Le origini della ferrovia Lucca-Pisa
di Guglielmo Evangelista

Fino al 1847 Lucca fu un Ducato indipendente e dal 1824 vi regnava Carlo Ludovico II di Borbone, un personaggio in un certo qual modo sconcertante, che alternava la vita brillante e l’indifferenza per gli affari di stato a un positivo interessamento per il suo paese e per la promozione di un buon governo anche se, stante la piccola estensione e un’economia che aveva più ombre che luci, le finanze dello stato erano sempre in difficoltà e a questo contribuiva lo stesso Duca che usava allegramente il denaro pubblico come se fosse il proprio. Come in tutta l’Europa, a partire dagli anni successivi al 1820, scoppiò anche in Toscana la febbre delle strade ferrate e nel 1844 fu aperta la prima ferrovia fra Livorno e Pisa, destinata ad essere presto prolungata fino a Firenze, di cui si favoleggiava e si discuteva fin dal lontano 1825. Anche Lucca era stata contagiata da questo entusiasmo e nel 1841 si era costituito un comitato, guidato dall’avvocato Pasquale Berghini, che si mise subito al lavoro e già il 10 dicembre 1841 ottenne dal Duca, che fu subito conquistato dall’idea, la concessione per la costruzione e l’esercizio di una linea da Lucca a Pisa per una durata di cento anni. Ovviamente tutto era subordinato al fatto che venisse ottenuto un analogo provvedimento da parte del Granduca di Toscana, per permettere alla ferrovia di proseguire oltreconfine, che diede il suo benestare con motu proprio il 27 giugno 1844. Il 29 settembre 1846 fu aperto il primo tratto da Lucca a San Giuliano e il 15 novembre 1846 la linea fu completata fino alla stazione di Pisa Porta Nuova, l’attuale stazione di San Rossore che solo nel 1861 venne collegata alla stazione di Pisa Centrale. Venivano effettuate tre coppie di treni giornalieri che coprivano il percorso fra i due capilinea in tre quarti d’ora.
Il primo progetto era stato studiato dall’ingegner Tommaso Bianchi e fu rivisto dall’ingegnere tedesco Enrico Polmheimer sotto la sorveglianza del Commissario Regio Nottolini, architetto delle reali fabbriche. La stazione di Ripafratta, situata vicino alla dogana di Cersasomma, era stazione di confine e questa piccola linea guadagnò il primato di essere la prima ferrovia internazionale costruita al mondo. Il costo complessivo fu di quasi tre milioni di lire toscane, superiore del 40% a quanto era stato preventivato e la rendita annua che sarebbe dovuta essere di 50000 lire si dimostrò una chimera: anzi, fin dai primi tempi di esercizio il dissesto era dietro l’angolo.

Nel 1847, seguendo le complesse vicende dinastiche europee stabilite fin dal Congresso di Vienna del 1814, Carlo Ludovico passò al trono di Parma abdicando a favore di Leopoldo II di Lorena e mettendo fine all’indipendenza di Lucca che risaliva al medioevo, così che la città con il suo territorio furono annessi al Granducato di Toscana. Come abbiamo già detto, l’economia lucchese non era florida e l’annessione la danneggiò ulteriormente: la società concessionaria, coinvolta anche in una serie di rapporti e cointeressenze relativi al prolungamento della linea verso Pistoia e Firenze, continuò a dibattersi in cattive acque (…le tristissime economiche vicende…come fu scritto in linguaggio ottocentesco) finché arrivò al tracollo e dichiarò fallimento nel 1854.
Nonostante questo, nelle more del procedimento giudiziario fallimentare, si riuscì ad assicurare la continuità del servizio finché nel 1859 la linea fu acquistata dal Governo Provvisorio Toscano per la somma, considerata piuttosto conveniente, di 2.129.000 lire. Successivamente il pacchetto azionario passò alle Ferrovie Livornesi e poco più tardi, avvenuta l’Unità d’Italia, alle Ferrovie Romane. Nel volgere di pochi anni Lucca si avviò a diventare un nodo ferroviario non indifferente: completata nel 1859 la linea verso Pistoia, ad essa seguirono quella per Viareggio, quella per la valle del Serchio e infine quella per Pontedera mentre sfumò la prospettiva della ferrovia per Modena, studiata fin dal 1850. In questo contesto nazionale la Lucca-Pisa perse ovviamente quella sua individualità che l’aveva caratterizzata nei primi anni di vita, avviandosi verso tutta un’altra storia.
Nel complesso le vicende di questa ferrovia non sono diverse da quelle di tante altre linee nate in quei tempi pionieristici quando gli scarsi capitali della provincia italiana e la realtà dei bilanci avevano presto raffreddato gli entusiasmi iniziali, ma essa va ricordata, oltre che la sua internazionalità, anche per un’altra peculiarità: per il materiale rotabile. Esso, infatti, era di un tipo senza corrispondenza con quello circolante nel resto dell’Italia: in un’epoca in cui erano l’Inghilterra e, in minor misura, la Germania e la Francia a dettar legge in campo ferroviario, la società esercente si rivolse all’industria americana commissionando alla Norris di Filadelfia tre locomotive. Le macchine, sbarcate a Livorno smontate e trasferite a Lucca via strada, non ricevettero un numero di servizio, ma un nome: Pisa, Lucca e Ripafratta.
La loro tecnica era inusuale per l’epoca, con un profilo aggraziato e caratterizzato da un carrello anteriore a due assi e quattro grandi ruote motrici (La Ripafratta, più piccola, ne aveva solo due). La loro impostazione le rendeva piuttosto veloci e in grado di marciare a una sessantina di chilometri orari. Tra l’altro, a ben vedere, avevano proprio il profilo delle locomotive del Far West che ci siamo abituati a vedere in tanti film: basta aggiungere il parascintille conico al fumaiolo e lo scacciabuoi anteriore, indispensabili in America dove si usava l’alimentazione a legna e per allontanare gli ostacoli attraversando la prateria (in particolare i bisonti) e….il gioco è fatto.

