di Salvina Pizzuoli

Oggi ci spingiamo ultra limes, ma di poco: tra la provincia di Firenze e quella di Ravenna, dopo Marradi e verso Brisighella. Abbiamo preferito percorrere la vecchia Faentina per la molteplicità di paesaggi e slarghi e scorci di acque che offre il paesaggio dove serpeggia il Lamone, un bel corso d’acqua che ci accompagnerà fino alla nostra meta.
La giornata non è splendida nonostante le previsioni, vento e nebbia nella prima parte vento e sole nella seconda.
La scelta non è stata casuale abbiamo la prospettiva della visita ad un castello con torrione cinquecentesco e ad una strada incredibile, sopraelevata e coperta, in pieno centro storico.
Ma cominciamo dal toponimo
Come annunciano le guide la cittadina sorge in un panorama suggestivo:
“sulla sinistra del fiume Lamone, caratterizzato dalla presenza di tre colli di selenite; frequentato per cure termali, sorge in area ricca di reperti archeologici anche preromani. Le origini del Castrum Brasichellae sono incerte; la fondazione viene comunemente attribuita a Maghinardo Pagani nel sec. XIII. Il Polloni riferisce un’attestazione del toponimo dell’anno 1371 «Brisghella» e propone un etimo da un prelatino brisca, bresca, da cui il romagnolo bresca ‘favo’, siciliano briscale ‘terra spugnosa, gessosa’, e dice che «tale è la natura delle colline brisighellesi». Ma il toponimo probabilmente non va separato da una voce brejega che in territorio polesano significa ‘piccola parte di terreno’ (Lorenzi 1908); la parola è in rapporto con l’italiano briciola, ed e alla base di denominazioni toponimiche del Polesine come Brefega e Brefeghina ( Olivieri)”
Così troviamo nel Dizionario dei toponimi che ci offre notizie sulla storia delle origini. Che la città si affermasse in pieno medioevo è testimoniato dai commerci, agevolati dalle strutture viarie importanti presenti nel territorio, derivati dalle cave di gesso ma anche dalla lana, seta, cuoio e vino nonché dal suo olio di cui ancora oggi si fa vanto e di cui si trova traccia evidente nel paesaggio disseminato di vigne e di olivi.
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Dopo aver visitato Brisighella a noi piace propendere per il toponimo “briciola”, dominata com’è e protetta dai tre spuntoni silicei che ospitano due fortilizi, il castello e la Torre dell’orologio, e un santuario: il piccolo borgo si stende a sudest della Torre, con il suo centro storico di chiara impronta medievale; fu fortificato nel 1394 da Manfredi, signore di Faenza, che nel 1425 respinse nei suoi pressi le milizie viscontee. La sua storia annovera diversi assedi respinti, tra i quali quello del duca di Urbino nel 1467, ma fu conquistata nel 1501 dal duca Velentino e nel 1508 dai Veneziani ai quali, nonostante il breve periodo di governo, si deve l’ampliamento della rocca con un ulteriore torrione che giganteggia sull’abitato; nel 1509 il borgo fu annesso allo Stato Pontificio.




Per una strada erta raggiungiamo la poderosa rocca. Il torrione più piccolo fu eretto nel 1310 da Francesco Manfredi, modificato nel XV secolo e durante l’occupazione di Venezia (1503 – 1509): si costituisce di due torri cilindriche, la più alta e massiccia risale all’aggiunta operata dai Veneziani, raccordate alla cinta di mura con i beccatelli che formano un ampio spiazzo all’interno con i raccordi tra le due torri. Vi si accede per strette scalette a chiocciola e si prosegue seguendo l’itinerario indicato fino a farne il giro completo avendole attraversate entrambe. La struttura del torrione ha cinque piani, accoglieva nei primi due l’acqua, nel terzo l’abitazione del capitano del presidio, nel quarto il forno e la camera da letto, nel quinto la camera della tortura e la prigione.
Da quassù si domina il paesaggio circostante: la Torre dell’Orologio, il Santuario di Monticino, in basso la Collegiata dei Santi Michele e Giovanni Battista, progettata dal fiorentino Gherardo Silvani nel XVII secolo.



Più in basso la slanciata torre dell’orologio, edificata nel 1290 da Magherardo Pagani di Susinana, porta nell’aspetto attuale i segni dei vari rimaneggiamenti, più in alto il Santuario dedicato alla Madonna del 1758 la cui facciata è stata rifatta nel primo ventennio del XX secolo.

Scendiamo per la via del Borgo oltrepassiamo la piazzetta dove spicca sulla parete a sinistra una mappa della cittadina e svoltiamo a destra verso il centro storico con i suoi portici laterali e l’accesso alla via degli Asini o via del Borgo.
È una costruzione eccentrica e singolare che, vista dal basso, mostra solo le arcatelle di quello che in effetti è un portico. Costruita nel XIV secolo circa è una strada sopraelevata e coperta. Antico e originario baluardo difensivo era un camminamento di ronda: perso il suo ruolo difensivo, fu coperta e inglobata nelle abitazioni. Univa due porte della città, Porta delle Gabelle con Porta Bonfante.



Ma perché via degli asini?
L’uso crea il nome alle cose e anche alle strade: quando nel quartiere vennero a risiedere i “birocciai” ovvero coloro che trasportavano il gesso dalle cave in alto, per il trasporto si servivano dei carri, le birocce, tirate dagli asini.
E per concludere alcune curiosità: “brisighello“ è il soldato di ventura, nome con cui oggi viene indicato l’ottimo olio di oliva di queste terre, e proprio dalle mezze arcate del portico di via degli Asini i brisighelli difesero il paese dall’assolto del duca d’Urbino Federico da Montefeltro, era il lontano 1467.
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