da Firenze a San Giovanni Valdarno
di Giovanni Caselli


da Firenze a Palazzolo km 23,7 da Palazzolo a San Giovanni Valdarno km 20
Per dirigersi verso Arezzo, come vedremo un punto di grande interesse per il pellegrinaggio a Roma, conveniva prendere la via di Roma traversando il Ponte Vecchio ma subito si risaliva l’Arno, per qualche centinaio di metri lungo una via ai piedi delle colline, fino all’antica Badia benedettina di Ripoli, dove si svoltava repentinamente verso sud per la via Chiantigiana fino a Grassina, si risaliva il torrente Ema fino a località Capannuccia, per continuare verso Castel Ruggero e Strada in Chianti, un nome che suggerisce la romanità di questa direttrice che salendo per Cintoia sull’altipiano di Montescalari ci porta ad Aquileia, la prima mansione da Firenze sulla Via Cassia Nova; una altura tronco-conica che si innalza sul margine settentrionale dell’altipiano dominante su grandiosi panorami tutto il contado fiorentino fino all’Appennino bolognese e oltre fino al senese e l’aretino.
La scoperta archeologica dei ruderi di Aquileia chi scrive la deve al Dempster ovvero a quel primo libro mitico sugli etruschi scritto da uno scozzese nel XVII secolo e pubblicato un secolo dopo da Cosimo III de’ Medici, un libro che oltre ad essere il primo trattato archeologico sugli Etruschi, rimane forse il più interessante poiché causa tutt’ora scoperte su questo affascinante popolo. Quando un giorno del 1967 facevo visita al parroco di San Donato in Collina, un letterato mandato in esilio punitivo in questo paese dove non c’era nulla eccetto un numero incredibile di siti etruschi, purtroppo non percepibili dai non esperti. La scoperta dei libro del Dempster fu una sorpresa, lo individuai nella vasta biblioteca di Don Ettore Scozzafava nella Canonica di San Donato. La cartina archeologia allegata al tomo settecentesco indicava che sull’altipiano di Montescalari, accanto all’Abbazia vi era il rudere di una Aquileia diruta, (diruta, diruita ossia rovinata). Il giorno seguente eravamo sul Montescalari e subito notammo la collinetta troco conica sospetta di nascondere le rovine della mansio che la Tabula Peutingeriana ci dava come ultima tappa prima di Firenze, senza tuttavia specificare la distanza. Sulla cima del Montemoggino, trovammo le rovine di una costruzione romana e constatammo che la via proveniva da Figline che tra l’altro era in epoca etrusca e romana, un porto fluviale. Si può congetturare che sia stato possibile attorno al decimo secolo, continuare il viaggio a Roma per via d’acqua almeno fino a Orvieto, dove la strada poteva portare a Montefiascone. Tuttavia la viabilità per Arezzo era da Figline pressappoco quella attuale.
Da Montescalari la Via Cassia Adrianea scendeva al Ponte agli Stolli, un ponte ritenuto di fattura romana, quindi poco avanti il viaggiatore avrebbe raggiunto Figline, ancora non trasformata in ”colonia” fiorentina, pur facendo parte della diocesi di Fiesole, “Fegghine” rimaneva e ancora rimane sul confine tra i territori di Firenze e di Arezzo. Dal nome si deduce che si tratta di un luogo dove si lavorano argille per la fabbricazione di vasi e stoviglie in terra cotta secondo un’arte della ceramica prima etrusca e poi romana. Abbiamo notizie di Fegghine dal X secolo, allora si trattava di un castello in località San Romolo. In basso, dove sorge l’attuale Figline vi era il “mercatale” del castello. Vicino esisteva circa 2000 anni prima, il porto emporio etrusco . nel XII secolo Fiesole cercò di trasferire, nella ormai cittadina , la sede vescovile, ma il tentativo di Fiesole fallì.

