di Giovanni Caselli
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Nella lettera di Plinio il Giovane (61-114 d.C.) inviata all’amico Domizio Apollinare, in cui descrive la sua villa di Val Tiberina, ‘in Tuscis’, (oggi nel comune di San Giustino a pochi chilometri da Sansepolcro n.d.r.) vediamo applicati i canoni riportati da Vitruvio nel De Architettura.
“La sollecita preoccupazione che hai espresso nel sapere della mia intenzione di trascorrere l’estate nella mia villa in Etruria, e i tuoi cari tentativi per dissuadermi dal recarmi in un luogo che ritieni insalubre, mi hanno fatto molto piacere. Ammetto, senz’altro, che l’aria di quella parte della Toscana che giace verso la costa sia spessa e insalubre, ma la mia casa è situata a grande distanza dal mare e ai piedi di quegli Appennini così rinomati per la loro salubrità. Per far sì che le tue apprensioni nei miei confronti svaniscano, ti darò una descrizione della gentilezza di quel clima, della posizione di quella regione e della bellezza della mia villa, che senza dubbio ascolterai con lo stesso piacere col quale te la racconto.
Gli inverni sono severi e gelidi, i mirti e gli olivi e altri alberi che necessitano di continuo tepore, non regnano qui, ma l’alloro vi cresce e molto bene; tuttavia, anche se non più spesso, nelle vicinanze di Roma questo viene ucciso dal gelo. L’estate è estremamente clemente, spirano sempre correnti d’aria, anche se i venti sono meno frequenti delle brezze. Qui abbondano i vecchi. Se tu venissi qui e vedessi quanti di loro hanno nipoti e pronipoti, e ascoltassi le loro divertenti storie di antenati, tu vorresti esser vissuto in un’altra epoca.
E’ questa una regione bellissima; immagina un immenso anfiteatro, che solo madre natura abbia potuto plasmare. Dinanzi a te giace una vasta, estesa pianura cinta da una catena montuosa le cui sommità sono coronate da dense e antiche foreste che offrono varia e abbondante selvaggina.

Da lassù, man mano che si discende troviamo i boschi cedui, frammisti a questi vi sono colli dal pingue terreno dove raramente si troverà una pietra. La fertilità di questi colli non è inferiore a quella della pianura e anche se la stagione dei raccolti qui viene più tardi, le messi non sono né meno rigogliose né meno mature. Ai piedi di queste colline, ovunque l’occhio giri è colpito dalla vista di vigneti senza fine, delimitati in basso da un cordonato di siepi. Da qui si spandono prati e campi, il cui terreno è così tenace che necessita di essere arato diverse volte, con i buoi dei più grandi e gli aratri più forti prima di essere dissodato.
I prati guarniti di fiori producono trifoglio e tenere erbe, sempre umide e fresche grazie alle infallibili pioggerelle.
Ma anche se la regione abbonda di acque, non vi sono paludi in quanto il terreno è in pendio e riceve qualsiasi quantità d’acqua la quale scorre verso il Tevere senza essere assorbita. Questo fiume, che scorre in mezzo ai campi, è navigabile soltanto in inverno e in primavera, quando trasporta i prodotti della terra all’urbe, ma il suo corso è così ridotto in estate che si abbandona l’appellativo di ‘gran fiume’ per riesumarlo soltanto in autunno. Se tu vedessi questa regione dall’alto dei monti ne rimarresti molto contento; non la crederesti vera, ma dipinta magnificamente in ogni dettaglio, tanta è l’armonia e la perfezione di ogni cosa che l’occhio se ne compiace ovunque guardi.

