Lungo il Fiora, tra Maremma toscana e laziale
di Salvina Pizzuoli

Il Parco naturalistico-archeologico di Vulci è un vero spettacolo per il visitatore e per i resti etrusco romani e per il paesaggio che li accoglie, disseminati a destra del Fiora, con la necropoli alla sinistra del fiume. Passeggeremo in questo ameno paesaggio, segnato dai sentieri tracciati e delimitati dagli steccati del Parco dai quali si affacciano paciose mucche bianche dalle ampie corna, e dove i resti dell’antica Vulci ci vengono incontro, antiche presenze in un ambiente naturale che pare immutato.


Abbiamo deciso di seguire il percorso più ampio, di circa quattro chilometri, che scende fino al fiume Fiora sul nero selciato dell’antica strada romana con i suoi passaggi pedonali, le domus, i tempietti, le porte. Ci sposteremo poi nell’area della necropoli etrusca, quella nei pressi dell’antico abitato urbano, detta dell’Osteria. Un percorso pieno del fascino come le tracce del passato sanno trasmettere.
Vulci nacque etrusca a dodici chilometri dal mare, lungo il Fiora, l’antico Armenta, nei pressi della cui foce sorgeva il porto marino di Regae o Regisvilla, localizzato a circa 2 km a sud del Fiora, uno dei porti di Vulci collegato presumibilmente ad un sistema di porti fluviali, dove arrivavano prodotti di lusso provenienti dall’area mediterranea. Protetto da mura, erette intorno al IV secolo a.C., il centro conobbe intorno al VII a.C. una notevole fioritura, per gli scambi commerciali e come area di smistamento, attestata dai ritrovamenti che mostrano una produzione vascolare di alta fattura, in una prima fase di ispirazione corinzia e attica, insieme ad articoli in bronzo, sculture e oreficeria.

Nel terzo secolo, la fortificazione fu rinforzata in previsione degli attacchi dei Romani che la conquistarono nel 280 a.C. Oggi di quella fortificazione resta ciò che il visitatore incontra nel suo primo accesso alla città: blocchi di tufo rosso con la forma di una V. È quanto resta della Porta ovest, una particolare struttura difensiva che si attaccava alle mura con un avamposto triangolare che all’interno si apriva a Y in modo da costringere il nemico ad aggirare l’ostacolo impedendogli un attacco frontale.

Superata la Porta ovest, proseguendo sul decumano massimo che dalla Porta ovest conduce al tempio grande di Vulci, un arco di trionfo, ricostruito, posto al margine occidentale di quello che fu l’antico foro, ci parla di un questore, edile, pretore, proconsole, curatore delle strade, nonché propretore, come recita l’iscrizione: Publius Sulpicius Mundus.


Superato l’arco di Sulpicio ci dirigiamo verso quel che resta del grande tempio edificato nel VI secolo a.C., e in seguito ampliato, dedicato probabilmente a Minerva. Oggi rimane il grande basamento e la ricostruzione nel diorama: le colonne e la copertura erano in legno, successivamente in muratura, con il tetto decorato con statue in terracotta.

Poco distante la Domus detta del criptoportico che la caratterizza. Il criptoportico era in parte sotterraneo, coperto da una volta in muratura e prendeva luce da feritoie. Era destinato presumibilmente al ricovero di prodotti deperibili quali il vino e l’olio; la domus è infatti preceduta da vani rettangolari, interpretati come botteghe. Databile tra la fine del II secolo e gli inizi del primo, la grande domus, segue lo schema classico delle case gentilizie con atrio e peristilio, ad est del quale si accede al criptoportico da una volta ancora ben conservata. Vi si rinvengono i locali destinati ai bagni, agli ambienti del soggiorno notturno e diurno, le pavimentazioni in mosaico.


Interessante è il mitreo, il luogo dedicato al culto mitraico, religione misterica che conobbe la massima diffusione tra il secondo e il quarto secolo d.C., con la statua del dio nell’atto di uccidere il toro. Lateralmente due lunghi panconi su archetti a tutto sesto, erano presumibilmente riservati agli iniziati.
Il fascino che aleggia tra queste antiche pietre lascia il visitatore abbagliato da tanto fasto e grandiosità; non da meno il paesaggio che da qui in avanti accompagnerà tra ampi spiazzi e morbide colline i passi di chi scende verso il fiume seguendo il tracciato del decumano.
Di fronte alla domus, dall’altra parte della strada, la casa detta del pescatore per il ritrovamento dei pesi per le reti e lungo la strada il sacello di Ercole e i resti della Porta est.

E scendiamo verso il Fiora. A sinistra, usciti dalla Porta est, ci lasciamo le balze, naturale difesa delle città, su cui furono poi costruite le mura. E giungiamo nella zona caratterizzata dalla presenza di molti ruderi: costituivano quella che viene chiamato la zona del “ponte rotto” dove si presume un attracco fluviale e collegamenti con viabilità esterne.
Seguiamo il Fiora fino al laghetto del Pellicone, talmente suggestivo da meritare di essere immortalato in molti film ( Tre uomini e una gamba con Aldo Giovanni e Giacomo, ma anche Non ci resta che piangere con Benigni e Troisi e lo stesso Alberto Angela vi ha ambientato alcuni episodi dell’Ulisse).

E ora ci dirigiamo alle tombe dette dell’Osteria, di fronte all’ingresso del Parco.
Bellissimo il soffitto della prima tomba detta appunto dei “Soffitti intagliati” del VII secolo con un trave centrale a rilievo che termina con tondi e da cui si dipartono i travetti a imitazione dei soffitti lignei delle abitazioni dell’aristocrazia etrusca. Maestoso l’accesso alla Tomba della Sfinge del VI secolo a.C.Il suo nome deriva da una sfinge realizzata in nenfro, una pietra vulcanica con la quale furono realizzati “i guardiani” che dovevano tenere lontani gli spiriti maligni e vegliare sul sonno dei defunti: sfingi, leoni, pantere, mostri marini, arieti, centauri.




E dato che siete in zona, non mancate di fare una visita al ristorante-pizzeria-bar “Casale dell’Osteria” piatti genuini, simpatia e cortesia e, se siete amanti delle verdure, tanti piatti gustosi e zuppe e crostini. Un appuntamento con il buon cibo da non perdere!