di Alessandro Ferrini

Scene di vita agreste – particolare, Vulci

In tutta l’area del Mediterraneo, quella che il Braudel definisce la civiltà della vite e dell’olivo, fin dai tempi più antichi era conosciuta la bevanda prodotta dagli acini strizzati, il vino, pur ottenuto in modi diversi da quello che usiamo oggi.

Particolare di affresco – Ceveteri

In ogni caso sarà soltanto a partire dalla piena età del ferro (VIII-VII secolo a.C.) che possiamo trovare i primi segni di vitis vinifera nell’area di dominazione etrusca: a Luni sul Mignone, a Bolsena, e a Blera nel viterbese (zone peraltro ancora oggi celebri per l’ottimo vino bianco), come attestano i numerosi ritrovamenti di contenitori espressamente destinati all’uso vinario.

A ulteriore conferma della presenza del vino in Etruria anche i termini vinum (vino) e vina (vigna) spesso presenti nelle iscrizioni etrusche pervenute fino a noi, così come quelli per designare i contenitori specifici del vino, come thina (dal greco dinos) e qutum (dal greco kothon), testimoniano una importante cultura del vino improntata su più tardi modelli ellenici e destinata ad avere importanza sempre maggiore nel simposio.

Scene di Banchetto – Tomba dei Leopardi, Tarquinia (V secolo)

La produzione autoctona di vino in Etruria si affermò rapidamente solo a partire dalla fine del VII secolo a.C.. Ai suoi inizi il vino era ancora una bevanda rara e pregiata, di importazione, destinata esclusivamente ad un’ élite aristocratica, infatti soltanto nei più ricchi corredi orientalizzanti troviamo raffigurate pregiate anfore di vino provenienti dalla Fenicia, dalla penisola Anatolica o dalla Grecia; un periodo in cui il simposio non era ancora considerato un evento sociale di gruppo ma esclusivo appannaggio di una élite, come ci mostra la raffigurazione presente sul coperchio di un’urna cineraria della metà del VII secolo a.c. proveniente da Montescudaio, in provincia di Pisa. Il banchettante, seduto e non sdraiato  all’uso greco che si imporrà successivamente, è raffigurato isolato di fronte ad una tavola imbandita; unica altra presenza quella di un’inserviente femminile, probabilmente incaricata di attingere il vino dal grande cratere che fiancheggia la mensa.

Coperchio urna cineraria di Montescudaio

Agli inizi del VI secolo a.C. l’estensione dei vigneti e la produzione locale di vino è già sviluppata tanto da creare un surplus destinato alle esportazioni al di fuori dell’Etruria.

Museo di Murlo, recipienti per bere

La mancanza pressoché totale di fonti scritte ha costretto gli studiosi a ricostruire questa fase esclusivamente sulla scorta dei dati archeologici. In particolar modo  i ritrovamenti di un tipo di anfora etrusca presente a Vulci, e parallelamente la comparsa di contenitori specifici (in bucchero o ceramica) usati in funzione di bicchieri, altri di derivazione greca, come il già ricordato thina, il deinos, un grande contenitore destinato a mescere il vino con l’acqua prima di servirlo a tavola.

Anfora (cm 82) 600-610 a.C.

Non è un caso che proprio a Vulci sia anche uno dei luoghi in Etruria dove più precocemente è stato attestato il culto di Fufluns, originaria divinità ctonia identificata, nel corso del VI secolo a.C. con Dionysos, protettore del vino e della viticultura.

Fufluns

“Inoltre, un’iscrizione dedicatoria rinvenuta sempre a Vulci e databile al V secolo a.C., testimonia l’avvenuta assimilazione di Fufluns con il Baccus latino, consentendo di dimostrare sin da quest’ epoca la diffusione in Etruria dei culti orgiastici di origine lidia dedicati a Bacco, originariamente divinità anatolica della rigenerazione della natura, solo in un secondo momento identificata con il greco Dionysos (SERENI 1981, pp. 117-118).”

Le anfore vulcenti non si affermarono solo sul mercato interno ma si diffusero ampiamente nel Mediterraneo occidentale, dalla Corsica alla Francia meridionale, sino alla Spagna (CRISTOFANI 1983, pp. 45-55; Civiltà degli Etruschi)

A partire da quell’epoca l’utilizzo del vino si diffuse anche fra le classi sociali meno abbienti come testimoniano le numerose anfore da vino rinvenute anche in ambienti modesti.

Fufluns (Tarquinia)

La coltivazione della vitis vinifera si diffuse in tutta Europa mediterranea, tuttavia è interessante  rilevare una sostanziale differenza fra le pratiche vinicole presenti in Etruria e quelle diffuse in altre aree geografiche. Nel mondo ad esempio greco prevaleva la tecnica di allevamento della vite a ceppo basso o ad alberello con sostegno morto (esportata anche nel sud della Francia dai coloni Focesi presenti a Marsiglia), la pratica etrusca della viticultura si caratterizzava invece per l’adozione di sostegni vivi, la cosi detta vite maritata ad alberi quali pioppi, aceri e olmi, dando luogo a un paesaggio agrario assai originale, tradizione che si è mantenuta per secoli nella campagna toscana.

Quanto questa pratica fosse tipica ed esclusiva della cultura agricola etrusca è testimoniato dal fatto che, ancora in età romana, anche nelle aree al di fuori dell’Etruria propria, ma che dalla cultura etrusca erano state fortemente influenzate (come la Campania e la pianura padana), dominava l’uso della vite maritata ad altre tipologie di alberi.

Bibliografia: Storia del vino in Toscana dagli Etruschi ai giorni nostri (a cura di Zeffiro Ciuffoletti). Firenze Polistampa 2000

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