di Alessandro Ferrini

Il torrente Mugnone, strettamente legato alla storia di Firenze, non poteva mancare di essere ricordato nel Decameron, le cui novelle sono state in gran parte ambientate dall’autore in Luoghi dell’alta Toscana e del territorio fiorentino.

Il torrente nasce nei pressi di Vetta le Croci sul crinale meridionale e riceve vari affluenti lungo il suo percorso, dei quali il più ricco di acque è il Terzolle, prima di confluire nell’Arno.

Nel corso della storia il suo percorso ha subito diverse variazioni: in epoca romana sfociava nei pressi del guado più o meno all’altezza dell’odierno Ponte Vecchio e sicuramente la confluenza dei due fiumi fu il motivo principale della scelta del luogo per fondarci la colonia. Nel Medioevo con l’edificazione della terza cerchia di mura, nei primi decenni del Trecento, il suo corso venne deviato all’altezza della chiesa di San Marco Vecchio per fornire una maggiore protezione sul lato nord occidentale della città, fino alla chiesa di Santa Maria Novella, allora fuori dalle mura e poi lungo l’odierna via de’Fossi (il nome deriva proprio dai fossati di difesa) per sfociare nei pressi del ponte alla Carraia. In epoca più recente fi ancora deviato e oggi il suo corso dopo aver costeggiato il Parco delle Cascine si getta nel fiume principale all’altezza del Ponte all’Indiano.

Due sono le novelle del Decameron in cui il torrente Mugnone viene espressamente ricordato: la prima, ambientata lungo il greto appena fuori Porta San Gallo, è la celebre Calandrino e l’elitropia (VIII,3) (vai al testo della novella) in cui il malcapitato quanto ingenuo Calanrino vittima degli scherzi feroci dei due amici Bruno e Buffalmacco viene convinto a cercare l’elitropia, la magica pietra che avrebbe dovuto rendere invisibile colui che la portava addosso (Chi volesse leggere la novella per intero la trova a questo link); la seconda si svolge presso un’osteria a Pian di Mugnone (IX,6) (vai al testo della novella), lungo l’antica strada Faentina, costruita in epoca romana.

Lì c’era un oste che ospitava volentieri i viandanti “in cambio de’ lor denari” e che aveva una bella moglie, un figlio piccolo e una figlia quindicenne di nome Niccolosa. Di costei si era innamorato Pinuccio un giovane fiorentino che insieme all’amico Adriano aveva inventato un espediente per incontrarla: noleggiarono due cavalli, vi caricarono i loro bagagli e fingendo di venire dalla Romagna discendendo dalla via Faentina si fermarono alla locanda. Chiesero alloggia al padre di Nicolosa dal momento che era ormai sera e le porte della città venivano chiuse e l’oste dopo avergli servito la cena li ospitò per la notte in una stanzetta dove dormiva anche lui con la famiglia, scusandosi per non poterli sistemare meglio a causa dell’ora tarda. Poi, nel cuore della notte e nel buio più fitto della stanza successe di tutto.

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