di Salvina Pizzuoli

Chi percorre la via di Rosano lungo la riva sinistra dell’Arno, in prossimità di via di Remoluzzo, vede comparire i merli di antiche torrette in pietra e laterizio: si tratta delle gualchiere di Remole testimonianza della fiorente industria laniera fiorentina nel lontano XIV secolo.
Sono ancora lì, ormai in disuso e in grande degrado, ma ancora presenti nonostante l’età ad attestare la loro storia lunghissima che si muove dal lontano 1327 circa fino al 1966, anno dell’ultima alluvione devastante del fiume, quando furono completamente dismesse e abbandonate non da quello che fu il loro ruolo originario ma di mulino da grano e frantoio.
Ma cosa erano le gualchiere e quale ruolo ricoprivano nella produzione dei “panni lani”?
La gualcatura o follatura era la parte finale del trattamento e consisteva nella battitura del tessuto, già costituito in trama, dentro un bagno di acqua, argilla smectica, una particolare terra, detta anche da follone, che con i suoi componenti aveva la capacità di assorbire i grassi, urina e sostanze saponose utilizzate nella lavorazione. Il tipo di follatura operata presso le gualchiere di Remole era detto anche a “calci” in quanto il movimento dei magli per gualcare il tessuto immerso in una vasca con il liquido sopra descritto era simile al movimento delle gambe che scalciano. Il trattamento aveva lo scopo di rendere il tessuto morbido e impermeabile.


Le gualchiere di Remole non erano le sole sorte o esistenti, come vedremo, lungo il corso dell’Arno e fuori dall’allora centro abitato di Firenze. Lungo la riva destra sorgevano infatti quelle di Rovezzano, del Girone, di Quintole e di Remole sulla riva sinistra del fiume, tutte comunque fuori ad opera presumibilmente di un’ordinanza che ne vietava la presenza in prossimità del centro abitato, e più precisamente a 400 braccia a valle del Ponte alla carraia e 200 a monte del Ponte di Rubaconte oggi alle Grazie, a causa del rumore dei folloni e del cattivo odore determinato dalle sostanze che costituivano la miscela del bagno, ma con maggiore probabilità a causa della presenza delle pescaie che innalzavano il livello del fiume per favorire il funzionamento di tutte quelle strutture idrauliche, mulini e folloniche, che sorgevano nei pressi, cui era stata attribuita la causa della terribile alluvione del 1333 proprio perché impedivano alle acque di fluire liberamente. La pescaia era parte integrante del complesso idraulico in quanto doveva permettere all’acqua del fiume, opportunamente arginata, di far affluire le acque verso la gora, un canale artificiale, e da quest’ultima verso gli impianti all’interno della gualchiera per mettere in moto le macchine idrauliche.

Che le gualchiere a Remole costituissero un complesso fortificato ha visto gli studiosi avanzare spiegazioni non sempre univoche. Secondo lo storico ottocentesco Repetti e il Carocci si spiegherebbero con la trasformazione di un castelletto secondo il Repetti che infatti nel suo Dizionario alla voce Remole scriveva REMOLE nel Val d’Arno sopra Firenze. – Contrada dove fu un castelletto presso un’antica chiesa plebana, mentre il Carocci lo considerava un avamposto della rocca di Remoluzzo.


Altri studi invece ritengono che il complesso di Remole fosse nato ex novo, non solo non era stato legato a strutture preesistenti, come fortificazioni o rocche ma neanche mulini, cosa invece confermata per le altre gualchiere: nel tratto compreso tra Rovezzano e Quintole per tutto il XIII secolo esistessero mulini di proprietà delle famiglie dei Donati e dei Cerchi. Un documento datato 1327, data a cui si lega la nascita delle gualchiere di Remole, esponenti della famiglia Albizi chiedevano all’Arte della Lana un prestito di 1000 fiorini d’oro per la creazione di una nuova struttura idraulica a gualchiera.

Il motivo della fortificazione, escludendo la preesistenza di una struttura difensiva, viene individuato altrimenti: il complesso infatti costituiva una cittadella murata con due porte di accesso le cui mura racchiudevano il cortile in cui sorgevano e le strutture idrauliche e i magazzini dove venivano depositati i tessuti in attesa di essere trasportati via fiume verso gli opifici addetti alle altre operazioni, di tinteggiatura e asciugatura, i cosiddetti tiratoi esposti in zone ventose in modo di velocizzare al meglio l’operazione.
Tessuti, merce preziosa quindi da proteggere? Potrebbe anche darsi.


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