… tanto che ‘l giglio

non era ad asta mai posto a ritroso

né per division fatto vermiglio

( Paradiso, canto XVI, vv.152-154)

Chi non conosce il giglio di Firenze che campeggia sullo stemma della città toscana, bianco su fondo rosso fino al XIII secolo e poi viceversa, come l’attuale, dopo l’affermazione dei guelfi sui ghibellini?

E quel giglio era diffusissimo non solo nelle campagne ma anche sulle creste e sui ripiani delle mura urbane, scriveva lo storico Repetti, chiamato e conosciuto come Giaggiolo o Iris di cui una varietà è detta appunto florentina proprio perché dal suo fiore, in forme stilizzate, è derivato il simbolo della città gigliata a cui i fiorentini tengono da sempre: si racconta infatti che quando Napoleone propose nel 1811 di cambiare lo stemma risposero per le rime ai “nuvoloni”, come chiamavano i francesi, nomignolo ricavato ironicamente dai “nuos voulons” dell’incipit dei proclami. Un fiore amato, tutelato e prezioso dato che occupava una faccia del prestigioso fiorino e a cui era stato dedicato un giardino e un concorso: il fantasmagorico Giardino dell’Iris, il nome proprio del giglio di Firenze, da Iride, la dea dell’arcobaleno.

E il nome giaggiolo? I più propendono da una derivazione latina, da gladĭŏlus, diminutivo di gladius, spada, per la forma delle foglie, altri indicano in “ghiaggiuolo” il nome originario che renderebbe probabile la derivazione da “ghiacciolo” per il colore bianco ghiaccio dell’Iris florentina.

Non una sola varietà troviamo diffusa in terra toscana, ma più, distinte per il colore, dal bianco dell’Iris florentina

al turchino dell’Iris pallida,

al blu violaceo intenso dell’ Iris germanica.

E forse non tutti sanno che la diffusione di quel fiore è il risultato di una coltivazione marginale che permetteva ai contadini toscani di arrotondare le magre finanze coltivando e vendendo il rizoma profumato e profumante: sembra infatti che in Toscana venisse coltivato dalla metà del XVIII secolo, in un primo momento per un utilizzo legato all’enologia, soprattutto per i vini un po’ aspri ma anche del Chianti che assumevano un leggero profumo di viole, successivamente per ricavare dai rizomi una polvere finissima al profumo di viola mammola, una cipria usata per profumare la biancheria, per la cosmesi, ma anche essenze odorose, acque al profumo di violette o per profumare alcuni vini rossi, un’altra delle preziosità di questo fiore che non era e non è solo un fiore. Le zone privilegiate della coltura, proprio perché il rizoma era molto più ricco di essenze dal delicato e nello stesso tempo persistente profumo di violette a mammola, erano quelle dell’altopiano valdarnese con i suoi terreni sassosi e tendenti all’arido, i più adatti.

Famiglie contadine durante la raccolta dei rizomi

Il Giaggiolo non è quindi solo un fiore proprio perché ha lasciato profonda traccia di sé nella storia degli uomini e del territorio toscano.

Delle tre varietà quelle più coltivate, dal rizoma bianco e profumato, erano la florentina e la pallida in quanto la germanica con il rosso del suo rizoma era meno apprezzata.

L’iris florentina, ch’è il giaggiolo, cresce spontanea in alcune parti di Toscana, e precisamente nella Val d’Arno di sopra, ove diligentemente coltivasi. Lo smercio della sua radice si fa con l’estero per la via di Livorno, donde è spedita in Francia, in Inghilterra, nei porti del Baltico e del Levante. Ridotte le radiche in piccole sfere forate nel loro asse (ed havvi a Pontassieve una fabbrica che si occupa di ciò soltanto) si spediscono per uso di ornamenti in Levante e in Francia ove servono all’uso chirurgico di mantenere aperti i fonticoli. I ritagli della radice si vendono per uso di profumeria ridotti in polvere, ed anco per unirsi al tabacco, mentendo l’odore della mammola, e nella Cina per odorare il thè” così scriveva il Repetti spiegandone in poche righe gli usi e i commerci nel lontano 1855.

I roncolini

E ancora oggi il Giaggiolo viene coltivato in Toscana: i rizomi raccolti e lavorati, privandoli delle foglie e delle radici, quindi lavati puliti e fatti a fette; asciugati al sole e ben secchi vengono conservati e stoccati nei magazzini dove aleggia il gradevole profumo di viola. Solo una parte dei rizomi viene sbucciata, attività svolta a mano con i vecchi strumenti, i roncolini, appuntiti e ritorti: sono i rizomi bianchi utilizzati per realizzazioni eccellenti. Questa coltura è per questo limitata alla zona del Chianti e del Pratomagno valdarnese e oggi svolta solo da addetti a questa specifica lavorazione.