Itinerario in val di Zambra nel Comune di Sesto Fiorentino

di Michele Chini
Breve ruscello che nasce poco a monte della Torre di Baracca e assume l’aspetto di un torrente stagionale dopo la Fonte Giallina, la Zambra forma una valletta poco conosciuta e piuttosto selvaggia, ricca di storia e di vestigia del passato. Il nome Zambra sembrerebbe derivare dal sumero “ambar” attraverso l’ etrusco “zamera” o “sambra”, nome applicato a diversi torrenti dell’area fiorentina, che significherebbe “fiume” o, secondo alcuni, più propriamente, “fiume dei morti”; l’ipotesi etimologica pare essere avallata dalla presenza di un analogo torrente Zambra nei pressi della necropoli etrusca di Cerveteri, nel Lazio settentrionale, e comunque la Zambra di Sesto segna il confine basso della necropoli villanoviana di Palastreto, risalente all’VIII secolo a.C., e scorre accanto alle più note tombe a thòlos della Montagnola e della Mula, realizzate dagli etruschi alla fine del VII.

L’itinerario parte dall’ampio parcheggio del campo sportivo di Doccia da cui, rimontando via Fabbrica per circa 300 metri, si raggiunge l’imbocco di via Tiglio, indicata anche da cartelli escursionistici (segnavia CAI 3). La stradina sale dolcemente, passando davanti alla villa dei Ginori, poi taglia in piano passando accanto ad alcune case e si congiunge con via Fonte Mezzina, che si segue verso sinistra tra ulivi e muretti a secco. Giunti ad un bivio si prosegue sulla destra superando un cancello oltre il quale si diparte la strada che porta alle cave di arenaria e di qui, voltando a sinistra, si entra nella stretta valle della Zambra. Anche se siamo appena a fine marzo, a causa dei molti giorni di sole la parte bassa del corso d’acqua è già praticamente in secca, ma man mano che si sale si cominciano ad individuare pozze e cascatelle.

Una tra le più alte è superata dall’antico Ponte alle Volpi, documentato già nella Carta dei Capitani di Parte Guelfa del XVI secolo, testimonianza di un’antica viabilità a mezza costa, per evitare la Piana, all’epoca paludosa ed insalubre. Probabile che il tracciato collegasse da una parte Poggio del Giro con le tombe monumentali della Mula e della Montagnola e dall’altra parte le tombe comuni della zona tra la Castellina e Palastreto, mantenendosi sempre in quota secondo un percorso di mezza costa, il più agevole e rapido. Su alcuni documenti dei primi del 1900, in corrispondenza del tracciato antico, è segnata una strada poderale nella proprietà Tognozzi – Moreni denominata “via dei morti” o “via del poggio”, toponimi identificati con Poggio del Giro e Palastreto, come fulcro di zone sacre e cimiteriali.
Proseguendo sulla sinistra del fiume, senza attraversare il ponte, il sentiero si ramifica in vari viottoli che, di volta in volta, si avvicinano al letto del torrente per permettere al viandante di ammirarne i giochi d’acqua: a seconda della pendenza, si osservano tracciati scavati nel giallo della pietra arenaria percorsi da gioiosi zampilli oppure placidi laghetti cristallini, costituiti da chiare, fresche e dolci acque di petrarchesca memoria; tutto intorno si possono ammirare boschetti di cerri e cipressi e piante di alloro e di pungitopo.

Pare di essere sospesi nel tempo, in uno spazio che non ha subito alcuna modifica per secoli e secoli.
Giunti ad un certo punto della salita il sentiero principale piega a sinistra e va a collegarsi col segnavia CAI n.3 che prosegue verso Fonte Giallina. Proseguendo dritto però, quando la Zambra è in periodo di magra, è possibile attraversare il guado e passare sull’altra sponda da cui un sentiero, per brevi tratti un po’ ripido, sale fino ai terrazzamenti a solatio della frazione di Carmignanello.

