I fiori e le foglie aghiformi dell’asparago acutifolius o selvatico

Conosciuto sin dall’antichità per i suoi benefici effetti e per la prelibatezza, deriva il suo nome dal persiano “asparag” che significa “germoglio” confermando la sua origine medio orientale; altri ne attribuiscono l’etimo al greco (ἀσπάραγος, alfa privativo e spéirō ovvero”spargere”) per la sua capacità di moltiplicarsi.

È diffuso in quasi tutte le regioni italiane ed è il vero asparago selvatico, ovvero asparagus acutifolius, che vegeta nelle macchie e nelle leccete, molto ricercato dagli appassionati e facilmente riconoscibile per le foglie lanceolate e pungenti.

La sua storia si perde nel lontano passato: era consumato dagli Egizi e dai Romani che sapevano anche coltivarlo tanto da aver creato dei manuali sin dal 200 a.C.

Ne parlano nei loro scritti anche Apicio vissuto presumibilmente a cavallo tra il I secolo a.C. e il I d.C., che fu il primo cuoco a scrivere un ricettario, e Plinio che ne riferisce l’efficacia come pianta medicinale nel suo “Naturalis historia”:

inter utilissimos stomacho cibos asparagi traduntur. Cumino quidem addito inflationes stomachi colique discutiunt, iidem oculis claritatem adferunt, ventrem leniter molliunt, pectoris et spinae doloribus intestinorumque vitiis prosunt, vino, cum coquuntur, addito. Ad lumborum et renium dolores semen obolorum trium pondere, pari cumini bibitur. Venerem stimulant, urinam cient utilissime, praeterquam vesica exulcerata (il cibo dell’asparago, si tramanda, utilissimo allo stomaco, aggiuntovi il comino ne elimina le infiammazioni, rischiara anche la vista. Rilassa lievemente il ventre e giova ai dolori al petto e alla schiena e ai difetti dell’intestino quando cotto con il vino e anche ai dolori dei lombi e delle reni, bevendone il seme al peso di tre oboli insieme ad altrettanto comino. Stimola il piacere sessuale e in modo utilissimo muove l’urina, ma ulcera la vescica)

La medicina popolare toscana impiega i turioni per farne un decotto con funzione diuretica e antintiammatoria.

Nel capitolo successivo Plinio scrive più precisamente dell’asparago selvatico Silvestrem asparagum aliqui Libycum vocant, Attici orminum. huius ad supra dicta omnia efficacior vis, et candidiori maior.” (L’asparago selvatico che alcuni chiamano Libico e gli Attici ormino. La forza di questo è più potente rispetto a quanto detto e ancora maggiore quella dell’asparago bianco).

I frutti dell’asparago selvatico sono costituiti da bacche piccole e tonde di colore verde
La pianta dell’asparago acutifolius o selvatico con il turione

Se leggiamo le schede botaniche ad esso riferite scopriamo che l’asparago, contrariamente a quanto si possa pensare, non è il frutto della pianta, bensì il suo turione, ovvero il ributto della pianta che qualora non fosse raccolto diventerebbe un nuovo fusto: i turioni vanno pertanto raccolti quando sono teneri e precisamente in primavera, stagione molto attesa dagli estimatori per la ricerca e la raccolta. Fiorisce tra agosto e settembre con fiori bianchi, maschili e femminili su piante diverse essendo una specie dioica; i frutti sono piccole bacche tonde di colore verde, che diventano, a maturazione, di colore nerastro e sono tossiche.

Non è da meno l’uso ornamentale di vasi e di composizioni floreali, spesso la pianta è infatti usata dai fioristi che la definiscono “il verde”

Come gustarne a pieno il sapore?

Paolo Petroni* in un box dedicato alla voce “Asparagi” del suo libro sulla cucina toscana scrive:

“Gli asparagi si gustano in primavera, da fine marzo a fine maggio, lessati e semplicemente conditi con olio e limone, o rosolati con burro e parmigiano. Non esistono altri modi per cucinarli, se non con le uova al tegamino (detti alla fiorentina o alla milanese o alla Bismark). […] Anche l’Artusi afferma: “Questo erbaggio, lessato che sia, si può preparare in diverse maniere, ma la più semplice e la migliore è quella comune di condirli con olio finissimo e aceto o agro di limone”. Poi suggerisce di cucinarli con burro e parmigiano o di friggerli una volta passati in una pastella; quest’ultima preparazione è introvabile, ma gustosa. […] Ricordo anche gli asparagi finissimi, tutti verdi, chiamati “asparagina”, che sono spesso spacciati per asparago selvatico o di campo; invece possono essere dei tardivi di asparagiaia, cioè coltivati. Ci sono poi gli asparagini di bosco che sono saporitissimi e si prestano per fare risotti, tagliatelle e frittate. […] Gli asparagini di campo e di bosco, dato il loro forte sapore, devono essere prima sbollentati per 5 minuti.

E allora buona ricerca e buoni asparagini di bosco a tutti!


*Petroni, Paolo “Il grande libro della vera cucina toscana”

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