Masetto da Lamporecchio si fa mutolo e diviene ortolano di uno monistero di donne, le quali tutte concorrono a giacersi con lui.

Lamporecchio, citato per la prima volta in un documento del 1057, è un comune in provincia di Pistoia situato tra il Padule di Fucecchio e le pendici occidentali del Montalbano. Il toponimo Lamporeclum sembra derivare da lampone, il Repetti nel suo “Dizionario” lo descrive così:
Villaggio spicciolato ch’ebbe un qualche fortilizio, da cui ricevè l’onorevole titolo di castello che dà nome ad una chiesa plebana (S. Stefano) e ad una Comunità nella Giurisdizione e circa 9 miglia toscane* a libeccio di Seravalle, Diocesi di Pistoja, Compartimento di Firenze. … gli manca una riunione di fabbriche con strade che circoscrivono una porzione di terreno col nome specifico di questa popolazione, che è spicciolata in poderi, case e ville sparse su per la gibbosa pendice occidentale del Monte Albano. Tale può dirsi la villa di Spicchio dov’è la maestosa casa di campagna de’ principi Rospigliosi con i suoi vasti annessi, fatta erigere con disegno del Bernini dal Pontefice Clemente IX della stessa famiglia pistojese. Tali sono le villate di Papiano, di Orbignano, di Porciano, di S. Baronto e di Lampaggio, che quasi circondano il capoluogo della comunità, ridotto alla chiesa parrocchiale ed alla sua canonica con qualche casa lì appresso.
Della rocca, torre, o altro fortilizio, che diede il titolo di castello a Lamporecchio, non havvi vestigio alcuno che possa meritare tal nome.
*Il miglio toscano misurava 1.653,8 metri
In questa località è ambientata la prima novella della terza giornata del Decameron. Il Boccaccio non chiarisce dove e quale sia il monastero delle suore, otto giovani monache e una badessa, nel quale si svolge la vicenda. Si limita a informare il lettore che era situato a una certa distanza dal paese.
All’interno dell’edificio vi era un orto coltivato da Nuto, un contadino che scontento del poco salario se ne tornò al paese e raccontò ad alcuni giovani, fra cui Masetto, “giovane lavoratore forte e robusto”, quali compiti svolgeva nel monastero ossia coltivare l’orto, curare il giardino, far legna nel bosco e attingere acqua.

Udendo le parole di Nuto Masetto venne preso da un tal desiderio di prendere il suo posto “che tutto se ne struggea” e decise quindi di presentarsi al convento fingendosi sordo e muto.
Masetto arrivato al monastero “entrò dentro e trovò per ventura il castaldo nella corte che gli diede da mangiare e dato che doveva andare al bosco, lo portò con sè e gli fece tagliare la legna”. La badessa, vedendo che sapeva lavorare, decise di tenerlo.
Or pure avvenne che costui un dì avendo lavorato molto e riposandosi, due giovinette monache, che per lo giardino andavano, s’appressarono là dove egli era, e lui che sembiante facea di dormire cominciarono a riguardare. Per che l’una, che alquanto era più baldanzosa, disse all’altra:
– Se io credessi che tu mi tenessi credenza, io ti direi un pensiero che io ho avuto più volte, il quale forse anche a te potrebbe giovare.
L’altra rispose: – Di’ sicuramente, ché per certo io nol dirò mai a persona.
Allora la baldanzosa incominciò: – Io non so se tu t’hai posto mente come noi siamo tenute strette, né che mai qua entro uomo alcuno osa entrare, se non il castaldo ch’è vecchio e questo mutolo; e io ho più volte a più donne, che a noi son venute, udito dire che tutte l’altre dolcezze del mondo sono una beffa a rispetto di quella quando la femina usa con l’uomo. Per che io m’ho più volte messo in animo, poiché con altrui non posso, di volere con questo mutolo provare se così è. Ed egli è il miglior del mondo da ciò costui perché egli pur volesse, egli nol potrebbe né saprebbe ridire. Tu vedi ch’egli è un cotal giovanaccio sciocco, cresciuto innanzi al senno; volentieri udirei quello che a te ne pare.
Dopo vari altri ragionamenti che Masetto ascolta con grande piacere a loro insaputa, decisero che “in su la nona”, ossia nel primo pomeriggio, quando le altre suore sono a dormire lo avrebbero portato in un capanno per gli attrezzi in modo che “quivi l’una si stea dentro con lui e l’altra faccia la guardia”. E “ciascuna provar volle come il mutolo sapea cavalcare”.
Un giorno una monaca vide, da una finestra della sua cella, le due monache che si appartavano con Masetto, e chiamò le altre consorelle perché vedessero anche loro, prima tennero ragionamento insieme di doverle accusare alla badessa; poi, mutato consiglio e con loro accordatesi, partefici divennero del podere di Masetto
Infine toccò alla badessa che un giorno passeggiando per il giardino trovò Masetto addormento all’ombra di un mandorlo per per riposarsi dalle fatiche notturne e in quel medesimo appetito cadde che cadute erano le sue monacelle.
Il mandorlo era un albero sempre presente nei giardini dei conventi e Boccaccio lo nota. L’albero infatti è tra i primi a sbocciare agli inizi di primavera o addirittura alla fine dell’inverno e dunque simboleggia il ritorno alla vita e il risorgere della natura ma allo stesso tempo la fioritura ha una breve durata a testimonianza della caducità del tutto. Spesso presente nella simbologia medievale.
Alla fine non riuscendo più a soddisfare tutte le suore una notte confessò la verità alla badessa dicendole anche che non era affatto muto.
La badessa per evitare lo scandalo che il convento avrebbe ricevuto se Masetto avesse raccontato tutto all’esterno lo nominò castaldo al posto del precedente che nel frattempo era morto e sparse la voce che, grazie alle loro preghiere e per miracolo del Santo a cui erano devote e a cui era dedicato gli fosse stato restituito l’udito e la voce.
Masetto rimase al convento ancora per molti anni e ovviamente avvenne che esso assai monachin generasse, pur sì discretamente procedette la cosa che niente se ne sentì. … Così adunque Masetto vecchio, padre e ricco, senza aver fatica di nutricar figliuoli o spesa di quegli, per lo suo avvedimento avendo saputo la sua giovanezza bene adoperare.
Un personaggio abile e intelligente che grazie al suo ingegno riesce a sfruttare l’occasione che gli si offre ottenendo la ricompensa sa sa meritarsi.
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Bibliografia Utilizzata:
G. Boccaccio, Decameron
A. Piras, La Toscana del Boccaccio, Ledizioni 2013
G. Alfano, Introduzione alla lettura del «Decameron» di Boccaccio, Laterza 2014