Il titolo è Guida manuale di Firenze e de’ suoi contorni, l’editore ha un nome noto, Francesco Pineider, l’anno di edizione è il 1906, il costo 1 lira. All’interno, su carta patinata e colorata, alcune pubblicità di esercenti privati colpiscono per l’uso dei termini come Lung’Arno, ancora apostrofato o per l’indicazione, solo in poche, del numero di telefono composto spesso di sole tre o quattro cifre.
Granduchi, sigari e tirchieria: l’invenzione del “toscano”
sigari toscani
Correva l’anno 1815 quando nella Manifattura dei Tabacchi di Santa Caterina della ruota un imprevisto quanto impetuoso temporale estivo infradiciò un grosso quantitativo di tabacco della Val di Chiana lasciato all’aperto, che subito dopo cominciò anche a fermentare per il caldo. La cosa preoccupò non poco i dirigenti della Manifattura perché il tabacco, così rovinato, rischiava di dover essere gettato via ed era risaputo che il Granduca Ferdinando III di Lorena, da poco reinsediato al potere dopo il Congresso di Vienna, per quanto di larghe vedute, odiava ogni forma di spreco. … continua a leggereAneddoti su fatti e personaggi fiorentini
Nella convalle fra gli aerei poggi di Bellosguardo, ov’io cinta d’un fonte limpido fra le quete ombre di mille giovinetti cipressi alle tre Dive l’ara innalzo, e un fatidico laureto in cui men verde serpeggia la vite la protegge di tempio, al vago rito vieni, o Canova, e agl’inni.
Ugo Foscolo, Le Grazie – Inno a Venere (vv. 9-16)
Il grande poeta vi soggiornò per circa un anno (1812-1813) e vi compose l’Inno alle Grazie ispirato ai canoni della “serena bellezza” neoclassica che Antonio Canova (cui dedicò questi versi) esaltava nelle sue opere artistiche di quegli anni. … continua a leggere Una terrazza su Firenze: Bellosguardo
da: Guido Carocci, Firenze scomparsa, Firenze 1898
Fabio Borbottoni – Il complesso della Zecca Vecchia prima della distruzione
“La torre che non presenta oggi che le quattro mura di pietra, nude e senza adornamenti, ma che un giorno dovette essere assai più elevata e col coronamento merlato, sorge isolata alla estremità del Lungarno, di prospetto al viale Carlo Alberto (oggi viale della Giovane Italia n.d.r.). È l’unico avanzo, l’unico ricordo di una quantità di costruzioni antichissime che sorgevano in questo luogo e che erano conosciute col nomignolo comune di Zecca Vecchia.Prima della demolizione delle mura, la torre sorgeva sulla riva del fiume framezzo ai terrapieni di una fortezza smantellata, alle gore di mulini e di edifizi, poco distanti dalle mura che in questo luogo presentavano le tracce di una porta richiusa. Il fabbricato attiguo alla torre ed alle mura appariva come un’amalgama di parti antiche e di moderne: aveva de’ muraglioni colossali, degli stanzoni a volta, de’ lunghi corridoj, dei ballatoj sporgenti sulle fosse dove l’acqua dell’ Arno metteva in movimento le ruote dei mulini e le macchine di alcuni opifici per la fabbricazione di stoffe. … “
Tutti i Fiorentini sanno bene di cosa stiamo parlando e conoscono anche il significato del termine, ancora molto comune, perché i’ brindellone non indica una cosa sola. Se cerchiamo il termine sul dizionario Treccani troviamo la seguente definizione: brindellóne s. m. (f. -a) [der. di brindello]. – Persona che va in giro con l’abito lacero, o anche sciatta nel vestire, trasandata nell’aspetto, nel camminare e simili; più comune la forma sbrindellone. Ci dice quindi che deriva da brindello ovvero da brano. – Straccio, brandello. A Firenze un brindellone è un tipo sciatto, trasandato, non molto “vispo”
… Ma tutti sanno che questo è anche il nome con cui i Fiorentini chiamano affettuosamente il carro, quello dello scoppio nella domenica di Pasqua e della famosa colombina.
