
Siamo a Rapolano Terme, a pochi chilometri da Siena e a pochi dal fantastico paesaggio delle Crete senesi. Il luogo è incantevole, invita a fare passeggiate ed escursioni per immergersi in una natura incontaminata dove la mano dell’uomo ha disseminato coloniche di notevole bellezza che impreziosiscono l’insieme con la grazia e la leggiadria delle forme e dei colori, il giallo senese che si mescola e sovrappone in un ridente contrasto con il rosso dei mattoni che guarniscono gli edifici, in un paesaggio e agreste, con vigne e frutteti, e naturale con lecci allori e cipressi che ricoprono con le loro chiome verdeggianti un poggetto sulla cui cima s’intravvede la forma di un campanile e di ampi fabbricati.
Un cartello marrone indica un castello in località Poggio Santa Cecilia.
Ci inerpichiamo così per una strada bianca, ma carrozzabile.
I cipressi ci accompagnano segnando il gira-poggio.
L’attesa cresce.
Come sempre, quando andiamo alla scoperta, si risveglia quello spirito d’avventura che caratterizza il desiderio di conoscere e scoprire: e questo ci pare proprio un paesaggio da favola. Abbiamo lasciato in basso alcune coloniche, varie ristrutturate altre che paiono in attesa di recuperare l’antico splendore. Non ci sono più cartelli e nessuno, ma finalmente capiamo di aver preso la strada giusta che sale costeggiando cadenti mura tra la vegetazione lussureggiante: ci siamo sono sicuramente le fortificazioni dell’antico castello. E l’attesa sale e con lei l’emozione della scoperta.
E invece una delusione cocente prende il posto dell’entusiasmo: un grande cancello sbarra l’accesso al borgo ed un altro un po’ più in basso che avevamo notato salendo. Sopra, un cartello e una telecamera invitano il visitatore deluso a non “forzare” la chiusura con catena e lucchetto.
Fotografiamo tutto il fotografabile: il bell’arco sul quale lo stemma Tadini Buoninsegni e la balzana senese indicano il nome e l’antica appartenenza e ciò che le sbarre al di là del cancello permettono di immortalare.
Decidiamo di saperne di più e, purtroppo, solo la rete riesce a fornirci qualche motivo plausibile.
Alcuni articoli indicano il Castello e il borgo non visitabile già dal 2012 senza addurre motivo se non quello della ristrutturazione delle coloniche in vendita nella grande piana che si stende ai piedi del piccolo poggio. Una minima illuminazione deriva dalla notizia, non confermata, datata 2016, della favolosa vendita a privati di tutta la proprietà mentre un sito agrituristico indica un progetto verde di rivalutazione del luogo ma non fa cenno al divieto e alla chiusura del borgo disabitato.
E allora in attesa di lumi ci soffermiamo a ricostruire la storia e preparare una visita virtuale del borgo abbandonato e chiuso tra le sbarre di alte cancellate.
Per cominciare ci rivolgiamo a quanto lo storico Repetti sa dirci:
POGGIO S. CECILIA, già detto in FERRATA, fra le Val di Chiana e quella dell’Ombrone sanese. – Castello con antica parrocchia (S. Maria in Ferrata ) nella Comunità e circa miglia toscane 2 a levante di Rapolano. È posto sulla foce de’poggi che separano la Val di Chiana da quella dell’Ombrone sanese sopra la strada antica di Lucignano. Fu battuto e combattuto spesse volte dai Fiorenti contro i Sanesi, ed ancora dagli Aretini, dai quali ultimi il Castello del Poggio S. Cecilia, dopo 5 mesi d’assedio, nel 1285 fu conquistato e tosto dai fondamenti disfatte le sue fortificazioni. Fino al 1260 il Poggio S. Cecilia fu tra i castelletti dei Conti della Berardenga. poiché nel 1260 era posseduto da diversi Guelfi ribelli di Siena; i quali dopo la battaglia di Monteaperto né furono da quei spogliati.[…]Attualmente non gli resta altro di meglio che una casa ed una sottoposta rovinosa villa de’Buonsignori di Siena padroni di tutta la contrada. Nel 1271 il Poggio S. Cecilia era sede di un giusdicente civile dipendente dal Potestà di Siena. La sua chiesa parrocchiale di S. Maria in Ferrata nel secolo XII era di padronato della badia de’Camaldolensi di Agnano in Val d’Ambra. L’altra chiesa parrocchiale portava il titolo di S. Cecilia, ma nel 1484, a cagione di vertenze insorte fra i rettori delle medesime, per decreto del vescovo d’Arezzo le due parrocchie furono riunite in una. Finalmente con altro decreto vescovile del giugno 1798 la curia da S. Maria in Ferrata venne trasferita nell’oratorio di S. Pietro al Poggio S. Cecilia.