Figline, ghibellina, fu incorporata nel dominio guelfo di Firenze. Verso la metà del XIV secolo furono costruite le mura per la difesa della città . Circa 500 m a sud della città, in località “La Rotta” è stato localizzato il porto fluviale che funzionò dall’Età del Bronzo alla fine dell’epoca romana. Un insediamento in valle come quello della Rotta di Figline, non poteva esistere se non in diretta dipendenza col fiume, come emporio per il carico e scarico di merci. L’abitato era sempre in alto al sicuro dalle alluvioni invernali. La via Cassia o la sua variante medievale correvano lungo gli antichi terrazzi fluviali, generalmente qualche metro al di sopra del livello del fiume in piena.

Partendo adesso da Figline cerchiamo di capire dove stiamo camminando. Stiamo per confrontarci con una serie di “Terre Nuove Fiorentine” che noi definiremo ”Città nuove” che crebbero a destra e a sinistra dell’Arno tra le fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. La crescita di queste vere e proprie “colonie”, causata dalla necessità o volontà di espansione del potere della città, che aveva abbattuto sistematicamente ogni castello delle famiglie generalmente di ascendenza longobarda, o dipendenti dal Potere imperiale, usate come residenze dei nobili e come centri di controllo e amministrazione dei loro territori; in virtù del potere conferito a loro e agli abati dei monasteri dall’Imperatore, traevano i loro profitti dalle campagne mediante pedaggi, balzelli, dazi, calle e gabelle delle transumanze, mai dediti al commercio, erano impedimenti per espansione economica della città che cresceva.
Le nuove città, cresciute sul modello greco, non solo affermavano il potere della città, accogliendo o riempiendosi con gli abitanti del contado famigli e contadini servi dei nobili dei castelli e soprattutto dei migranti che a frotte giungevano in Italia. Giungevano in questo periodo frotte di migranti dall’impero bizantino in disfacimento assieme a cristiani ed ebrei che rifiutavano l’Islam in espansione.

Questa valle era territorio di transito, ad est dominava il panorama il grade Pratomagno che dai picchi più alti scendeva a precipizio sui fertili piani, residui del fondo del lago che fino a una decina di milioni di anni or sono pullulava di vita animale e vegetale dove brucavano rinoceronti, ippopotami, elefanti, cervi giganti e gazzelle, cacciati da bestie come le tigre dai denti a sciabola le iene giganti, i lupi e i leoni, sui grandi alberi di specie anch’esse oggi estinte si posavano stormi di uccelli amanti degli acquitrini e scimmie quali la Macaca florentina, presente anche nel simile lago del Mugello. Oggi nella parte sud ovest del Valdarno si è estratto e si estrae la lignite della grande foresta che milioni di anni or sono ombreggiava gli acquitrini.
Oggi tutta questa preistoria la si legge nel museo di Montevarchi. Sui piani che si trovano ad est della valle come mensola del Pratomagno scorreva la Via Cassia Antica, costruita da un illustre sconosciuto nel 154 o nel 127 a.C. Oggi la direttrice è seguita da vicino, ricalcata dalla cosiddetta Via dei Sette Ponti, che in realtà sono di un numero più vicino al 77, dato che le decine di torrenti che scendendo dal Pratomagno hanno scavato numerosi fossati richiedono ognuno un ponte.
Nel Valdarno, anche su questi fertilissimi piani come alla base dei Monti del Chianti, a occidente, crebbero colonie fiorentine come funghi: San Giovanni, Castelfranco, Terranuova, mentre i piccoli centri urbanizzati attorno a monasteri o pievi, venivano anch’essi ristrutturati secondo il modello stabilito, tra questi : Pontassieve, Figline, Montevarchi, Pian di Sco, Laterina e altri. Questo fenomeno si manifesta su tutto il territorio conquistato da Firenze: nel Mugello, nel Valdarno inferiore, nel Chianti.
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Per una dettagliata descrizione del percorso si consiglia di visionare il sito Via Romea Germanica Imperiale da cui abbiamo tratto le cartine