di Salvina Pizzuoli

[…] S’oggi ti giova
Porger dolci allo stomaco fomenti,
Sì che con legge il natural calore
V’arda temprato, e al digerir ti vaglia,
Scegli ‘l brun cioccolatte, onde tributo
Ti dà il Guatimalese e il Caribbèo
C’ha di barbare penne avvolto il crine:
[…]
Se Cortes, e Pizzarro umano sangue
Non istimàr quel ch’oltre l’Oceàno
Scorrea le umane membra, onde tonando
E fulminando, alfin spietatamente
Balzaron giù da’ loro aviti troni
Re Messicani e generosi Incassi,
Poichè nuove così venner delizie […]
Giuseppe Parini, Il Giorno, Il risveglio del giovin signore
Ho scoperto che il cioccolato fa parte della tradizione italiana dalle Alpi alla Sicilia, non solo per dolci e pasticceria, ma anche per piatti un po’ speciali nei quali il cioccolato non è un ingrediente base, ma uno dei tanti, unito alle carni così come alle verdure: il cinghiale al cioccolato nato in Maremma, il pasticcio “di sostanza” siciliano, la piemontese lepre in “civet”, i salmì lombardi, la coda alla vaccinara romanesca, il sanguinaccio e le melanzane al cioccolato tipici della cucina partenopea.

La cosa in realtà non mi è giunta del tutto nuova, soprattutto per quanto riguarda le melanzane al cioccolato. Nel suo racconto “Casta diva” (il secondo dei tre contenuti nel libro intitolato “Tre delitti un’estate”) Hans Tuzzi, prestigioso bibliofilo e insigne giallista, riporta la ricetta di Filomena, ischitana e “cuoca di rara arte” per i piaceri del palato del commissario Melis:
“è uno dei grandi dolci della cucina partenopea. Prendi le melanzane, le sbucci, le tagli a fette circolari che passi rapidamente nella farina e nell’uovo, e poi friggi. A parte prepari una crema pasticcera con i frutti canditi, e una crema al cioccolato, non troppo forte. Poi, in una tortiera disponi a strati le fette di melanzane con la crema pasticcera, e su tutto la crema al cioccolato che, qui sta il segreto, va versata calda. Subito in ghiacciaia, e si serve freddo”.
Le parole racchiudono la storia, ma anche le consuetudini di un popolo che dà un nome non solo a quanto lo circonda, ma alle proprie abitudini, ai sentimenti, ai giochi, alle invenzioni “nominizzando” tutto il suo mondo, sempre che potessimo usare questo neologismo, coniato da me proprio per chiamare questo fenomeno. È così possibile attraverso una parola ricostruirne la storia: l’etimo di cacao non solo ha permesso agli studiosi di ricomporre il percorso storico, ma ha evidenziato che anche le parole si dividono in buone e cattive, adatte e non adatte.

Gli spagnoli per indicare le preparazioni a base di cacao preferirono adottare chocolatl proprioperché le parole di una lingua possono avere suono e significato inaccettabile in altre. Difficile stabilire la radice e l’origine di chocolatl dal termine azteco cacahualte, composto dalla parola maya kakawa e da atl, acqua.
La radice “caca”, in spagnolo, come per altro in italiano, è un’espressione volgare e non poteva essere tollerabile un suono del genere per indicare una bevanda consumata prevalentemente dall’aristocrazia e dalla nobiltà reale, densa e marrone scuro!
Solo nel 1606, per merito del commerciante di Firenze Antonio Carletti, il cacao arriva in Italia e si afferma alla corte di Cosimo III Medici.
Tratto da Salvina Pizzuoli Quattro donne e una cucina
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