di Giovanni Caselli
Riti religiosi etruschi in età ellenistica

La monografia di Ambros J. Pfiffing Religio Etrusca del 1975 segna l’inizio di un fruttuoso periodo di ricerca sulla religione degli Etruschi. Si sono raffinati i metodi di indagine e creati nuovi strumenti di ricerca. Fra le voci del ThesCRA (Thesaurus Cultus et Rituum Antiquorum) si ricordano quelle di L. Donati e S. Rafanelli, Il sacrificio nel mondo etrusco, di E. Simon, Libation, di A. Maggiani, La divinazione in Etruria e di A. Maggiani e S. Rafanelli, La preghiera in Etruria.
Il popolo etrusco fu definito da Tito Livio “il popolo più di ogni altro dedito alle pratiche religiose” (Ab Urbe condita, V, 1,6). Alla luce di questi studi, Simona Rafanelli ha proposto l’esame di tre documenti fra i meno noti e indagati. L’autrice propone l’esame di una piccola oinochoe (brocchetta da vino) a figure rosse proveniente dalla necropoli dell’Osteria di Vulci, conservata nel Museo di Villa Giulia a Roma, che raffigura una scena sacrificale dove si osservano le operazioni che precedono l’immolazione della vittima, seguita dalla libagione e dalle offerte incruente. L’altare, dalla ricca modanatura, è posto al centro della scena dividendola in due. Da un lato l’offerta sacrificale cruenta, dall’altro quella incruenta. Nella parte destra si vedono delle offerte solide posate su un tavolo accanto un giovane nudo, guarda l’altare mentre porge una patera con la mano destra al di sopra del tavolino, mentre nella mano sinistra, abbassata, tiene una benda di stoffa. Sulla sinistra dell’altare c’è una cerbiatta tenuta per una corda da un secondo giovane nudo, coronato con tenia e indossante una grande armilla con bullae al braccio. Nella destra impugna un grande coltello sacrificale con lama triangolare (secespita). Sull’altare ornato con corona di alloro, arde un fuoco. Su di un lato poggia un incensiere. La scena “fotografa” l’attimo che precede il sacrificio della vittima e la libagione delle offerte incruente prima e dopo il versamento del sangue e la cottura delle carni della vittima. La benda (tenia) che cinge la testa dei giovani e la corona di alloro che adorna l’altare suggeriscono preliminari riti di purificazione che riguardano la vittima, i partecipanti al rito e lo stesso altare. L’immagine risale all’epoca tardo classica e testimonia una continuità con le rappresentazioni precedenti, arcaiche e classiche.
Gli esperti rilevano nella scena caratteri tipicamente etruschi assieme a contaminazioni greche e italiche. L’offerta di forma piramidale potrebbe rappresentare un composto farinaceo noto nel rito sacrificale greco col nome di “pyramides”, usualmente offerto a divinità ctonie e a defunti. Mentre l’altare stesso ha una forma tipicamente etrusca. Le figure dei due giovani indicano due mansioni diverse: l’una addetta all’atto cruento, quindi il sacrificante che ha funzioni sacerdotali nelle cerimonie private.

La cerimonia fa parte di un rito funebre privato dedicato a Fufluns, il Bacco etrusco, gli esperti lo arguiscono dai simboli presenti nell’iconografia e dai vasi stessi.La sequenza rituale del sacrificio si svolge così: presentazione della vittima viva di fronte all’altare, libagioni incruente che precedono e seguono l’immolazione della vittima e l’offerta delle sua carni. Questo procedimento pare fosse comune in tutto il Mediterraneo. Secondo il rituale del Liber Linteus, il testo delle mummia di Zagabria, la presentazione delle vittima alla divinità precede l’offerta del vino e l’immolazione della vittima, come è prescritto anche nelle Tabulae Iuguvinae, così come accadeva nella Grecia contemporanea. Nell’iconografia divina è frequente in Toscana il dio etrusco Culsans, il guardiano della porta, che deriva dall’iconografia greca di Argo, il guardiano bifronte ed è seguito in Roma arcaica dall’iconografia di Janus bifronte, raffigurato con una lunga barba. In età ellenistica compare una nuova iconografia di Argo, che influenza di nuovo quella di Janus a Roma che adesso ha la barba corta e ricciuta o è rasato.

La raffigurazione di Argo giunge in Etruria nel IV sec. a.C. Le rappresentazioni più antiche di Culsan risalgono all’età ellenistica. La raffigurazione di Culsan si trova in una statuetta di bronzo di Cortona e da monete volterrane. L’identificazione del Clusa etrusco col Janus romano è ipotizzata da I.Krauskopf, E. Simon e H. Rix (Janua/janua = porta; Culsan/culs = porta), anche se le raffigurazioni delle due divinità sono molto diverse. La divinità etrusca somiglia molto al dio Ammone, con sulla testa un vello di ariete con le corna.