Curiosità sulla cioccolata

di Salvina Pizzuoli

Frontespizio de Il Giorno (Genova 1803)

… Scegli ‘l brun cioccolatte, onde tributo

Ti dà il Guatimalese e il Caribbèo

C’ha di barbare penne avvolto il crine:

… (Parini, Il Giorno)

Ho scoperto che il cioccolato fa parte della tradizione italiana dalle Alpi alla Sicilia, non solo per dolci e pasticceria, ma anche per piatti un po’ speciali nei quali il cioccolato non è un ingrediente base, ma uno dei tanti, unito alle carni così come alle verdure: il cinghiale al cioccolato nato in Maremma, il pasticcio “di sostanza” siciliano, la piemontese lepre in “civet”, i salmì lombardi, la coda alla vaccinara romanesca, il sanguinaccio e le melanzane al cioccolato tipici della cucina partenopea. La cosa in realtà non mi è giunta del tutto nuova, soprattutto per quanto riguarda le melanzane al cioccolato. Nel suo racconto “Casta diva” (il secondo dei tre contenuti nel libro intitolato “Tre delitti un’estate”) Hans Tuzzi, prestigioso bibliofilo e insigne giallista, riporta la ricetta di Filomena, ischitana e “cuoca di rara arte” per i piaceri del palato del commissario Melis: … continua a leggere Curiosità sulla cioccolata

Un ortaggio arrivato da lontano

La sua origine non è però legata alla Toscana, i suoi natali si perdono molto più a sud, in terra d’Africa, è infatti originario dell’Etiopia. Pare si debba a Filippo Strozzi l’introduzione e la coltivazione in terra di Toscana dalla Campania, era il lontano 1466, e che da allora si sia procacciato un posto speciale su tutta le tavole a nord dello stivale e ancora oltre smentendo che il suo approdo in Francia, più precisamente in terra di Provenza e nella Vaucluse nel XVI secolo, fosse stata opera della nostra Caterina de’ Medici, esportatrice in terra di Francia di molti piatti e usanze e molto ghiotta di questo particolare ortaggio, considerato al nord molto pregiato al punto che Arcimboldo, nella raffigurazione dell’Estate, lo appunta alla giacca del suo protagonista quasi una gemma preziosa o comunque un monile.

C’è un ortaggio molto apprezzato in Toscana tanto da essere ingrediente esclusivo di alcuni piatti e del passato come del periodo più recente.

La sua origine non è però legata alla Toscana, i suoi natali si perdono molto più a sud, in terra d’Africa, è infatti originario dell’Etiopia. Pare si debba a Filippo Strozzi l’introduzione e la coltivazione in terra di Toscana dalla Campania, era il lontano 1466, e che da allora si sia procacciato un posto speciale su tutta le tavole a nord dello stivale e ancora oltre smentendo che il suo approdo in Francia, più precisamente in terra di Provenza e nella Vaucluse nel XVI secolo, fosse stata opera della nostra Caterina de’ Medici, esportatrice in terra di Francia di molti piatti e usanze e molto ghiotta di questo particolare ortaggio, considerato al nord molto pregiato al punto che Arcimboldo, nella raffigurazione dell’Estate, lo appunta alla giacca del suo protagonista quasi una gemma preziosa o comunque un monile. … continua a leggere Un ortaggio arrivato da lontano

Baccalà in zimino, un piatto tipico della cucina toscana

E siccome a Natale già ci siamo, o almeno così ci dicono gli addobbi nelle strade e nei negozi, affrettiamoci, dovessimo arrivare in ritardo, senza la ricetta e soprattutto senza la storia e le curiosità legate a un piatto, di magro, tipico della cucina toscana!

Ovviamente pesce, quello della tradizione: un buon baccalà, ma questa volta in zimino, alla fiorentina.

Ma in zimino, cosa significa?

… continua a leggere     Baccalà in zimino, alla fiorentina

La leggenda della Castagnata del Diavolo

Castagne nella varietà “marrone”

Un piatto legato alla leggenda che volle il diavolo protagonista non solo della costruzione dello splendido ponte sul Serchio ma anche di tutta una serie di storie legate all’attraversamento del fiume servendosi del ponte o del diavolo come traghettatore. Ma anche per spiegare la presenza di castagne nella zona di Borgo a Mozzano nonché di un piatto saporito tanto da aver tentato e corrotto anche il diavolo.

Una suora di nome Monna Leta aveva deciso di disfarsi del diavolo prendendolo per la gola e pertanto allestì un fornello, accanto al fatidico ponte, su cui cosse un po’ di caldarroste che poi sbucciò da ogni buccia, anche della pellicina. Sul fondo di una padella aveva sistemato uno strato sottile di zucchero e un goccio di vino facendo andare il tutto a fuoco vivo. Quando il diavolo, attirato dall’odore, si avvicinò unì le caldarroste e vi versò sopra una tazza di buona grappa. Ne derivò una fiamma viva ma il diavolo, abituato alle fiamme dell’inferno, riuscì lo stesso a vedere le castagne e a prenderne qualcuna che trovò deliziosa sebbene infuocata. Quello fu il prezzo da pagare: per ogni castagna un passeggero poteva attraversare il ponte senza il pericolo di dover vendere l’anima al diavolo se non poteva pagare il compenso. Il patto era stretto: “Purché non manchino le castagne” e così fu, da allora a Borgo a Mozzano le castagne non mancarono e nessuno più corse il pericolo di dover vendere l’anima sua. E non è finita: era nata anche la Castagnata del Diavolo” la cui ricetta si può ritrovare tra le righe della leggenda. …  per altre ricette vai a   Ottobre tempo di castagne: storia e antiche ricette

Storia e antiche ricette: ottobre, tempo di castagne

Giovanni Righi Parenti, rinomato enogastronomo senese, dedicò un suo libro a questo frutto tanto amato in Toscana e utilizzato per la preparazione di vari piatti, dai primi ai piatti di mezzo ai contorni fino ai dolci, fornendoci una serie interessante di notizie e sulla pianta e sul frutto.

