di Alessandro Ferrini

Lamine in oro rinvenute a Pyrgi

Ancora oggi la lingua etrusca rimane un mistero di difficile interpretazione; le parole finora note di quell’antico idioma sono circa ottomila, compresi i nomi propri che rappresentano la stragrande maggioranza e le forme flesse. Esse sono ricavate da circa 13000 testi in gran parte epigrafici (ricordiamo i più importanti Lamine di Pyrgi, Tabula Cortonensis, Tegola di Capua, Disco di Magliano, Cippo di Perugia), risalenti al periodo fra il VII secolo a.C. e il I secolo d.C. e provenienti soprattutto dall’Etruria propria ma anche dall’Etruria padana e dalla Campania oltre che da Lazio, Umbria, Liguria e perfino Corsica e Tunisia, tutte zone che furono frequentate dagli Etruschi.

Tarquinia pitture con iscrizioni etrusche

A questi si aggiunge il Liber Linteus (IV secolo a.C.) conservato nel museo archeologico di Zagabria, composto da dodici fogli quadrangolari in lino che contengono 1200 parole.

I testi di maggior ampiezza sono quelli che ovviamente forniscono il numero più cospicuo di lemmi e offrono la possibilità di indagare la struttura della lingua, pur tuttavia a causa dell’isolamento linguistico dell’etrusco ci rivelano, almeno per ora, soltanto il senso generale del testo, con passi di maggiore o minore chiarezza, senza mai consentire una vera e propria traduzione.

Liber Linteus

Così il Liber Linteus di Zagabria, che avvolgeva una mummia egiziana, contiene prescrizioni per cerimonie da celebrare secondo un calendario religioso in onore di diverse divinità e in favore di istituzioni sia religiose che civili; la Tegola di Capua, trovata nel 1899 e conservata nel Pergamon Museum di Berlino, riporta un rituale funerario con l’enumerazione di offerte in favore di divinità; il cippo di Perugia, nel Museo Archeologico della città, ricorda disposizioni giuridiche per la divisione di proprietà fra le famiglie dei Velthina e degli Afuna; la laminetta di piombo di Magliano, rinvenuta nel 1882 ora nel Museo Archeologico di Firenze, contiene nomi di divinità con relative offerte e infine la tavoletta d’avorio di Marsiliana d’Albenga (fine del VII se. a.c.) in cui è inciso l’alfabeto composto di 26 segni con a fronte quello fenicio. Dati più concreti si sono potuti ricavare dai testi contenenti formule epigrafiche etrusche e latine.

Cippo di Perugia

Dalle iscrizioni funerarie, che nella redazione più semplice contengono la sola formula onomastica del defunto, ma che talvolta ricordano una genealogia più o meno complessa, apprendiamo i termini di parentela, nomi di magistrature e cariche sacerdotali. Così come, ad esempio, da iscrizioni indicanti il possesso di oggetti accanto al nome del proprietario possiamo risalire a pronomi o aggettivi possessivi. Alcune forme di “verba donandi” ci sono note da iscrizioni di dono e di offerta mentre forme di “verba faciendi” si ricavano dalle firme apposte dagli artisti sui loro manufatti, su vasi, ceramiche opere costruzioni edilizie decorazioni. Poche altre parole comuni, non tutte di significato certo, si ricavano dalle rare iscrizioni su cippi di confine o su oggetti appartenuti ad organismi pubblici; altre ancora dalle scritte esplicative che illustrano talvolta le raffigurazioni, siano esse dipinte su vasi o pareti tombali o incise su specchi. Infine una fortunata scoperta del secolo scorso, effettuata a Vulci, ci ha restituito due dadi di avorio, ora conservati nella Biblioteca Nazionale di Parigi e comunemente noti come “dadi di Tuscania”, che invece degli usuali cerchielli presentano iscritti sulle facce i nomi dei primi sei numeri etruschi.

Le sei facce di uno dei dadi di Tuscania

A titolo esemplificativo si danno di seguito alcuni lemmi di sicura (o molto probabile) traduzione trascritti in alfabeto latino, divisi per sfere semantiche.

Sfera familiare: apa “padre”, ati “madre”, clan “figlio”, husur “figli” nel senso latino di liberi (maschi e femmine), nefts “nipote”, ricollegabile con il lat. nepos; papa “avo, nonno”; prumts “pronipote” (lat. pronepos), puia “moglie”, ruva “fratello”, sec “figlia”.

Sfera sociale: camthi, purth, macstrev e zilath titoli di magistratura; cilth “rocca”;, etera “servo”; methlum “stato”, spura “città”, spurana “civico.

Alfabeto

Mondo divino e cariche sacerdotali: ais (aiser) “dio” (“dei”), netsvis “aruspice”, flere “nume”, alpan “offerta”.

Musici e maschere: suplu “auleta”, phersu “maschera, personaggio mascherato” (lat. persona).

E ancora:

acil “opera”, avil “anno”, thesan “aurora, mattina”, tin “giorno”, tiu “luna, mese”, usil “sole”, aska “vaso” (dal gr. askòs), malena “specchio”, eleiva “olio”, vinum “vino”, hiuls “civetta”, thevru “toro”, leu “leone”.

E i primi dieci numeri:

thu “uno”, zal “due”, ci “tre”, huth “quattro”, mach “cinque; sa “sei”, semph “sette”, cezp “otto”, nurph “nove”, sar “dieci

 

Bibliografia:

Dizionario della civiltà etrusca, Giunti 1985

Massimo Pittau, La lingua etrusca, Ipazia books 2015 (Dello stesso autore anche il Dizionario della lingua etrusca pubblicato nel 2018)

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