti alimentari.

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La ficattola non è solo pasta fritta!

Una parola, più significati e una ricetta

Cartoccio di coccoli

Si sa in Toscana la pasta di pane fritta piace e piace così tanto che in vari luoghi della nostra bella regione prende nomi e forme diverse anche se è sempre pasta fritta!

A Firenze abbiamo i coccoli, nome derivato dalla forma tondeggiante simile alle coccole dei cipressi ma se la forma diventa invece romboidale ecco che abbiamo le crescentine; in Lunigiana gli sgabei dalla caratteristica forma a strisce e in Versilia i panzerotti a forma cilindrica, nel Mugello e nel pratese la pasta fritta si chiama ficattola: stesa con il mattarello è resa sottile quindi ritagliata a larghe strisce a forma di losanghe e incise al centro per tutta la lunghezza.

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Mostarda all’uso toscano

Anche la Toscana può vantare origini antiche per questa preparazione aromatizzata e piccante, usata per accompagnare le carni. Mostarda all’uso toscano”: al numero 788 del libro di Pellegrino Artusi “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” così si titola la ricetta di una salsa ottima per accompagnare sia bolliti che arrosti e di suino e di carni rosse in genere.  Nel medioevo era presente solo sulle tavole dei signori perché ricca di spezie costose:

Si preparava sin dai tempi medicei facendo concentrare il mosto d’uva dove si bollivano mele e arance a cui veniva dato il savore con le spezie più variate, tra cui dominavano il pepe, lo zenzero, il chiodo di garofano” Giovanni Righi Parenti premetteva questa notizia storica   …  Continua a leggere   Mostarda all’uso toscano

La cucina toscana delle origini: il riuso delle carni

Tra i piatti del riuso delle carni in Toscana abbiamo la “francesina” nome esterofilo che di francese potrebbe vantare l’abbondante uso di cipolle, almeno il doppio rispetto al peso della carne, stufate a fuoco lento. In Maremma la ricetta invece prevedeva tante patate per il lesso rifatto al guazzetto. Nel riutilizzo del lesso avanzato non potevano mancare le polpette, in tutte le salse, con due possibili variabili per legare il lesso tritato: le patate o il pane ammollato nel latte. In inverno un’altra possibile variante erano le polpettine capricciose che oltre alla carne del lesso prevedevano foglie di cavolo verza fatte bollire e poi farcite con i pezzi del lesso tritato, l’uovo sodo e la noce moscata più gli ingredienti classici delle polpette. Le foglie vengono quindi arrotolate e chiuse con uno stuzzicadenti e rosolate in una casseruola con poco olio, sfumate con vino bianco, aggiungendo un po’ di pomodoro o acqua o brodo e facendo addensare la salsina che viene a formarsi.

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La cucina toscana delle origini, la cucina del “riuso”:

Il riutilizzo del pan secco

Pane raffermo

Come tutte le cucine povere anche quella toscana delle origini vanta molti piatti nati dalla fantasia delle massaie per riutilizzare i cosiddetti “avanzi”. Ne sono derivate molte pietanze ancora oggi in voga, saporite e genuine, nate al fine di evitare lo spreco di cui oggi vantiamo il primato: sprechiamo circa 65 chili a testa di cibo all’anno, recita una recente statistica, anche perché non sappiamo riutilizzarlo o conservarlo in modo appropriato.

Facciamo allora tesoro di alcuni piatti tipici per il riutilizzo del pane, quello raffermo.

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Ricette tipiche toscane e loro storia sulla pagina: 

Piatti tipici della cucina toscana

Dolci tipici toscani, la loro storia e le loro ricette

Un ortaggio arrivato da lontano

La sua origine non è però legata alla Toscana, i suoi natali si perdono molto più a sud, in terra d’Africa, è infatti originario dell’Etiopia. Pare si debba a Filippo Strozzi l’introduzione e la coltivazione in terra di Toscana dalla Campania, era il lontano 1466, e che da allora si sia procacciato un posto speciale su tutta le tavole a nord dello stivale e ancora oltre smentendo che il suo approdo in Francia, più precisamente in terra di Provenza e nella Vaucluse nel XVI secolo, fosse stata opera della nostra Caterina de’ Medici, esportatrice in terra di Francia di molti piatti e usanze e molto ghiotta di questo particolare ortaggio, considerato al nord molto pregiato al punto che Arcimboldo, nella raffigurazione dell’Estate, lo appunta alla giacca del suo protagonista quasi una gemma preziosa o comunque un monile.

C’è un ortaggio molto apprezzato in Toscana tanto da essere ingrediente esclusivo di alcuni piatti e del passato come del periodo più recente.

