
Conosciuta anche con il nome di Abbadia della Berardenga nella valle dell’Ombrone senese o come in origine di San Salvatore e Alessandro di Fontebuona a Campi sopra il torrente Coggia, a pochi chilometri da Castelnuovo Berardenga, ha una storia antica e molto travagliata.
Oggi si presenta imponente nella vastità degli edifici che la compongono sui quali svetta il quadrato campanile nel verde intenso dei prati che la circondano.
Nacque nel nome di Dio e con la volontà di rispondere al richiamo del Vangelo dove si dice vendi tutto ciò che hai e il ricavato dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo, faceva scrivere il fondatore, il conte Wuiginisio, che la volle, insieme alla moglie Richilde, per amore di Dio onnipotente e per la remissione dei nostri peccati, affinché possiamo meritare il perdono di Dio misericordioso (dall’Atto di fondazione dell’abbazia in data 15 febbraio 867). Ma non sempre le opere di misericordia, come tutti i salmi, finiscono in gloria, sebbene dotata di terre, vigne, boschi, case con addetti e dipendenti e servi.

Ma seguiamone da vicino le vicende che conosciamo grazie al lavoro di Pilade Bargellini, medico, ma anche appassionato di storia, che dedicò varie e puntuali ricerche all’abbazia descrivendole in uno scritto dal titolo omonimo nel 1932.
Fondata come convento femminile, ebbe come madre badessa la figlia del conte. Dalla data di fondazione fino all’881 c’è certezza della sorte dell’abbazia e del convento perché nuove donazioni vengono ad accrescere le precedenti e indicate in atti notori ma, da qui ai primi anni dopo il Mille, si perdono le notizie precise; solo da un nuovo atto notorio, si viene a sapere che il monastero si era trasformato in un convento di frati, forse Benedettini, e successivamente, nel 1098, Camaldolesi, ma non si conoscono le cause che portarono a tale trasformazione.

Si sa con certezza però che la Badia venne dotata di nuovi possedimenti e che prosperò nonostante il territorio fosse di confine e conteso tra Fiorentini, Senesi e Aretini. A causa degli scontri che si succedettero tra il 1207 e il 1230, la badia fu fortificata con mura e fossati e ponte levatoio; si menziona anche un torretta circolare, come riporta il Bargellini citando un disegno di Baldassarre Peruzzi conservato nella Galleria degli Uffizi, precedente a quella in stile neogotico che vediamo oggi.

Ma non furono questi episodi a far precipitare le sorti dell’abbazia bensì la decisione, come avvenne per altre, di darla nel XIV secolo in Commenda, i suoi beni infatti divennero preda delle ambizioni di vescovi e prelati. L’essere una Commenda però la salvò, nel lontano 1554, dalla demolizione a colpi di cannone: durante la guerra tra Cosimo de’ Medici e la Repubblica di Siena le truppe fiorentine avevano posto l’assedio alla Badia; uno dei condottieri voleva ridurla in polvere con due cannoni, ma Cosimo, ben sapendo quanto fosse pericoloso politicamente inimicarsi un cardinale impadronendosi di un suo dominio, preferì procedere per via diplomatica ottenendo che la badia fosse lasciata libera.

Da qui ebbe inizio la lunga e inarrestabile decadenza che vide demolizioni e trasformazioni inadeguate alla sua bellezza architettonica originaria. Ce le racconta con piglio e rammarico il Bargellini. Tra gli scempi peggiori cui fu sottoposta a partire dal XVIII secolo, ricorda che nel 1806 il cappellano Giuseppe Radicchi fece staccare la chiesa dalla torre, accorciandola di una metà.
Il motivo?
Racconta Bargellini che non fu dettato da necessità, ma da semplice arbitrio perché non voleva che i suoi parrocchiani sedessero in un lungo sedile di pietra addossato alla parete esterna della chiesa… ma non basta, ci racconta che nel 1840 fu demolita la cupola che minacciava di rovinare, fu così che si procedette alla vandalica distruzione di un’opera d’arte quale era la loggetta sorretta certamente da quelle svelte colonnette che oggi si trovano sparse qua e là sui muri laterali della villa. Annovera poi, nei primi anni del 1900, tra i benemeriti, don Egisto Migliorini che riportò all’antico i quattro bellissimi colonnati che servivano di base alla maestosa cupola e tutti gli archi e capitelli, e riaprì le lunghe e strette finestre dei due bracci laterali e le tre finestre absidali.
E, per concludere, nel 1820 fu alienato il Convento e la badia retrocessa a priorato.
E oggi?

Oggi è una proprietà privata, villa e fattoria. Da quello che era l’antico accesso, la porta situata lateralmente, elegante e importante, si accede ad un grande cortile in cui campeggia un gallo di dimensioni notevoli a testimoniare con il suo simbolo il famoso Gallo Nero e quindi l’uso dei locali che delimitano il grande cortile, a fattoria. Tutto il fabbricato è coronato da merli guelfi che sono il risultato di un’aggiunta successiva, come la torretta rotonda che si alza stretta e merlata sopra il cortile.

Resta l’incanto del luogo e la bellezza originaria della torre campanaria con cinque ordini sovrapposti con tre trifore e due monofore. E, tenendo conto degli scempi subiti, resta ancora bello e suggestivo lo spettacolo architettonico che la badia offre al visitatore.

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