Nell’introduzione della IV giornata è inserita una novella narrata direttamente da Filostrato, colui che sceglie il tema del giorno, una eccezione che porta il reale numero delle novelle del Decameron a centouno.

La novella si ambienta in gran parte a Monte Senario o Monte Asinario, come veniva chiamato nel medioevo, e infine a Firenze.

L’Eremo di Monte Senario inizia la sua storia a metà del Duecento quando, secondo una leggenda, sette fiorentini decisero di allontanarsi dalla città in grande espansione commerciale ed edilizia e di rifugiarsi nelle grotte del monte, ancora oggi visitabili, mettendosi al servizio di Maria e dando origine all’ordine monastico dei Servi di Maria. Pochi anni dopo fu iniziata la costruzione del monastero, poi successivamente ampliato nel XV secolo e rimaneggiato fino al XIX secolo.

La novella narra la storia di Filippo Balducci che si ritira in questo luogo con il figlio ancora piccolo dopo aver perso la moglie.

… fu un cittadino, il qual fu nominato Filippo Balducci, uomo di condizione assai leggiere, ma ricco e bene inviato ed esperto nelle cose quanto lo stato suo richiedea; e aveva una sua donna moglie, la quale egli sommamente amava … Ora avvenne, sì come di tutti avviene, che la buona donna passò di questa vita, né altro di sé a Filippo lasciò che un solo figliuolo di lui conceputo, il quale forse d’età di due anni era. Costui per la morte della sua donna tanto sconsolato rimase, quanto mai alcuno altro amata cosa perdendo rimanesse. E veggendosi di quella compagnia la quale egli più amava rimaso solo, del tutto si dispose di non volere più essere al mondo, ma di darsi al servigio di Dio, e il simigliante fare del suo piccol figliuolo. Per che, data ogni sua cosa per Dio, senza indugio se n’andò sopra Monte Asinaio, e quivi in una piccola celletta si mise col suo figliuolo, col quale di limosine in digiuni e in orazioni vivendo, sommamente si guardava di non ragionare là dove egli fosse d’alcuna temporal cosa né di asciarnegli alcuna vedere, acciò che esse da così fatto servigio nol traessero, ma sempre della gloria di vita etterna e di Dio e de’ santi gli ragionava, nulla altro che sante orazioni insegnandoli; e in questa vita molti anni il tenne, mai della cella non lasciandolo uscire, né alcuna altra cosa che sé dimostrandogli.

Dunque il figlio crebbe come un eremita in una cella con il padre insieme agli altri devoti senza conoscere niente del mondo esterno e senza aver mai visto una donna né averne mai sentito neppure parlare.

La città continuava a espandersi come testimonia l’ampliamento delle mura agli inizi del Trecento e la costruzione di due nuovi ponti (Carraia e Rubaconte nella prima metà del 1200) e a divenire uno dei più importanti comuni italiani. Il fiorire di ricchezze e il sorgere di magnifici palazzi fu sicuramente la molla che spinse diversi cittadini ad allontanarsi dagli agi e a ricercare la pace e la serenità nella scelta di luoghi solitari dove vivere in povertà in una dimensione spirituale.

Divenuto grande il figlio di Filippo Balducci chiese al padre, ormai in età avanzata, di essere accompagnato a vedere Firenze, la città dove non era mai stato e il padre, sicuro che il foglio fosse ormai lontano da ogni tentazione mondana dopo essere cresciuto e vissuto in eremitaggio, acconsentì e giunti in città:

Il giovane veggendo i palagi, le case, le chiese e tutte l’altre cose delle quali tutta la città piena si vede, sì come colui che mai più per ricordanza vedute non n’avea, si cominciò forte a meravigliare, e di molte domandava il padre che fossero e come si chiamassero.

Filippo Balducci gli rispondeva di buon grado finché non incontrarono un gruppetto di giovani donne belle e ben vestite e vedendole per la prima volta in vita sua il giovane chiese cosa fossero e il padre non sapendo cosa rispondere improvvisò …

– Figliuol mio, bassa gli occhi in terra, non le guatare, ch’elle son mala cosa. Disse allora il figliuolo: – O come si chiamano?  … – Elle si chiamano papere. Maravigliosa cosa a udire! Colui che mai più alcuna veduta non n’avea, non curatosi de’ palagi, non del bue, non del cavallo, non dell’asino, non de’ danari né d’altra cosa che veduta avesse, subitamente disse: – Padre mio, io vi priego che voi facciate che io abbia una di quelle papere. – Ohimè, figliuol mio, – disse il padre – taci: elle son mala cosa. A cui il giovane domandando disse: – O son così fatte le male cose? – Sì – disse il padre. Ed egli allora disse: – Io non so che voi vi dite, né perché queste siano mala cosa; quanto è a me, non m’è ancora paruta vedere alcuna così bella né così piacevole, come queste sono. Elle son più belle che gli agnoli dipinti che voi m’avete più volte mostrati. Deh! se vi cal di me, fate che noi ce ne meniamo una colà su di queste papere, e io le darò beccare. Disse il padre: – Io non voglio; tu non sai donde elle s’imbeccano -; e sentì incontanente più aver di forza la natura che il suo ingegno; e pentessi d’averlo menato a Firenze.

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