La sua origine non è però legata alla Toscana, i suoi natali si perdono molto più a sud, in terra d’Africa, è infatti originario dell’Etiopia. Pare si debba a Filippo Strozzi l’introduzione e la coltivazione in terra di Toscana dalla Campania, era il lontano 1466, e che da allora si sia procacciato un posto speciale su tutta le tavole a nord dello stivale e ancora oltre smentendo che il suo approdo in Francia, più precisamente in terra di Provenza e nella Vaucluse nel XVI secolo, fosse stata opera della nostra Caterina de’ Medici, esportatrice in terra di Francia di molti piatti e usanze e molto ghiotta di questo particolare ortaggio, considerato al nord molto pregiato al punto che Arcimboldo, nella raffigurazione dell’Estate, lo appunta alla giacca del suo protagonista quasi una gemma preziosa o comunque un monile. … continua a leggere Un ortaggio arrivato da lontano

E a Ferragosto tante leccornie toscane di buona festa!

Fa caldo, è vero, e pensare di mettersi ai fornelli, non è il massimo, ma una panzanella si può fare o una buona pappa al pomodoro con tanto e profumato basilico, da mangiare dopo, fredda, con un filo d’olio aggiuntivo, ci prende solo mezz’ora…
E la cucina toscana, si sa è semplice e generalmente veloce da realizzare.
E i petonciani, come trascurare questo felice ortaggio di stagione? Magari fritti.
E a proposito di frittura, possono mancare alcune sfiziosissime realizzazioni con la pasta di pane?
E i pici all’aglione o la carabaccia? Senza dimenticare la gustosa ciancifricola
Beh, non avete che l’imbarazzo della scelta e buon Ferragosto a tutti con la buona e veloce cucina toscana!

Di seguito i piatti e le ricette che riteniamo più adatti alla stagione oppure potete scegliere tra le tante ricette in piatti tipici:

pappa al pomodoro

pasta di pane fritta: Còccoli, sgabei, ficattole, zonzelle, donzelle, panzanelle, panzerotti

ciancinfricola

panzanella toscana

petonciani dell’Artusi

pici e aglione

carabaccia

caffè duro o in forchetta?

zuccotto, storia di un semifreddo

Cucinare con le erbe spontanee: l’alloro

Dal latino laurus, secondo alcuni dalla radice laus, ovvero “lode”, appellativo legato alle lodevoli qualità terapeutiche della pianta. Altri attribuiscono l’etimo originario al celtico lawur con il significato di verdeggiante. Conosciuto sin dai tempi più lontani, affonda le sue radici nel mito greco e latino. Viene tramandato come simbolo appollineo per eccellenza e ritenuto sacro al dio: Virgilio nelle sue Metamorfosi racconta il mito di Apollo e Dafne, dal greco appunto alloro, la ninfa di cui si era invaghito che, per sfuggirgli, chiese aiuto al padre, il dio fiume Peneo, e da lui fu trasformata in pianta. Non potendo il dio coronare il suo desiderio amoroso, decise di fare del lauro la sua fronda.

Presso i romani ne cingevano le tempie, come simbolo di vittoria e d’onore, i grandi condottieri, ma anche i poeti ne furono incoronati. Una tradizione conservata ancora oggi nella parola “laurea” etimologicamente da “laureo”, letteralmente “di alloro” “fatto di alloro”, termine utilizzato in poesia e associato come aggettivo ai sostantivi: corona, fregio, fronda, serto. … continua a leggere Cucinare con le erbe spontanee: l’alloro

Cucinare con le erbe spontanee dei nostri boschi: l’asparago selvatico

Conosciuto sin dall’antichità per i suoi benefici effetti e per la prelibatezza, deriva il suo nome dal persiano “asparag” che significa “germoglio” confermando la sua origine medio orientale; altri ne attribuiscono l’etimo al greco (ἀσπάραγος, alfa privativo e spéirō ovvero”spargere”) per la sua capacità di moltiplicarsi. È diffuso in quasi tutte le regioni italiane ed è il vero asparago selvatico, ovvero asparagus acutifolius, che vegeta nelle macchie e nelle leccete, molto ricercato dagli appassionati e facilmente riconoscibile per le foglie lanceolate e pungenti. La sua storia si perde nel lontano passato: era consumato dagli Egizi e dai Romani che sapevano anche coltivarlo tanto da aver creato dei manuali sin dal 200 a.C.

Ne parlano nei loro scritti anche Apicio vissuto presumibilmente a cavallo tra il I secolo a.C. e il I d.C., che fu il primo cuoco a scrivere un ricettario, e Plinio che ne riferisce l’efficacia come pianta medicinale nel suo “Naturalis historia”: … continua a leggere Cucinare con le erbe spontanee dei nostri boschi: l’asparago selvatico