Dal latino laurus, secondo alcuni dalla radice laus, ovvero “lode”, appellativo legato alle lodevoli qualità terapeutiche della pianta. Altri attribuiscono l’etimo originario al celtico lawur con il significato di verdeggiante. Conosciuto sin dai tempi più lontani, affonda le sue radici nel mito greco e latino.

Viene tramandato come simbolo appollineo per eccellenza e ritenuto sacro al dio: Virgilio nelle sue Metamorfosi racconta il mito di Apollo e Dafne, dal greco appunto alloro, la ninfa di cui si era invaghito che, per sfuggirgli, chiese aiuto al padre, il dio fiume Peneo, e da lui fu trasformata in pianta. Non potendo il dio coronare il suo desiderio amoroso, decise di fare del lauro la sua fronda.

Presso i romani ne cingevano le tempie, come simbolo di vittoria e d’onore, i grandi condottieri, ma anche i poeti ne furono incoronati. Una tradizione conservata ancora oggi nella parola “laurea” etimologicamente da “laureo”, letteralmente “di alloro” “fatto di alloro”, termine utilizzato in poesia e associato come aggettivo ai sostantivi: corona, fregio, fronda, serto.

Bernini, Apollo e Dafne, Galleria Borghese

Quanto detto per fermarci solo al nome e alla sua antica tradizione.

Non da meno le sue decantate proprietà medicamentose: antiaerofagica, antidolorifica, antinfiammatoria, antipiretica, antisettica, digestiva, spasmolitica, stomachica, tonica. I decotti delle foglie, nella medicina popolare e nell’uso erboristico, vengono utilizzate in decotti anche per uso veterinario come depurativo intestinale dopo il parte del bestiame.

In Toscana si tramandano anche antichi usi artigianali come si legge alla voce alloro negli interessanti volumi “L’uso delle erbe nella tradizione rurale della Toscana”:
“ora sono adoperate per profumare la biancheria, un tempo per fare il bucato: in un’apposita conca di terracotta, forata sul fondo, veniva adagiata la grossa biancheria (lenzuola, coperte ecc.), poi su di questa un robusto telo di cotone detto “cenerone” ed infine uno strato di cenere e foglie di alloro. L’acqua saponata e tiepida, gettata sullo strato di cenere, e raccolta dal fondo – chiamata “lisciva” – veniva rimessa a scaldare sul fuoco e poi nuovamente riutilizzata. Il procedimento seguiva una metodica ben precisa e a Petrognano (Lucca) era riassunta nella seguente filastrocca: “tre tiepidi, tre caldi, tre fioriti ed infine tre bolliti”; l’ultima acqua recuperata, detta “ranno”, era usata come candeggina per sbiancare la piccola biancheria”.

Ma passiamo agli usi alimentari.

La cucina toscana ne fa largo uso negli arrosti, per le ballotte, aggiunto all’acqua di cottura, ma anche nella pappa al pomodoro. Diffuso l’uso per cucinare i fegatelli e le salsicce di maiale.

E per concludere da Giovanni Righi Parenti una ricetta per un olio adatto a condire che coniuga una prelibatezza toscana, l’olio, con un’erba spontanea come l’alloro dal nome gentile e delicato:

L’olio dei poeti*

(ovvero con l’alloro)

Ingredienti

50 g di foglie d’alloro (laurus nobilis)

10g di pepe nero in grani

200g di olio extravergine d’oliva

un pizzico di sale

Preparazione

Si scelgono con cura le fogliette più tenere d’alloro e accuratamente si spezzettano con la mezzaluna sopra il tagliere prima di metterle in una caraffa di vetro con un pizzico di chicchi di pepe nero contusi ed un pizzico di sale.

Copriremo il tutto con dell’ottimo olio d’oliva, quindi chiuderemo bene e metteremo la nostra preparazione da parte, in un luogo fresco dove la lasceremo almeno per un mese.

Ideale da usare mentre cuociamo gli arrosti e da aggiungere ai sughi saporiti.

Si prepara alla fine della primavera quando l’alloro è in piena germogliazione


Rita Elisabetta Uncini Manganelli, Fabiano Camangi, Paolo Emilio Tomei (Dipartimento di Agronomia e Gestione dell’Agroecosistema Università degli Studi di Pisa) “L’uso delle erbe nella tradizione rurale della Toscana”

* Giovanni Righi Parenti “Le cento migliori ricette con l’olio d’oliva”

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