Secondo Plinio il suo nome deriva da Kastanis una città del Ponto in cui era coltivato in modo intensivo, furono comunque i Romani a diffonderlo in tutte le terre dell’impero selezionandone le varietà al fine di ottenere frutti più dolci e più grandi   … continua a leggere   Ottobre tempo di castagne: storia e antiche ricette

Microstoria in cucina: dolcezze di Toscana

I cenci dell’Artusi – i dolci di Carnevale

Pellegrino Artusi e il frontespizio de l'Arte di mangiar bene
Pellegrino Artusi e il frontespizio de l’Arte di mangiar bene

I dolci fritti di cui andiamo a chiacchierare non sono tipici toscani, la loro tipicità sta nel nome. Pellegrino Artusi, romagnolo d’origine e toscano d’adozione, non ebbe dubbi, quando ne fornì la ricetta, nel chiamarli cenci il plurale di cencio, senza soffermarsi sugli altri nomi che prendevano in altre regioni italiane.

Il termine documentato già dal XIII secolo derivava da brandello, ritaglio di stoffa.  …Continua  I cenci dell’Artusi storia e ricetta

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La Ginestrata, corroborante e afrodisiaca

Chi conosce la Ginestrata?

Pochi in Toscana la rammentano o ne fanno uso. Un tempo, nelle colline del Chianti senese, era molto diffusa, oggi molto meno, forse perché ricca di ingredienti troppo ricostituenti.

Ma vediamo un po’ più da vicino di cosa si tratta e le sue lontane origini.

E cominciamo subito dal nome che si lega per il suo colore al giallo dei fiori di ginestra, ma era conosciuta anche come Cinestrata.

Le prime apparizioni si perdono nel Mediterraneo: è presente in un ricettario catalanio già dal Trecento e, un secolo dopo, compare nei libri di Messisbugo.    … continua a leggere    La Ginestrata, corroborante e afrodisiaca

Microstoria in cucina: il cibreo, un piatto quasi dimenticato

con ricetta dell’Artusi

Carlo Chiostri illustratore del Pinocchio di Collodi

Dopo la lepre si fece portare per tornagusto un cibreino di pernici, di starne, di conigli, di ranocchi, di lucertole e d’uva paradisa; e poi non volle altro […] Quello che mangiò meno di tutti fu Pinocchio”  

Carlo Collodi nel suo più celebre scritto dedicato ad un burattino cita un piatto della cucina toscana i cui effettivi ingredienti sono i fegatini e i “fagioli” di pollo (sono così detti gli attributi che fanno del gallo un gallo!) e le creste, il tutto in salsa d’uovo, ma aggiungendone per gioco di fantasia alcuni particolarmente stravaganti come le lucertole e chiamandolo cibreino con un diminutivo che non concorda con l’abbondanza del piatto richiesto dalla Volpe, cui fanno difetto solo le rigaglie di pollo.

E ancora in una sua raccolta di racconti dal titolo “Occhi e nasi”: … continua a leggere   Microstoria in cucina: il cibreo, un piatto quasi dimenticato

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Voglia d’estate, voglia di “Frissoglia”

In questa stagione di poche verdure, cavoli e affini soprattutto, a meno di farsi affascinare dai colori invitanti di quelle di serra o prevenienti dai Paesi caldi o di scegliere quelle che in buste colorate nel banco frigo, ma dai gusti indistinti, ci ricordano l’opulenza dei sapori estivi, beh, c’è poco da scegliere… anche se la cucina toscana, anche in questo, ha saputo ben utilizzare le verdure di stagione con le ribollite, con il cavolo nero, i broccoli e le rape in minestre e contorni saporiti.

E allora, scartabellando tra i piatti tipici estivi, colpisce la “Frissoglia” lucchese, tipicamente lucchese e dintorni. … continua a leggere  Voglia d’estate, voglia di “Frissoglia”

Il rosmarino, questo sconosciuto

E sì, pare strano, lo usiamo molto, ci pare di conoscerlo, ma in verità la nostra è una conoscenza molto superficiale.

E cominciamo dall’etimo: secondo alcuni deriva dal latino rus maris ovvero rugiada di mare, secondo altri da rhus maris, arbusto di mare, ma anche, dal greco myrinos ossia aromatico, riferito al suo profumo. L’antica leggenda, che non poteva mancare visti gli usi antichissimi della pianta, racconta che i suoi fiori fossero bianchi ma Maria, durante la fuga in Egitto, vi appoggiò il suo manto colorandoli di azzurro. E oggi non dimentichiamo che il rosmarino toscano , conosciuto con il nome di ‘Tuscan Blue’, azzurro toscano, i cui fiori vanno di un blu intenso al viola, è una specie più resistente alle invernate. … continua a leggere Il rosmarino, questo sconosciuto