La mia villa, anche se è situata ai piedi della montagna, gode quasi dello stesso panorama che si vede dalla sommità; ci arrivi tramite un clivo che si ascende quasi senza accorgersene. Dietro, a grande distanza, si eleva l’Appennino; nei giorni più calmi e sereni le brezze ci giungono da lassù, ingentilite dal lungo percorso che devono compiere.
La parte principale dell’edificio è esposta verso sud, per cui sembra invitare il sole, da mezzogiorno in estate, (un po’ prima in inverno) entro un ampio e lungo portico contenente varie parti, una delle quali è un atrio, costruito alla maniera antica. Davanti al portico è una terrazza divisa in tante figure geometriche, incorniciata da una siepe di bosso. La discesa dalla terrazza è un pendio erboso adornato da una doppia fila di alberi di bosso potati in forme di animali; il piano, ai piedi del pendio è coperto di morbido, quasi fluido acanto. Questo verde è racchiuso da un vialetto bordato con dense siepi di bosso, potate in una gran varietà di forme. Più oltre vi è una pista disegnata in forma di circo all’interno del quale è una piantagione di bossi potati in tantissime forme diverse, fra bassi arbusti che non crescono o che vengono tenuti bassi dalle forbici.
Il tutto è racchiuso entro un muro mascherato da alberi di bosso in file di altezze diverse che, per gradi, arrivano all’altezza del muro. Oltre il muro c’è un prato che contiene tante bellezze naturali quante ve ne sono di artificiali all’interno del muro. Alla fine di questo prato ve ne sono diversi altri, quindi i campi, divisi da siepi.
Alla fine del portico c’è un grande triclinio, dalla cui porta a battenti si vede la fine della terrazza; oltre questa si gode una gran veduta della campagna, laggiù oltre i prati. Dalle finestre si vede, da una parte, un lato della terrazza e quella parte della casa che si protende in avanti, dall’altra gli alberi che racchiudono l’adiacente ippodromo. Di fronte, quasi nel centro del portico, vi è un alloggio, un po’ ritirato, che racchiude un piccolo cortile adombrato da quattro platani, nel mezzo del quale si innalza una fonte da cui l’acqua scorrendo sull’orlo di una vasca di marmo va a innaffiare i platani e il terreno sotto di essi. Questo alloggio contiene una camera da letto, lontana da qualsiasi rumore, che la luce non può raggiungere; poi vi è la mia stanza da pranzo che uso solo in compagnia di amici intimi. Da qui si vede il cortile appena descritto e il prospetto di esso. Di lato vi è un’altra stanza situata presso il più vicino dei platani verde e ombroso; le sue pareti sono rivestite di marmo fino alla cornice, mentre sopra, nel fregio vi è dipinto un viticcio con uccelli appollaiati sui rami, il quale fa un effetto altrettanto piacevole quanto il marmo. In questa stanza vi è una fontanella che spruzzando acqua in una vasca attraverso diversi beccucci produce un gradevole mormorio.

Da un’ala del portico si entra in una spaziosa camera, di fronte al gran triclinio, da alcune delle sue finestre si gode di una veduta della terrazza da altre si vedono i prati, mentre dalle finestre al centro si domina una piscina ornamentale, la cui presenza è gradita sia all’occhio che all’orecchio; l’acqua che vi cade da grande altezza, schiumeggia attorno al bordo del bacino di marmo. Questa camera è caldissima in inverno, essendo ben esposta al sole, e durante i giorni nuvolosi l’aria calda da una vicina stufa provvede benissimo all’assenza del sole. Da qui si passa attraverso uno spazioso e piacevole apodyterium, nel frigidarium del bagno, dov’è una vasca ampia e cupa. Se però uno volesse nuotare e avere acqua più calda, vi è una piscina nell’aia e lì vicino un pozzo dal quale trarre acqua fredda per rinfrescarsi di nuovo quando ci fossimo troppo assuefatti al tepore. Contiguo al frigidarium vi è il tepidarium che gode del tepore del sole, ma non così intensamente quanto il calidarium, che si protende all’infuori dalla casa. Quest’ultimo consiste di tre multi divisioni, ognuna con diverse gradazioni di calore; le prime due sono in pieno sole, le ultime, se pure non così esposte al suo calore, ricevono altrettanta luce. Sopra l’apodyterium è situato lo spheristerium, grande abbastanza da permettere diversi tipi di giuochi contemporaneamente, e ognuno col proprio circolo di spettatori.

Non lontano dal bagno vi è una scala che porta a un cryptoporticum e a tre appartamenti; uno di questi dà sul cortile dei quattro platani, un altro a una vista dei prati, mentre il terzo si proietta verso la vigna e guarda verso la parte opposta del cielo. Su un lato del cryptoporticum, anzi, ottenuta da questo, è una camera che dà sull’ippodromo, la vigna e le montagne; adiacente a questa è una stanza pienamente esposta al sole, particolarmente d’inverno. Da qui corre un’ala della casa che la collega all’ippodromo.
Tali sono le amenità della villa sul davanti. Di lato vi è un cryptoporticum estivo rialzato, il quale non solo gode della vista del vigneto, ma sembra addirittura toccarlo. A metà c’è un triclinium che riceve le saluberrime brezze delle valli appenniniche; le finestre del retro, che sono grandissime, lasciano entrare, per modo di dire, il vigneto, così come fanno le porte a battenti, tuttavia si ottiene la stessa veduta dal cryptoporticum. Lungo il lato senza finestre del triclinium, corre una scala privata, per il comodo del servizio, mentre alla fine è una camera dalla quale l’occhio viene appagato con una vista sulla vigna, e (ugualmente piacevole) del cryptoporticum. Sotto il cryptoporticum ce n’è uno simile sotterraneo, che nel pieno dell’estate trattiene il suo frigore e, grazie a questa sua atmosfera, non necessita di fresco o brezze dall’esterno.
Dietro ambedue questi cryptoportici, alla fine del triclinium, c’è un portico, che, nelle ore avanzate del giorno serve sia d’estate che d’inverno. Questo conduce a due diversi appartamenti, uno con quattro camere, gli altri tre godono, durante la giornata, alternativamente di sole o di ombra. Di fronte a questi amenissimi edifici vi è uno spaziosissimo ippodromo, completamente aperto al centro per cui l’occhio di chi vi giunge percepisce tutto l’insieme immediatamente. L’ippodromo è circondato da ogni parte di platani coperti di edera, in modo che quando le chiome si coprono del loro proprio verde, i loro tronchi godono di verdura aliena; l’edera, avvinghiandosi attorno ai tronchi e ai rami, si spande da un albero all’altro legandoli tutti assieme. Fra un platano e l’altro vi sono alberi di bosso e dietro a questi vi sono allori che amalgamano la loro ombra con quella dei platani. Il camminamento rialzato che corre attorno all’ippodromo, che qui è rettilineo, curva in un emiciclo assumendo un aspetto diverso essendo fiancheggiato da cipressi e oscurato dalla loro densa e cupa ombra; mentre le corsie circolari più interne godono il pieno sole. Più avanti vi sono anche rose lungo il viale e la loro gradevole ombra si alterna al sole.

