di Giovanni Caselli

La casa colonica in Toscana meravigliò Napoleone ai primi dell’800 perché in nessuna provincia francese i contadini avevano case così belle e confortevoli. Probabilmente il condottiero corso si riferiva alle note “Leopoldine” oggi convertite in apprezzatissime aziende dedite all’agriturismo.
La campagna fiorentina, ma non solo, anche aretina, pratese, pistoiese, e senese in modo particolare è costellata di case coloniche di poderi a mezzadria, ma in collina e in bassa montagna si trovano, spesso anche abbandonati, nuclei rurali definiti spesso medievali, perché tali paiono essere dal toponimo e dall’aspetto “antico”, conferito dalle mura di pietra, dalle case torri, dalle piccole finestre, forni per il pane, ecc. Infatti, chi viaggia per la Toscana settentrionale si trova ad imbattersi in queste architetture che caratterizzano uno dei paesaggi tra i più attraenti d‘Europa: un territorio caratterizzato da torri, castelli diroccati e tuguri di resedi rurali della mezzadria fin dal ‘300 e ‘400.

Il notaio di Prato Ser Lapo Mazzei rimproverava l’amico e cittadino Francesco Datini, di aver costruito case troppo belle per i suoi contadini della fattoria del Palco, perché avendo vissuto in capanne, non le avrebbero apprezzate.
La fine dell’era medicea, ai primi del 700, aveva lasciato desolazione, miseria, degrado e rovina. Negli anni Trenta del XVII secolo, furono anche devastate dalla peste.

Come scrive Maria Serena Mazzi, la prospettiva dell’estinzione della linea medicea e l’aprirsi di fatto, fin dagli anni dieci, della “questione” della successione avviarono all’interno del Granducato e del suo ceto di governo un dibattito e un confronto serrati sulle prospettive politiche e istituzionali degli stati medicei: un dibattito che nella riconsiderazione della storia politica e istituzionale del Granducato seppe trovare importanti motivi di riflessione politica e culturale. Era stato Leibniz, il celebre filosofo, postosi da tempo al servizio degli Asburgo di Vienna, a sollecitare per primo, nel 1713, l’imperatore Carlo VI a rivendicare il diritto di devoluzione all’Impero degli stati medicei.
Il secolo della peste manzoniana aveva lasciato campagne desolate e borghi rurali abbandonati, da decenni in rovina. I nuovi granduchi davanti a un paesaggio reso famoso da grandi artisti e decantato da tanta letteratura, come melle descrizioni di Benedetto Varchi, si adoperano al ripristino e al recupero delle campagne agricole, al restauro delle chiese romaniche di campagna, che spesso erano state chiese castellane. Riattarono castelli rovinati riciclando i conci delle mura crollate. Questo ripristino di una campagna spopolata e deserta, riportò a un rinnovato sviluppo e a una bonifica di aree con qualche potenziale pascolativo o agricolo. Pietro Leopoldo di Asburgo Lorena, fratello minore dell’Imperatore e figlio della portentosa Maria Teresa d’Austria si stabilì a Firenze e iniziò con zelo un programma di riforma ad ampio raggio, facendo di uno Stato marginale nel contesto delle potenze europee un paese moderno e all’avanguardia sotto molti aspetti. Fu un chiaro esempio di “sovrano illuminato” e le sue riforme si contraddistinsero per una propensione agli scopi pratici più che a quelli teorici.

Nella sua opera riformatrice si avvalse di importanti funzionari come Giulio Rucellai, Pompeo Neri, Angelo Tavanti. Il granduca avviò una politica liberista e raccogliendo l’appello di Sallustio Antonio Bandini del quale fece pubblicare l’inedito Discorso sulla Maremma, promuovendo la bonifica delle aree paludose sia della Maremma che della Val di Chiana e favorendo lo sviluppo dell’Accademia dei Georgofili. Ancora Maria Serena Mazzi, scrive che “nello stilare il suo trattato sulle case dei contadini, alla metà circa del Settecento, il senese Ferdinando Morozzi, novello Vitruvio, dava prova, oltre che di una buona conoscenza delle campagne e delle esigenze di produttività, anche di un intenso sforzo di razionalizzazione. Non sappiamo quanto la teoria, così saggiamente elaborata, si applicasse poi alla realtà: quelle abitazioni mezzadrili rispettano norme adatte a far vivere e lavorare in modo sano e redditizio una famiglia agricola, tengono conto delle differenze geografico-ambientali e colturali, suggeriscono una divisione armoniosa degli spazi lavorativi.
La casa, costruita al centro del podere, avrebbe dovuto avere quali caratteristiche generali, anche se poi il Morozzi distingue fra il podere di montagna, di collina e di pianura, mura spesse per conservare il calore interno, scale esterne agevoli e riparate per difendere dalla pioggia il contadino costretto ad alzarsi di notte per alimentare il bestiame, un buon numero di stanze ampie e luminose, destinate in parte al riposo e alla vita domestica, in parte al lavoro e in parte al ricovero di attrezzi e di prodotti agricoli. Se questa divenne poi famosa come la “casa leopoldina”, l’impronta del brillante figlio di Marisa Teresa e futuro imperatore del Sacro Romano Impero, non solo tolse poteri e possedimenti alla Chiesa, ma tolse esosi balzelli e tasse promuovendo e dando un grande impulso all’agricoltura toscana e migliorò la vita e la salute dei contadini. Probabilmente l’avvicinarsi della Rivoluzione Francese causò nel sovrano un ravvedimento e una illuminazione che altrimenti non sarebbero accaduti. Infatti tutta l’area toscana dal Mugello al Casentino, al Chianti porta i segni evidenti di interventi di restauro e miglioramenti tesi al ripristino di borghi rurali abbandonati dai tempi delle peste del ‘600, tutti i borghi ex castellani, di origini medievali risultano essere stati soggetti ad interventi radicali di ristrutturazioni, aggiunte, e miglioramenti.
Pietro Leopoldo rese più comode le abitazioni parzialmente rovinate o strutturalmente deficienti, tanto che non vi è in Toscana un solo borgo o casolare che non abbia subito radicali interventi di epoca leopoldina, per non parlare di nuovi resedi rurali impiantati in aree montane adatte all’allevamento del bestiame e al pascolo. Si bonificarono gli argini dei fiumi, dei fossi e dei canali di scolo. Si crearono imponenti terrazzamenti sui pendii, provvisti di scale di accesso e canali e fognature per il flusso delle acque piovane, si costruirono fienili, porcili, piccionaie pollai stalle e strade campestri per facilitare l’accesso ai coltivi, per non parlare dell’introduzione di nuove sementi, frutti e sistemi di rotazione più efficaci. Insomma, chi si trova di fronte case coloniche e villaggi dall’apparenza “medievale” dovrà tener presente che in genere le chiesette della campagna sono state restaurate verso il periodo delle Reggenza o leopoldino, i fabbricati hanno subito rifacimenti dopo la peste nera del 1348, che significa durante i primi anni del ‘400 e più sostanziali restauri dopo gli abbandoni della peste del ‘600. Di medievale rimasto intatto ci sarà qualche torre. I ponti, i lastrici stradali saranno ancora dello stesso periodo, con qualche eccezione di rare opere cinquecentesche.
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