
Per ricordare l’alluvione del 4 novembre del 1966, riproponiamo l’articolo già pubblicato:
“Firenze e l’Arno un rapporto difficile”
cui aggiungiamo alcuni versi tratti da Antonio Pucci dal “Novello sermintese lagrimando” dedicato ad un altro 4 novembre del lontano 1333: incredibilmente le date si ripetono!
Tra vespro e la nona il fiume rompe gli argini e travolge i ponti:
E, poco stando, tra vespro e la nona,
si come per chi ‘l vide si ragiona, il fiume ruppe, che si forte sprona, ogni pescaia; e fe’ cadere il ponte alla Carraja […] I’ dico che non ero a meza via A ritornare in verso casa mia, ch’i’ udì dir che Ponte Vecchio già per l’acqua rotto. […] E riponendo verso l’acqua cura (e questa ben li parve cosa scura!) Vide venir per la fortuna dura in una culla O ver fanciul che fosse o ver fanciulla, e non parea ch’ avesse addosso nulla: chi le suol dar le cose e chi ‘l trastulla or che ne fia? Egli era vivo e tuttavia piagnia E l’acqua forte nel menava via;
| e poi di dietro a lui ratto venia
un greve legno! […] Giù per quel fiume ch’era tanto rio Più cose venner ch’io no le vid’io, ma i’ ò scritto il vero da que’ ch’io d’altrui ascoltai Per l’Arno ne venivano e telai con l’orditura, e capanne e pagliai, e dietro a questo poi veniva assai d’ogni legname; iscope sciolte, ed anche con legame; e una pieta fu pure ‘l bestiame; ancor si vide molta lana e stame ed alcun panno; persona non s’andò la notte a letto, chi fuggì in alto palco e chi sul tetto, piangiendo (forte), picchiandosi ‘el petto ognun gridava misericordia ciaschedun chiamava, piccoli e grandi forte lagrimava.
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