Il piccolo borgo, secondo il Repetti, è citato già in un documento del 1031 in cui l’imperatore Corrado I confermava al capitolo della cattedrale di Firenze il possesso di due mansi con quel nome, uno sul versante di Vaglia ed uno sul versante di Sesto. Sappiamo che nel 1426 la famiglia Riccialboni, proprietaria di Carmignanello, lo cedette allo Spedale di S. Maria Nuova in cambio di un podere un po’ più a valle, a Lavacchio, lungo la Zambra. Alcuni anni dopo il podere apparteneva ai Buoninsegni, che si imparentarono con i Gerini di Sesto e mantennero la proprietà fino al ‘600 quando la cedettero ai frati di Santa Maria Novella che fecero della villa il loro monastero, affidandone la ristrutturazione all’architetto Matteo Nigetti, allievo del Buontalenti e responsabile della fabbrica della Cappella dei Principi in San Lorenzo. Dopo la confisca delle proprietà ecclesiastiche in epoca napoleonica, la villa fu acquistata dal marchese Leopoldo Carlo Ginori, che unì il borgo alle sue proprietà di Doccia, dove la famiglia aveva aperto la ben nota manifattura di porcellane. Per raggiungere più agevolmente la sua nuova proprietà, Ginori fece costruire una strada, la via piana, segnata da due filari di cipressi, che si ricongiungeva al seicentesco “Viottolone”. La residenza fu usata spesso per le battute di caccia, ad una delle quali partecipò anche il senatore Pelli – Fabbroni, il 12 novembre del 1881, come riporta una scritta a matita su una parete del salone del camino.


Poco distante dalla villa c’è la chiesetta romanica di San Bartolomeo che faceva parte di uno dei tredici popoli della podesteria di Sesto. Il popolo era di dimensioni modeste, poco più di 60 persone nel XV secolo, poiché raccoglieva gli abitanti della val di Zambra tra Quinto alto e Fonte dei Seppi. La chiesetta è costruita in pietra alberese, la stessa di cui è principalmente costituito Monte Morello: è composta da una sola navata con un’abside semicircolare, parzialmente interrata sotto il livello della strada, sormontata da un esile campanile a vela, ormai privo delle due campane, chiaro esempio di architettura Alto Medievale. All’interno della chiesa, oggi chiusa da un cancellino, si può vedere solo lo sfondo azzurro lapislazzuli dell’abside e, sul lato destro un affresco che rappresenta un frate barbuto con un mantello bianco che tiene nella mano destra un libro e nella sinistra un bastone e con ai piedi la testa di un animale, probabilmente un cinghiale. Nel tempo del corredo della chiesa non è rimasto niente tranne un quadro di San Bartolomeo che fu trasferito nella parrocchia di San Silvestro a Ruffignano cui la chiesetta era stata annessa nel 1797.
Procedendo lungo la strada carrozzabile, lasciata a destra la torre di Carmignanello, dopo poche centinaia di metri si arriva al bivio che da una parte porta a Piazzale Leonardo, subito sotto Poggio al Giro, e dall’altra, attraversata la Zambra con il ponte “Spartimoglie” si ritorna sul sentiero n. 3 che riporta a Fonte Mezzina. Prima di attraversare il ponte un viottolo di poche decine di metri porta alla Fonte Giallina dove, come si diceva all’inizio, il ruscello che sgorga poco sopra la Torre di Baracca assume le dimensioni di un torrente.

Seguendo il sentiero 2B è possibile salire ancora, fino alla sorgente, nei pressi della quale, a 530 m di quota, sorge la Torre di Baracca, struttura difensiva posta a guardia dell’antica mulattiera che da Rifredi, attraverso Carmignanello, superava Monte Morello e proseguiva in direzione di Bologna; la torre, di parte guelfa, fu assalita e semidistrutta dai ghibellini dopo la battaglia di Montaperti, nel 1260, per essere poi trasformata in casa signorile dai Cioni, prima, e dagli Strozzi e i Ginori poi.

Qui si conclude il percorso e comincia la discesa verso Doccia dove l’ascesa era cominciata. Per chiudere l’anello, lungo circa dieci chilometri, occorrono poco più di due ore.
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