di Giovanni Caselli

Nel 1838 una pastorella di Stia trovò una statuetta di bronzo sulla sponda di un laghetto non lontano dalle sorgenti dell’Arno a circa 1400 metri di quota. Il laghetto, formatosi a causa di un cedimento geologico nel fianco della montagna era noto come Lago di Ciliegeta e probabilmente costituiva un punto di attrazione per la popolazione e soprattutto per i pastori di questa montagna, la più alta dei pascoli estivi dell’Appennino tosco-romagnolo. Il ritrovamento stimolò gli eruditi della zona di Stia a formare una associazione di dilettanti che si impegnò a condurre ricerche attorno a quello specchio d’acqua.
I ricercatori, con a capo l’avvocato Carlo Beni, diedero la nuova denominazione di Lago degli Idoli per quello che era da sempre Lago di Ciliegeta. Prosciugando il lago furono recuperati infatti circa 650 statuette in bronzo, alcune delle quali sono conservate al British Museum di Londra, al Louvre di Parigi, all’Ermitage di San Pietroburgo e alla National Gallery di Baltimora. I reperti furono dapprima offerti al Granduca Leopoldo II ma avendo egli appena acquistato una notevole quantità di reperti egiziani, che formano la galleria egizia del Museo Archeologico di Firenze, rifiutò di fare un novo acquisto e per questo i prosciugatori del lago decisero di cederli al migliore offerente. Naturalmente il lago, ora asciutto, attrasse numerosi scavatori clandestini e moltissimi reperti andarono ad abbellire vetrine private casentinesi e aretine.
Quando poi uscirono sul mercato i primi “metal detectors” questi furono sperimentati nel famoso lago e il saccheggio si fece più intenso anche se sempre meno fruttifero. Nel 1972 il nuovo Soprintendente all’archeologia della Toscana, Dr. Francesco Nicosia, iniziò uno scavo scientifico del fondo del lago, ormai devastato da scavi clandestini, ma questa campagna di scavo fu interrotta dal cattivo tempo, anche se furono recuperati numerosi rimasugli di ferro e bronzo, soprattutto frammenti di frecce e lance e di ‘aes rude’(cioè pezzetti di bronzo usati come moneta).
Infine, nel 2003 uno scavo sistematico multidiciplinare promosso dalla Comunità Montana del Casentino e condotto da varie enti quali la Soprintendenza ai Beni Archeologici, il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, la Regione Toscana, la Provincia di Arezzo, i Comuni di Stia, Poppi e Bibbiena, il Gruppo Archeologico Casentinese, condotto dalla Co. I.D.R.A. di Firenze e diretto dal Dr. Luca Fedeli, interessò l’intero bacino del lago e le sponde, per una estensione di 3600 mq. Il risultato consisté nel recupero di 20 figurine umane di bronzo, parti anatomiche, e figurine di animali, 900 pezzi di ‘aes rude’, 4000 frammenti di cuspidi da frecce e lance di ferro. Tre piccole lamine d’oro con testa di animale a sbalzo, due perline di collana di pasta vitrea, alcune monete romane, diversi frammenti di ceramica e una decina di strumenti di selce tardo neolitici e dell’Età del Bronzo. Si deduce dai ritrovamenti che il laghetto era frequentato durante un periodo limitato, dal VI al III secolo a.C. circa.
I numerosi residui di armi in ferro danno credito all’ipotesi delle qualità medicamentose dell’acqua del lago, causate dall’introduzione di tronchi d’albero e cortecce di alberi ricchi di tannino e creosoto.
E’ palese che il lago fosse frequentato anche da soldati che vi si recavano per guarire le loro ferite, ma l’ipotesi che dalla cima del Falterona transitasse una strada importante che metteva in comunicazione il Casentino con la pianura Padana non è sostenibile, è semplicemente assurdo. Vi transitava, come oggi, il sentiero del Passo delle Crocicchie ma il lago fu in epoca etrusca un luogo di pellegrinaggio per il significato che all’epoca poteva avere sia per il fatto che si trovava a pochi metri dalle sorgenti del bacino Arno-Tevere: i due fiumi e la montagna dalla quale scaturivano rivestivano un significato importante per la popolazione pastorale della regione che aveva la residenza estiva sull’Appennino e quella invernale sulla costa tirrenica dove i due fiumi riversano le acque della montagna nel mare. Esattamente come accade nelle regioni dei pastori Valacchi del Pindo. J. R. McNeill The mountains of the mediterranean world, Cambridge University Press, 1992 .
E’ certo che in prossimità del Falterona transitasse anche una strada che salendo da Gaviserri, scendeva in Romagna dal Monte Cavrenno, toponimo etrusco e luogo di ritrovamento di monete etrusche (aes grave) famose per le loro grandi dimensioni.
Parlando col Prof. Gregory Warden da oltre 20 anni direttore degli scavi archeologici di Poggio Colla presso Vicchio di Mugello, si è ipotizzato che il tempio etrusco arcaico scoperto in quel sito abbia un collegamento diretto con il Lago degli Idoli mediante il tratturo che dal Monte Falterona scende al Poggio San Martino di Frascole e a Sandetole. Questo tratturo antichissimo era sicuramente collegato con il Monte Giovi, un importante luogo di culto etrusco sopra Poggio Colla, data la presenza di materiali simili nei tre siti e poiché l’ipotesi del pellegrinaggio tra questi siti appare logica su basi di natura antropologica oltre che geografica. E’ in corso un progetto di lancio di questa via di pellegrinaggio etrusca, per i camminatori, da parte di varie entità nell’ambito della valorizzazione turistica del territorio.
Nel Convivio (IV, XI,9.) Dante parla anche di un ritrovamento archeologico avvenuto mentre lui passava lungo la via del Monte Falterona:
“Veramente io vidi lo luogo, ne le coste d’un monte che si chiama Falterona, in Toscana, dove lo più vile villano di tutta la contrada zappando, più d’uno staio di santalene* d’argento finissimo vi trovò. Che forse più di dumila anni l’aveano aspettato”.

“Santalene*” significa Sant’Elene, all’epoca si parlava di medaglie con rafigurazioni di santi quando si trovava una moneta romana con l’effige di un imperatore. Nel caso specifico deve essersi trattato di un tesoretto di vittoriati argentei, come ne sono stati trovati anche in Mugello, la vittoria alata sul verso della moneta era interpretata come Sant’Elena. La località del ritrovamento sarà stata il Lago degli Idoli, anche perché la strada spesso percorsa da Dante per recarsi a San Godenzo, ancora esistente, passa proprio di lì.