di Salvina Pizzuoli

I locali degli antichi Arsenali medicei voluti da Cosimo I Medici, per la costruzione delle galere dei Cavalieri dell’Ordine di Santo Stefano da lui istituito, e affidati all’opera dell’architetto Bernardo Buontalenti, accolgono quattro delle imbarcazioni ritrovate a pochi passi dalla Torre pendente, nell’area ferroviaria di Pisa-San Rossore, nel 1998.

Il sito, scelto per ospitare via via tutte le navi dopo gli interventi capillari di restauro, ben si presta a questo compito non solo per la capienza, ma soprattutto per l’elegante architettura che lo contraddistingue e lo data, ritrovando in parte, nel nuovo utilizzo dei locali, anche il lontano compito che lo aveva determinato (venne infatti dismesso e divenne sotto i Lorena stalla per cavalli dell’esercito): se non di

costruire almeno di alloggiare navi, in questo caso specialissime, conservatesi mirabilmente nel tempo ad opera di quel medesimo limo che le aveva coperte in seguito alle frequenti alluvioni cui la zona andava soggetta per le tracimazioni violente e dell’Auser (Serchio) e dell’Arno. Durante i lavori per realizzare i nuovi edifici della stazione ferroviaria di Pisa-San Rossore furono ritrovate casualmente circa 30 navi onerarie e fluviali affondate tra il III secolo a.C. e il VII secolo d.C. alimentando la convinzione dell’esistenza di un attracco cittadino lungo la sponda dell’Auser o dell’Arno o di alcune delle loro ramificazioni.

I relitti rinvenuti permetteranno agli studiosi di ricostruire, grazie al ricco reperimento di “materiali”, una pagina di storia non solo pisana: e le tecniche di allestimento delle imbarcazioni e il tipo di navigazione nonché gli usi e abitudini degli uomini che su tali mezzi si muovevano e vivevano insieme ai rapporti commerciali che intrattenevano lungo le rotte nel Mediterraneo.

Costituiscono uno spaccato trasversale sulla storia di un periodo molto ampio e denso di trasformazioni. Un mondo fatto di piccoli e grandi tesori: anfore, ancora con parte del loro contenuto che ha permesso agli studiosi di scoprire che venivano riutilizzate anche per differenti prodotti; chiodi, piatti, lucerne ma anche anelli, bracciali, fibbie; e ossi di animali in quantità considerevole, di buoi, pecore, ma soprattutto maiali e cani, la presenza di questi ultimi forse dovuta alla difesa dell’imbarcazione e del suo carico da intrusioni esterne; la legge romana infatti permetteva all’intruso di appropriarsi di entrambi in mancanza di membri dell’equipaggio, un residuo rimasto nella legge del mare ancora esistente, anche se limitata a imbarcazioni alla deriva. E ossi in quantità di spalle anteriori di suini soprattutto scapole della spalla destra ritenuta ancra oggi di prima scelta: perché il maiale dorme sulla spalla sinistra, come tramandano vecchie dicerie, o perché è il risultato dell’apparato circolatorio tipico dell’animale? E le spalle sinistre, sebbene poche, perché? Forse ad uso del personale di bordo? Ma anche ossi di leonessa e di cavalli, di probabile importazione dall’Africa, animali di notevole pregio. E ovviamente anche ossa umane.


Un mondo sommerso che ha fatto definire questo ritrovamento la “Pompei del mare”, da proteggere quindi con un intervento accuratissimo, così come lo è stato il lungo lavoro di restauro, impegnativo e innovativo, come mostra il filmato (visibile a questo link), in quanto i reperti per la prima volta sono stati restaurati in Cantiere, visitabile su prenotazione, con un’operazione protrattasi lungamente nel tempo proprio per preservare i materiali lignei facilmente decomponibili, che ha restituito le prime navi ricostruite e alloggiate nel sito degli Arsenali medicei che le accoglierà tutte.

E iniziamo il nostro viaggio a ritroso nel tempo con la prima grande nave, ancora in fase di allestimento, contrassegnata dalla lettera D, che campeggia con pochi pezzi sui supporti metallici a dimostrazione dell’enorme lavoro di preparazione che questa fase comporta. È una grande imbarcazione fluviale utilizzata per il trasporto della sabbia che veniva trainata da riva con due cavalli. Gli archeologi collocano il suo affondamento in età tardo gotica quando, travolta dall’ennesima alluvione, affondò nei pressi della sponda su fondali bassi, capovolgendosi.

Diversa non solo per dimensioni la nave indicata con la lettera F e con il numero 46. È stata datata II secolo d.C. ed appartiene alla categoria delle piccole imbarcazioni fluviali. Ripropone nella forma e nel tipo di pilotaggio la struttura di una gondola, facendoci intuire meglio quanto l’ambiente naturale e l’apparato portuale pisano assomigliassero a quelli della laguna veneta. Lo scafo, realizzato con legno di ontano e quercia, appare infatti deformato su di un lato proprio per la manovra di un solo rematore. Lo studio dei legnami utilizzati per la costruzione delle varie parti delle imbarcazioni ha confermato le antiche fonti che tramandano l’uso della quercia per le parti strutturali, come la chiglia, che devono essere più resistenti, ma anche frassino, olmo, leccio; per il fasciame invece prevale l’abete o il pino, più leggeri.


Interamente in quercia il traghetto a fondo piatto per il trasporto del bestiame, contrassegnato dalla lettera I e dal numero 45. Datato IV-V secolo d.C., era rivestito da fasce chiodate in ferro in modo da proteggere lo scafo dai bassi fondali in cui manovrava, mossa dalla riva per mezzo di un argano.

Il pezzo più affascinante è sicuramente la ricostruzione a grandezza naturale della nave contrassegnata con la lettera C datata degli inizi del I secolo d.C. e affondata ancora ormeggiata. Notevole il suo ritrovamento per l’eccellente stato di conservazione. Splendida ancora con i suoi colori originali di cui conservava notevole traccia: bianco con rifiniture in rosso e il simbolo, in nero, dell’occhio, il portafortuna di chi andava per mare. La chiglia di leccio, il fasciame, ovvero il rivestimento esterno, di pino, ma anche fico, frassino, leccio, olmo e ontano per le ordinate o costole, le parti che si incastrano trasversalmente sulla chiglia.

Nello scafo sei banchi di voga su uno dei quali in caratteri greci la scritta “alkdo”, probabilmente la trascrizione della parola latina alcedo, gabbiano.
Ultima sorpresa del nostro viaggio la grande Sala IV, con la prima nave, enorme, anche se ne manca una buona metà rimasta sotto i fabbricati della ferrovia, contrassegnata dalla lettera A, quella che ha dato il via a tutta la ricerca. Giace con i suoi grandi legni su un mare di sabbia che riproduce il cantiere di ritrovamento.

In questa sala varie teche propongono i “materiali” del carico e delle suppellettili anche della nave A.

Si conclude qui il nostro viaggio, non ci resta che aspettare l’arrivo di nuove navi dal Cantiere.
Per chi volesse visitare il Cantiere e/o il Museo delle navi antiche rimandiamo
a questo link per le informazioni e i contatti
*Le foto relative alle antiche navi di Pisa sono state gentilmente concesse dalla “Cooperativa Archeologia” che organizza le visite guidate.
Per saperne di più: Pisa e l’Arno: storia e geografia di un antico sistema portuale
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