Le due macchine più grandi ebbero vita lunga: passarono alle Strade Ferrate Romane, società costituita per esercitare la maggior parte delle linee dell’Italia centrale, che assegnarono loro i numeri 61 e 62 e, poco prima del 1880, vennero vendute a privati proseguendo ancora la loro carriera come locomotive da cantiere.

Norris coeva e identica a quelle lucchesi (Da Wikiwand)
Oltre alle appena ricordate…macchine locomotive di ottima costruzione e di fabbrica di maggiore rinomanza, coi rispettivi Tenders o magazzini da acqua e carbone…era prevista una prima fornitura di 4 carrozze di prima classe e 6 di seconda da 24 posti ciascuna chiamate diligenze e 8 vetture di terza (carri o wagons) da 40 posti, tutte prive di riscaldamento e di illuminazione.
Completavano il parco 4 carri da mercanzie.
In quell’epoca lontana le stazioni non erano luoghi di degrado e di pericolose frequentazioni, ma biglietti da visita di ogni città e punti di ritrovo e come in tanti altri casi quelle lucchesi erano solide, ben costruite e impreziosite da qualche decorazione. La stazione di Lucca occupava un’area di oltre 1100 metri quadrati con un fronte di 72 metri e ben figurava come la stazione di una capitale, anche se piccola; l’edificio, in stile sostanzialmente neoclassico e giunto quasi intatto fino a noi, si deve all’architetto Giuseppe Pardini; di fronte ad essa, al di là dei binari viaggiatori, sorgevano le rimesse per il materiale e le officine sociali di manutenzione che, benché poi ridimensionate nel contesto generale italiano, sarebbero sopravvissute fino al 1931. Anche la stazione di Ripafratta era un bell’edificio ad archi, di cui ne sopravvive oggi la metà, tra l’altro inutilizzata, a causa di ripetute ristrutturazioni dell’impianto, specialmente quelle del 1909, che hanno comportato lo spostamento e la ricostruzione del fabbricato viaggiatori. Della stazione di Pisa, cioè quella di San Rossore, non rimane nulla, ma essa resta peculiare per il suo aspetto triangolare e due marciapiedi distinti, uno lato Viareggio e uno lato Pisa, che dopo quasi 180 anni testimoniano ancora la sua particolare origine di quando era capolinea di una ferrovia indipendente.

(Cartolina d’epoca)
Bibliografia essenziale
Ministero dei Lavori Pubblici: “L’amministrazione dei lavori pubbici dal 1860 al 1867”. Botta, Firenze 1867
Adriano Betti Carboncini: “Un treno per Lucca”. Calosci, Cortona 1990
Italo Briano: “Storia delle ferrovie in Italia”. Cavallotti, milano 1977
Guglielmo Evangelista :”Le ferrovie del Granducato di Toscana”. In CLAMferrovia n.ri 14-15
Strade Ferrate Romane: “Album delle locomotive”. Benelli, Firenze 1878
Filippo Tajani: “Storia delle ferrovie italiane” Garzanti, Milano 1944
Articoli correlati:
Le prime ferrovie in Toscana: strade ferrate al tempo del Granduca Leopoldo
Ferrovie storiche della Toscana
Nascita e sviluppo della Ferrovia Faentina