Finita la serie di curve il viale riprende il suo corso rettilineo dividendosi, allo stesso tempo in diverse corsie, separate da siepi di bosso. In un posto c’è un praticello, in un’altro posto il bosso è piantato a gruppi e tagliato in mille diverse forme; a volte le lettere iniziali del nome del padrone, a volte il nome dell’artefice; mentre qua e là piccoli obelischi si alternano ad alberi da frutto. D’un tratto, nel mezzo di questa elegante regolarità, ti coglie di sorpresa un’imitazione della negligente bellezza della natura rurale, nel centro della quale c’è un punto circondato da un nodo di platani nani. Oltre ciò vi sono cespugli del liscio e convoluto acanto, quindi una serie di figure e di nomi in bosso potato.
In cima vi è una panchina semicircolare di candido marmo, adombrata da una vite tirata sopra quattro pilastrini di marmo di Caristia. L’acqua spilla da diversi zampilli sotto la panchina, come spinta dal peso della persona seduta su di essa, e cade in una cisterna di pietra sottostante dalla quale finisce in una bella lucida vasca di marmo, così congegnata da essere sempre piena senza che trabocchi.
Quando ceno qui, il vassoio degli antipasti e i vassoi più grandi vengono posti attorno al margine, mentre i più piccoli galleggiano in mezzo come navicelle o piccole anitre. Di fronte a questa è una fontana che incessantemente si riempie e si svuota in quanto l’acqua che essa getta su a grande altezza, ricadendo viene subito respinta su, tramite aperture comunicanti, alla stessa velocità.
Di fronte alla panchina (e che ad essa dona tanto quanto ne trae) c’è una stanza di splendente marmo, le cui porte si aprono verso un prato; dalle sue finestre, superiori ed inferiori l’occhio corre su e giù sopra altri verdi spazi.
Accanto a questa è un camerino privato (che se pur separato è come fosse nella stessa stanza) con un letto. Vi sono finestre su ogni lato, tuttavia esso gode di una gradevole oscurità, grazie a una vite che vi si arrampica sopra e che completamente lo adombra. Qui puoi giacere immaginando di essere in un bosco, con il vantaggio di non essere esposto alla pioggia. Anche qui una fontana si innalza e scompare.
Vi sono diversi sedili di marmo un po’ dappertutto, i quali servono, non meno delle camere, per riposarsi dopo che uno si è stancato di camminare. Presso ogni sedile vi è una piccola fontana, e per tutto l’ippodromo scorrono rivoletti d’acqua tramite tubature, che mormorano e corrono ovunque la mano dell’artista ha ritenuto opportuno; essi innaffiano qua e la varie aiuole e, durante il loro corso, rinfrescano tutto.

Avrei evitato di essere troppo meticoloso nei particolari se non mi fossi proposto di condurti, con questa lettera, in ogni angolo della mia casa e giardini, ma non ho paura che tu consideri laborioso leggere di un luogo che non ti sarebbe difficile esplorare, specialmente se tu puoi riposarti dove e quando vuoi, sedendoti, o mettendo da parte la mia lettera … Ti ho così detto perché preferisco la mia villa toscana a quella tusculana, tiburtina o prenestina. Oltre ai vantaggi già menzionati, là godo di una libertà che mi da un profondo piacere; non ho bisogno di vestirmi formalmente, nessuno arriva improvvisamente per qualcosa di importante. Tutto è calmo e composto, il che contribuisce non meno dell’aria pulita e del cielo terso alla salubrità del luogo. Là sono particolarmente beneficiato da salute di corpo e felicità di mente, in quanto tengo la mia mente in esercizio tramite lo studio e il mio corpo tramite la caccia. Senz’altro non vi é posto dove la mia gente si trovi bene come qui, sono sicuro di non aver perduto nessuno fra tutti coloro che ho portato qui con me. Possano gli dei continuare a dare a me questa felicità e alla mia villa questa gloria! Addio.”(Lib.V,VI Lettera a Domitius Apollinaris)
Il sito della villa ‘in Tuscis’ di Plinio è stato identificato in località Campo Santa Fiora, nella parrocchia di Passerina; fra il torrente Lama a sud e il Valmontone a nord, vi é un’altura detta ‘Colle Plinio’ dove sorge una villa, sulle pendici della collina vi sono resti di costruzioni romane da cui provengono iscrizioni che confermano trattarsi della villa di Plinio.
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