La storia tramanda che questi dolci prelibati fossero in origine riservati ai papi o agli alti prelati di passaggio nei conventi dove si producevano e comunque esclusivi, consumati solo per le feste sante come il Natale e la Pasqua.
Piatti tipici toscani, la loro storia e le loro ricette
Fagioli all’uccelletto
I fagioli sono un legume utilizzato in molti piatti della cucina Toscana. Non a caso anche una vecchia cantilena tramanda “Fiorentin mangia fagioli…”
E non solo si cucinano in vari modi, ma si coltivano anche di diverse qualità, come elenca Paolo Petroni nel suo libro sulla vera cucina Toscana:
“I fagioli in Toscana, con molte varietà note solo localmente, hanno sempre avuto un gran mercato anche se la parte del leone l’hanno sempre fatta i classici cannellini, tra i bianchi, e i fagioli “scritti” o borlotti, tra i rossi”.
È sicuramente il più conosciuto e per alcuni il più buono e il più vero ma, contrariamente a quanto si possa credere, non è l’unico: ce ne sono trentini, emiliani, veneti, umbri e di diverse zone della stessa Toscana come il Vin Santo del Chianti Classico, di Montepulciano, del Chianti tra cui quello della Rufina e quello di Carmignano noto per la sua antica tradizione storica, solo per citarne alcuni tra i più conosciuti in base alle quantità prodotte.
Chi non ama i fagioli nonostante gli effetti collaterali?
In Toscana non mancano gli estimatori e non mancano molte varietà assurte a livelli stimabilissimi per la loro qualità e raffinatezza nel gusto.
Conosciuti fin dai tempi dei Romani. Apicio nel De re coquinaria ce ne dà alcune ricette, in antico non erano molto considerati. In effetti gli abitanti del Mare Nostrum conoscevano una razza di fagioli, detta Dolichos e Vigna i due generi in cui furono classificati nel XVIII secolo, autoctona in Egitto e nella Mesopotamia e introdotta in Italia dai Greci: … ContinuaI fagioli toscani
Si sa in Toscana la pasta di pane fritta piace e piace così tanto che in vari luoghi della nostra bella regione prende nomi e forme diverse anche se è sempre pasta fritta!
A Firenze abbiamo i coccoli, nome derivato dalla forma tondeggiante simile alle coccole dei cipressi ma se la forma diventa invece romboidale ecco che abbiamo le crescentine; in Lunigiana gli sgabei dalla caratteristica forma a strisce e in Versilia i panzerotti a forma cilindrica, nel Mugello e nel pratese la pasta fritta si chiama ficattola: stesa con il mattarello è resa sottile quindi ritagliata a larghe strisce a forma di losanghe e incise al centro per tutta la lunghezza.
Un piatto di carne semplice, gustoso, che si fa da solo… e, come per tutte le cose semplici, quel che conta è la qualità degli ingredienti e i tempi. Pare che il suo nome derivi dall’uso abbondante di pepe o, come preferiscono altri etimi, dal suo colore molto scuro, visto che il pepe, ai tempi cui si fa riferimento, era una spezia “da signori” per il suo costo molto elevato. Ma procediamo con ordine. La tradizione ci tramanda che se ne debba la creazione ai fornacini, ovvero gli addetti ai forni per i mattoni ottenuti con la famosa argilla dell’Impruneta che, per i suoi componenti, assumeva una volta cotta il classico colore rosso che ancora oggi caratterizza l’ormai famoso “cotto dell’Impruneta”. I fornacini sistemavano la carne in un tegame davanti alla bocca del forno … Continua a leggere: Il “Peposo”: alla fornacina o alla viareggina?
La torta Mantovana è di Prato, nonostante il nome; famosissima quella prodotta nel biscottificio Mattei, altrettanto come i “Cantucci” o meglio detti Biscotti di Prato. Una delle varie storie che raccontano l’origine del nome di questo dolce, ma anche di Lucca e dell’Alta Versilia, coinvolge in prima persona il pasticcere pratese: due religiose di Mantova, in pellegrinaggio per Roma nel 1875 per il ventunesimo giubileo, soggiornarono a Prato ospiti di Antonio Mattei e, per ringraziarlo dell’ospitalità, gli fecero omaggio della ricetta che venne ricordata con il nome della loro città. Ma la storia non finisce qui. Pellegrino Artusi era amico di Antonio Mattei che stimava moltissimo tanto che, nella ricetta 597 dedicata alla Stiacciata unta, de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” lo citava espressamente:
Anche la Toscana può vantare origini antiche per questa preparazione aromatizzata e piccante, usata per accompagnare le carni. “Mostarda all’uso toscano”: al numero 788 del libro di Pellegrino Artusi “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” così si titola la ricetta di una salsa ottima per accompagnare sia bolliti che arrosti e di suino e di carni rosse in genere. Nel medioevo era presente solo sulle tavole dei signori perché ricca di spezie costose:
“Si preparava sin dai tempi medicei facendo concentrare il mosto d’uva dove si bollivano mele e arance a cui veniva dato il savore con le spezie più variate, tra cui dominavano il pepe, lo zenzero, il chiodo di garofano” Giovanni Righi Parenti premetteva questa notizia storica … Continua a leggereMostarda all’uso toscano