di Salvina Pizzuoli

Siamo nel cuore dell’antica Tuscia a pochi chilometri da quella che oggi è la Maremma Toscana da cui noi stiamo arrivando.

Ci accoglie dentro un panorama dai verdi cangianti, ondulato, morbido, illuminato da un bel sole primaverile. Anche il paesaggio sa di secolare, come le genti che lo hanno in origine abitato: una terra calda, accogliente con i rossi e i gialli dei suoi tufi, con tanta storia scritta nelle splendide architetture che ne adornano i poggi e i declivi.

Tuscania ci accoglie così presentandosi con due strutture prestigiose che, appena fuori dell’abitato, ne contraddistinguono le caratteristiche artistiche, in questo caso medievali: le due basiliche di Santa Maria Maggiore e di San Pietro, la prima più in basso rispetto alla seconda che dal colle domina spettacolarmente la piana del fiume Marta.

Saliamo a San Pietro.

Colpisce la maestosità e la snellezza delle forme, leggiadre e leggere con i loro decori nonostante la mole.

Un gruppo nutrito di visitatori con guida staziona davanti alla cancellata: ci affrettiamo allora per goderci l’interno privo di presenze, ingombranti…

Un colpo d’occhio alla magnificenza dello spettacolo che già impressiona con la imponente facciata e le torri che alte e massicce l’affiancano alla sinistra di chi guarda.

All’interno è ancora il silenzio.

Il sole filtra dal grande rosone e illumina le navate e il ciborio in fondo e soprattutto la pavimentazione che con i suoi circoli marmorei di piccolo taglio, e chiari e rossi, occupa tutta la navata centrale, sgombra di scranni, lasciando così il dovuto spazio a tanta leggiadria creativa. Mi colpiscono subito le colonne e i capitelli, la foggia decorata degli archi a tutto sesto, i bassorilievi della balaustra centrale e la profonda quiete che infonde la spettacolarità dell’ambiente mi regalano un’emozione intensa provata poche volte all’interno di antiche chiese medievali.

Sorta sull’omonimo colle sede dell’acropoli etrusca di Tuscania, affonda le proprie origini nell’VIII secolo con rifacimenti successivi che si collocano tra l’XI e il XIII secolo periodo cui si deve la facciata di matrice umbra ricca di simbologie: il grande rosone, simbolo della Trinità e di Dio al centro dell’universo raffigurata da  tre cerchi concentrici inscritti in un quadrato con agli angoli i quattro evangelisti. A destra e a sinistra del grande rosone il Bene e il Male: a sinistra raffigurato da Atlante che sorregge la Chiesa con intrecci circolari grandi e piccoli che contengono figure simboliche, due angeli, l’Agnus dei, e i Padri della Chiesa in quelli grandi, figure allegoriche nei piccoli; a destra un demone con serpenti tra le braccia e tra gli intrecci sirene e arpie mentre un altro demone a tre facce ingoia i girali della vegetazione. Ingentiliscono la composizione due snelle bifore il cui motivo è ripreso in basso nella loggia con undici arcatelle lateralmente alla quale, a destra e sinistra, due grifoni alati stringono tra gli artigli una preda. Il portale centrale consta di tre archivolti su colonne: l’archivolto maggiore è decorato con tarsie con raffigurazioni dei segni zodiacali e dei lavori stagionali, il tutto incorniciato da una lastra marmorea decorata a mosaico e sovrastata da una lunetta con motivi stellari.

Una configurazione complessiva che unisce mirabilmente la simbologia e l’arte creativa dei maestri marmorari: si resta incantati con il naso all’insù a cogliere gli elemnti che la costituiscono, senza stancarsi mai di ammirare tanta leggiadria e tanti messaggi custoditi nelle pietre lavorate.

L’interno non è da meno, anzi. A partire dalla pianta: non perfettamente rettangolare ma trapezoidale convergente all’abside, permette al visitatore una visione complessiva dell’apparato spaziale che compone l’interno. Una particolarità che non avevo ancora vista in alcune delle chiese medievali visitate: le arcate sorrette dalle colonne presentano un decoro a doppia ghiera, di cui una “dentata” all’interno dell’arco; le colonne medesime sono collegate tra loro da muretti e sedili di pietra. Il pavimento cosmatesco, lo stile decorativo che lega il suo nome presumibilmente ai Cosmati una famiglia di marmorari romani attivi tra il XII e il XIII secolo, basato su intagli e intarsî di marmi policromi, di paste vitree e di tessere d’oro,  è originario della fine del XII secolo; nel presbiterio un ciborio datato 1093.

Nel presbiterio balaustre del coro e parapetti divisori del transetto sono testimonianze  di quello che era l’apparato scultoreo della chiesa in origine (VIII e IX secolo)

Frammenti di affreschi decorano le pareti e l’abside ma di essi rimangono pochi brandelli dovuto al terremoto che colpì la zona nel 1971, un sisma disastroso che aveva portato lesioni gravi e profonde a tutto il complesso architettonico e non solo agli affreschi.

Dalle navate laterali si accede alla cripta a nove navate longitudinali, con ventotto colonne di svariate fogge e capitelli, prevalentemente di riutilizzo, che sorreggono quaranta volte a crociera: l’ambiente è altamente suggestivo. Nel 648 vi furono collocati i corpi dei santi protettori di Tuscania, Secondiano, Veriano e Marcellino.

Un cenno, almeno, merita a mio avviso l’abside: stretta e alta domina il poggio e la vallata del Marta, come si può ammirarla da uno dei bastioni cittadini: una costruzione in tufi, riccamente decorata con un doppio ordine sovrapposto di lesene e archetti pensili, scandito orizzontalmente da più fasce decorative in laterizio che corrono lungo la semicirconferenza conferendo alla struttura un aggraziato, pur nella mole, motivo ornamentale che, come per la griera dentata delle arcate all’interno, non avevo mai ritrovato in altre strutture coeve.

Una visita quella a San Pietro a un capolavoro dell’arte romanica

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