Cucinare con le erbe era una tradizione delle nostre campagne, una cucina povera ma che sapeva utilizzare al meglio le erbe spontanee e soprattutto riconoscerle.

Già, riconoscerle, pare poco.

Oggi è proprio quello che ci manca, l’insegnamento diretto, quella pratica che nasceva da un uso comune e tramandato che a seconda delle stagioni sapeva indirizzare e dove e cosa cercare. Sapori semplici ma invitanti, come quello dell’asparagina o dei germogli di vitalba, per soffermarci su due delle erbe di più antica tradizione rurale toscana, arrivate fino a noi e ancora diffuse.

Vitalba, l’etimo del nome suggerisce la struttura erbacea: il nome completo è Clematis Vitalba, dal greco klematís, diminutivo di klêma, tralcio di vite, e dal latino vitis alba vite bianca, per i suoi rami che si sviluppano come quelli della vite e per le sue infiorescenze biancastre. È una pianta rampicante il cui fusto legnoso è leggermente peloso. È diffusa su tutto il territorio, dal mare alla fascia submontana, e fiorisce da maggio ad agosto.

Oltre al nome scientifico è conosciuta anche con nomi popolari, molto significativi; quello più diffuso ad esempio è “piumosa”: quando i fiori bianchi e profumati riuniti in grappoli portano i frutti, detti acheni, sono caratterizzati dallo stilo allungato e appunto piumoso, da cui l’appellativo; più espressiva la denominazione di “erba dei cenciosi” che non necessita ulteriori spiegazioni.

Conosciuta da tempo inveterato era usata anche come pianta medicinale. Vari gli utilizzi soprattutto come antinevralgico e nelle sciatalgie. E non solo. Si tramanda che nel senese dai fusti, lunghi come liane, lavorati ad intreccio, si ricavavano ceste per la raccolta delle olive o venivano utilizzati per produrre cordami e manici. Come nelle migliori tradizioni non manca menzione di usi magici: “in Alta Garfagnana (Lucca), si racconta che in tempi passati, per eliminare il “malocchio”, si usava fare abluzioni col decotto delle foglie di vitalba”, come riportato in un libro* che raccoglie e illustra tutte le erbe della tradizione rurale toscana.

Germogli giovani di vitalba, commestibili, ma attenzione a saperli scegliere nei tempi giusti, la pianta altrimenti è tossica.

Ma veniamo agli usi alimentari.

In primavera si raccolgono i giovani germogli che vengono poi lessati e conditi oppure in frittata.

Katia Brentani nel suo libro dal titolo invitante di “Cucinare con erbe, fiori e bacche dell’Appennino”** fornisce varie ricette con i germogli di vitalba tra cui la famosa frittata e non dimentica di consigliare di scegliere, con chi ne ha conoscenza, germogli freschi e giovani proprio per evitare la tossicità di quelli della pianta matura.

Ingredienti

germogli freschi e giovani di vitalba

3 uova

due cucchiai di farina 00

sale e pepe, olio di oliva

Pulire, lavare e tagliare i germogli di vitalba. Sbollentarli per 5 minuti in acqua bollente e salata. Scolarli, asciugarli e passarli in un cucchiaio di farina. In una ciotola sbattete i tuorli d’uovo, unite i germogli di vitalba, un cucchiaio di farina, salare e pepare, Montare a neve gli albumi e aggiungerli al composto.

Chi amasse come me l’aglio, può, volendo, aggiungerlo all’olio di cottura.

E buona frittata a tutti!


*L’uso delle erbe nella tradizione rurale della Toscana a cura di Rita Elisabetta Uncini Manganelli, Fabiano Camangi, Paolo Emilio Tomei Dipartimento di Agronomia e Gestione dell’Agroecosistema Università degli Studi di Pisa

**Katia Brentani “Cucinare con erbe, fiori e bacche dell’Appennino” Modena, 2013, Damster Edizioni

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