Da: Guido Carocci, Firenze scomparsa, Firenze 1897
Fabio Bprbpttoni – Tiratoio delle grazie
“Ricordo e simbolo dell’importanza infinita di un’arte che fu la causa prima e principale della ricchezza e della potenza di Firenze erano i tiratoi, quei colossali e strani fabbricati che fra un basamento di pietrami ed una gigantesca tettoia racchiudevano un laberinto di terrazze, di scale, di anditi, di antenne, di traverse, di staggi, una costruzione di legname insomma d’un tipo tutto speciale. Come lo dice il loro stesso nome, cotesti edifizi erano usati per stendere e tirare le stoffe, nella stessa guisa che le Gualchiere erette fuori della città sulle rive dell’Arno servivano a lavare e battere le stoffe medesime. Appartenevano o alla corporazione dell’arte della Lana o a società commerciali o a famiglie che esercitavano l’arte della lana o quella della tintoria. L’ampiezza di questi tiratoi dove potevano trovar posto migliaia di braccia di stoffe e matasse in gran copia, il numero cospicuo di questi edifizi esistiti in un epoca a Firenze servono a dare una idea della immensa quantità di produzione che Firenze diffondeva in ogni parte del mondo. E l’arte della lana era difatti la fonte principale di quelle ricchezze che affluivano a Firenze e che facevano della nostra repubblica uno de’ più forti e più autorevoli Stati d’Italia. Le galere coll’orifiamma fiorentina trasportavano anche ne’ mari più lontani i panni qui lavorati, in tutti i centri più importanti d’Europa e d’Asia i nostri mercatanti avevano case e rappresentanti ed i guadagni prodotti da quest’industria contribuirono efficacemente a render Firenze così splendida per dovizia e per imponenza di monumenti. Nel xiv e xv secolo si può dire che oltre una metà della nostra popolazione fosse occupata nell’esercizio dell’arte della lana e ricercando fra le matricole di quest’arte si ritroverebbero facilmente fra i proprietari di tiratoi, di fabbriche, di fondachi, di banchi d’arte della lana i nomi delle famiglie che nella storia fiorentina occupano le pagine più gloriose, delle famiglie più cospicue che costituirono la nostra nobiltà. Li stessi cittadini che discendevano dai più alti lignaggi, che avevano conquistato i gradi più elevati nel governo dello stato, che avevano avuto onori e titoli e dalla repubblica e da sovrani stranieri, stavano a trattar di persona i loro affari, dirigevano i loro fondaci, andavano all’estero per ismerciare le loro mercanzie.
Chi percorre la via di Rosano lungo la riva sinistra dell’Arno, in prossimità di via di Remoluzzo, vede comparire i merli di antiche torrette in pietra e laterizio: si tratta delle gualchiere di Remole testimonianza della fiorente industria laniera fiorentina nel lontano XIV secolo.
Sono ancora lì, ormai in disuso e in grande degrado, ma ancora presenti nonostante l’età ad attestare la loro storia lunghissima che si muove dal lontano 1327 circa fino al 1966, anno dell’ultima alluvione devastante del fiume, quando furono completamente dismesse e abbandonate non da quello che fu il loro ruolo originario ma di mulino da grano e frantoio.
Ma cosa erano le gualchiere e quale ruolo ricoprivano nella produzione dei “panni lani”?
Da: Guido Carocci, Firenze scomparsa, Firenze 1897
Fabio Borbotttoni – Veduta di Firenze da villa Bardini
Le immagini di questo e degli altri articoli di “Firenze scomparsa” sono riprese dalle tele del pittore Fabio Borbottoni*
“Nel suo lungo e serpeggiante percorso attraverso alle fiorenti pianure ed ai colli ubertosi, rispecchia nelle sue acque i paesaggi più giocondi e più variati e le rive del maggior fiume della Toscana costituiscono un vero trionfo del bello e del pittoresco. Ma ciò che soprattutto ha dato una vera celebrità a queste rive è la passeggiata del Lungarno, così serenamente gaia, così superbamente elegante. Ed a questa bellezza resero tributo di lode e di ammirazione quanti letterati e poeti stranieri scrissero in altri tempi di Firenze, de’ suoi pregi, dei suoi costumi. Furono inni di entusiasmo e di meraviglia prodigati a larga mano a questa superba passeggiata, a questa via che irradiata dai riflessi del sole che dinanzi a lei va a nascondersi dietro la linea de’ poggi, passa mollemente fra il fiume ed una spalliera di palazzi e di case eleganti. E queste lodi non sono di data recente, né ispirate dagli ultimi abbellimenti e dalle aggiunte fatte sulle due rive del fiume. … continua a leggereFirenze scomparsa: lungo l’Arno (prima parte)