“Tu uccidi un uomo morto”: i retroscena della battaglia di Gavinana

Il 3 agosto 1530 i soldati imperiali del principe d’Orange sconfissero i fiorentini a Gavinana, determinando la fine della repubblica e la restaurazione dei Medici. Ciò che accadde a Gavinana è noto: appena gli imperiali ebbero battuto l’esercito fiorentino, Fabrizio Maramaldo trafisse a morte Francesco Ferrucci, che era suo prigioniero. Ignobile atto che tutti abbiamo biasimato fin dalle scuole elementari, commossi dalle parole “tu uccidi un uomo morto!” che sembra aver pronunciato il capitano fiorentino. Meno note sono le ragioni che indussero Maramaldo a infierire, contro tutte le norme dell’onore, sull’avversario inerme e già ferito, e a macchiarsi di un assassinio.

Capitano del contingente incaricato di alleggerire la pressione nemica su Firenze assediata, Francesco Ferrucci era uno specialista della guerriglia; Fabrizio Maramaldo era stato messo alle sue calcagna per annientarlo. Si erano scontrati per la prima volta a Volterra, dove il Ferrucci era riuscito ad asserragliarsi dopo un colpo di mano e per comprendere i motivi del gesto di Gavinana occorre ricordare quello che accadde proprio a Volterra.
Nell’intento di costringere l’avversario a cedere le armi; Maramaldo cercò di indurre i volterrani alla rivolta e spedì « trombetto » ad annunciare le offerte di pace. Temendo la pressione psicologica sulla cittadinanza oppressa, Francesco Ferrucci ordinò di cacciare l’araldo e minacciò addirittura di impiccarlo se si fosse fatto vedere di nuovo. Questa condotta era già contraria alle norme, ma il Ferrucci fece anche di più: quando Maramaldo spedì per la seconda volta un araldo a leggere il proclama, lo fece catturare e senza stare a pensarci troppo lo impiccò davvero.
Fu questa la ragione dell’odio che Maramaldo covò in cuore contro l’avversario? Forse questo fu soltanto l’inizio, anche se certo il corpo dello sventurato « trombetto », lasciato penzolare in vista del nemico finché durò l’assedio di Volterra, dovette costituire un’offesa mortale per Maramaldo, che aveva mandato l’innocente araldo incontro alla morte senza riuscire a vendicarlo.
Ci fu però qualche altra cosa. A Volterra, a quanto pare, la lotta si trasformò in una sorta di disputa personale tra i due capitani. Maramaldo era certo un soldataccio, ma viene descritto come « gentiluomo di buon sangue e di alta reputazione ». Per le bande fiorentine del Ferrucci, tuttavia, il suo nome suonava irresistibilmente ridicolo.

E così, per tutta la durata dell’assedio, non passò giorno senza che dall’alto delle mura di Volterra qualcuno gridasse ingiurie e « miagolate » contro Maramaldo. I soldati si spenzolavano giù e schernivano gli uomini del condottiero napoletano urlando « maramao »; mentre gridavano dondolavano sulla testa dei nemici dei poveri gatti legati per la coda perché miagolassero il più disperatamente possibile. A un certo punto presero perfino a ritmare a squarciagola un ritornello che diceva: « Chi vuole gattuccio venga avanti al Ferruccio ».
Insomma non c’è da meravigliarsi se Maramaldo si rose il fegato per la gran rabbia. Iracondo e suscettibile, attaccabrighe e vendicativo, il condottiero imperiale giurò che avrebbe strangolato con le proprie mani l’uomo che gli faceva perdere la faccia davanti ai propri soldati. E proprio questa sembra essere stata la ragione che indusse Maramaldo – il 29 maggio 1530 – ad abbandonare Volterra, rinunciando momentaneamente a quell’inutile e biliosa dróle de guerre e rimandando la vendetta ad altra occasione. Non dimenticò tuttavia quel conto personale che aveva col Ferrucci e lo saldò un paio di mesi dopo, a Gavinana.
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