Molto lo spazio che il Repetti dedica al castello e al suo assedio, ma la storia del Borgo merita ulteriori ragguagli:
Correva l’anno 1285 quando la lotta tra città guelfe e ghibelline ferveva, sfociando da lì a poco nella battaglia di Campaldino quando Firenze, l’11 giugno del 1289, sconfisse Arezzo e la compagine ghibellina.
Il castello di Poggio Santa Cecilia, un castello di frontiera in quanto era collocato al limite fra i territori di Arezzo e Siena, venne occupato dai fuorusciti ghibellini toscani nel mese di ottobre ad opera del vescovo aretino Guglielmino degli Ubertini che, divenuto ghibellino, approfittando della morte di Carlo d’Angiò, decise di assaltare con un nutrito numero di fuorusciti aretini fiorentini e senesi il castello di Poggio essendo un avamposto guelfo per il guelfo Comune di Siena (Siena fu guelfa dal 1269 al 1359). La risposta fu immediata: Siena si rivolse a Firenze e agli alleati reclutando un esercito che rispondesse alla minaccia che fu guidato da Guido di Monfort, al comando degli assoldati dai guelfi.
Gli assedi ai tempi erano sicuramente lunghi e tendevano a lasciare a secco gli abitanti e le forze assediate fino all’esaurimento delle scorte, frangente che decretava normalmente la resa. Occorsero comunque quattro lunghi mesi e ulteriori ventotto giorni perché il contingente assediato capitolasse.
Di quel lungo periodo dell’assedio del Monfort ai ghibellini asserragliati nel castello si raccontava nelle cronache del tempo con particolari raccapriccianti: che gli assediati fossero giunti a sfamarsi mangiando ciò che fosse o meno commestibile e bevendo la propria urina per dissetarsi.
Il 7 aprile 1286, in prossimità della Pasqua, il castello di Poggio Santa Cecilia fu riconquistato dai guelfi.
Giovanni Villani nella Nuova Cronica racconta, e questo ce la dice lunga su quanto fosse importante strategicamente il castello del Poggio Santa Cecilia, che vi furono molti morti e che i sopravvissuti fossero catturati e portati a Siena per essere impiccati o decapitati. E cattiva sorte toccò non solo i suoi occupanti, ma anche al castello stesso che venne distrutto fino alle fondamenta.
Dopo i Conti della Berardenga, la storia lega il borgo alla famiglia Buoninsegni che svolse a partire dal XIV secolo un ruolo importante nelle questioni politiche senesi. Proprietaria di vari poderi e terreni nonché di ville padronali, la famiglia esercitò un potere di tipo feudale sul borgo fortificato. È al loro nome che si lega la presenza di Garibaldi come attestato da una grande targa in marmo nella piazza dedicata all’eroe del Risorgimento nella quale fu scritto a memoria:
“Di cotanto nome/ Pietro Leopoldo Buoninsegni/ questa nuova piazza/ diceva/ per ricordare ai venturi/ la dimora fatta in questa casa/ dall’eroe dei due mondi/ nel luglio MDCCCLXVII / onde attenuare / nelle prossime Terme rapolanesi / lo scempio di Aspromonte”.
Garibaldi fu ospite dei conti Buoninsegni per dieci giorni.
Virginia Buoninsegni, patrizia senese, sposò Edoardo Tadini, morto il 9 maggio 1908 e nell’ottobre 1927 Vittorio Emanuele III concesse ai loro discendenti il titolo nobiliare trasmissibile ad ambo i sessi.
Della storia recente fa parte anche la chiusura della grande porta di accesso, ma la Rete è stata prodiga di immagini che, anche se non ci danno le stesse emozioni che potremmo provare transitando all’interno del borgo fortificato, ne sono comunque un surrogato che permette all’immaginazione di “vedere” meglio quel che ne resta.
Visita virtuale a questo link
e vecchie cartoline: