… sconfitta e morte di Lucio Sergio Catilina
di Alessandro Ferrini

Lucio Sergio Catilina nacque a Roma nel 108 a.C., all’inizio di un secolo tormentato da guerre e lotte civili che segnarono la fine della Repubblica e l’inizio del Principato.
Discendente da una nobile e antica famiglia romana, nobili genere natus, – lo definisce lo storico Sallustio – fuit magna vi et animi et corporis, sed ingenio malo pravoque, dopo aver tentato di essere eletto console nelle file dei populares per due volte senza riuscirci, osteggiato in ogni modo dagli optimates e dai maneggi di Cicerone, nel 63 decise di organizzare una congiura e tentare un colpo di stato per impadronirsi del potere. La congiura venne scoperta da Cicerone, allora console in carica, molti congiurati vennero arrestati e condannati a morte ma Catilina riuscì a fuggire verso l’Etruria dove un suo luogotenente, Caio Manlio, accampato nei pressi di Fiesole stava reclutando e organizzato un esercito di ribelli. Catilina si mise a capo dei rivoltosi con l’intento di costituire una forza armata e marciare su Roma. In pochi giorni riuscì a completare l’organico di due legioni anche se soltanto un quarto dei soldati disponeva di un armamento adeguato; gli altri erano malamente equipaggiati con semplici aste, spiedi o addirittura pali appuntiti. Tuttavia, nonostante avesse bisogno di accrescere le proprie fila, Catilina respinse sempre i numerosi schiavi che si presentavano all’accampamento; non voleva che la causa portata avanti da cittadini romani fosse confusa con una rivolta schiavile. Fino alle none di dicembre si tenne in luoghi montuosi e poco accessibili, muovendosi ora verso Roma ora verso la Gallia e aspettando rinforzi prima di concedere ai nemici l’opportunità di combattere.
Quando però gli giunse la notizia che a Roma ormai non poteva più contare su nessuno essendo stati i suoi seguaci tutti arrestati o uccisi e che l’esercito regolare inviato contro di lui dal Senato si stava avvicinando al comando del console Antonio Ibrida, Catilina marciò verso il territorio di Pistoia con l’intenzione di riparare nella Gallia transalpina percorrendo itinerari poco battuti. Ma il pretore Quinto Metello Celere aveva intuito il piano e, al comando di tre legioni di stanza nel Piceno, appena seppe che Catilina si era mosso, portò l’esercito ai piedi dell’ Appennino dove la valle del Reno sbocca verso Bologna per sbarrargli la strada a nord, lungo i sentieri dai quali doveva per forza scendere, più o meno lungo la direttrice seguita oggi dalla ferrovia Porrettana. La fama del comandante e l’addestramento dei soldati sconsigliavano di forzare lo sbarramento da quella parte. Catilina ritornò sui suoi passi, verso l’esercito comandato dall’inetto Antonio Ibrida; che si avvicinava rapidamente da sud, marciando a tappe forzate, favorito dal territorio pianeggiante e dalle strade facilmente percorribili.

La battaglia si svolse probabilmente il 5 gennaio del 62; sul luogo preciso dove avvenne lo scontro, sicuramente nel territorio montano sopra Pistoia, sono state fatte varie ipotesi. La più attendibile è quella che situa il campo di battaglia nel luogo dove agli inizi del XX secolo sorse il paese di Campo Tizzoro, nell’Appennino pistoiese, in una piccola zona pianeggiante racchiusa dai contrafforti montani fra i torrenti Reno e Maresca e il rio Bardelone, sulla strada che oggi congiunge il capoluogo toscano con il passo dell’Abetone. La scelta di un luogo ristretto e protetto su tre lati è motivata dal fatto che l’esiguo numero dei soldati di Catilina non rischiava in tal modo di essere accerchiato dal ben più consistente esercito regolare.
Nonostante il valore dimostrato i congiurati furono sconfitti dall’esercito romano guidato dal legato Marco Petreio, al quale il console Ibrida aveva affidato il comando adducendo motivi di salute, lo stesso Catilina morì sul campo insieme ai compagni combattendo valorosamente.

Il tragico evento trova solenne rievocazione nello stile lapidario del racconto dello storico Sallustio:
Sed confecto proelio tum vero cerneres, quanta audacia quantaque animi vis fuisset in exercitu Catilinae. Nam fere quem quisque vivus pugnando locum ceperat, eum amissa anima corpore tegebat… Catilina vero longe a suis inter hostium cadavera repertus est paululum etiam spirans ferociamque animi, quam habuerat vivus, in voltu retinens. (“De Catilinae coniuratione”, 61, 1-4)
⌈ Terminata la battaglia, allora avresti potuto vedere davvero quanta audacia e quanta forza d’animo ci fossero state nell’esercito di Catilina. Infatti ciascuno da morto copriva il terreno che da vivo aveva occupato lottando… Catilina fu trovato lontano dai suoi, tra i cadaveri dei nemici, respirava ancora appena recando impressa nel volto la fierezza d’animo che aveva avuto da vivo.⌋
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