di Giovanni Caselli


Già dal XIII secolo si manifesta un cambiamento sostanziale nelle campagne a partire dalle vicinanze di Firenze. La borghesia che si è appropriata della terra originariamente appartenuta alle aristocrazie comitali o alle istituzioni monastiche del circondario, istituisce un sistema di conduzione che durerà sino a quasi tutto il XX secolo: La mezzadria poderale, che caratterizza il paesaggio dell’Italia centro settentrionale. La servitù delle signorie dei castelli e dei monasteri verrà a costituire la base del nuovo ceto contadino, compare cioè la figura del mezzadro. Ma occorreranno più braccia di quelle disponibili e questa necessità verrà appagata dagli schiavi e dai garzoni, (nel caso specifico molti schiavi saranno nei secoli prossimi Tartari della Crimea) che venivano acquistati sul mercati di Venezia, Genova, Pisa, Ragusa, ecc. Il sistema della mezzadria che gradualmente si estende a tutte le aree coltivate e coltivabili è di radice bizantina, come lo era la civiltà urbana delle città toscane.
Gli immigrati di origini non medio orientali si adeguavano all’unico modello urbano esistente, non solo in Toscana ma nel Mediterraneo e in tutta Europa. La terra è divisa in poderi lavorati da famiglie di mezzadri. La tenuta agricola di un ricco borghese (mercante, cambiavalute o altro) che poteva anche consistere di 2000 o più ettari, ma anche di molti meno, era divisa in unità da un minimo di due a un massimo di 20 ettari, a seconda delle colture; questi erano i poderi coltivati da una famiglia residente un una abitazione al centro o adiacente al proprio podere, alla cui dimensione la famiglia doveva corrispondere in numero di braccia.

Quando si creava una discrepanza la famiglia doveva spostarsi in un podere più adeguato. Il contratto prevedeva la ripartizione dei prodotti a metà e i prodotti dovevano essere vari per garantire il sostentamento della famiglia che necessitava non solo di alimenti variati ma anche di materie prime per la manifattura di quasi tutto ciò che serviva al suo sostentamento. Erano relativamente poche le cose che si acquistavano al mercato mediante lo scambio o mediante moneta, a parte il bestiame da lavoro, le sementi e gli attrezzi di ferro. La coltivazione si definisce “promiscua” o “policoltura” poiché consistente di culture erbacee ed arboree distribuite nello stesso terreno. Laddove si coltivavano il grano e il foraggio c’erano viti e alberi da frutto spaziati razionalmente. Queste coltivazioni i cui prodotti venivano spartiti col proprietario erano accompagnate dall’orto per le verdure necessarie all’alimentazione delle famiglia.
Sempre per l’alimentazione c’era poi il pollaio e la conigliaia e a volte vi era qualche pecora e capra. Il maiale era condiviso e così erano i prodotti delle bestie da lavoro. La famiglia si occupava anche della trasformazione dei vari prodotti. Il contratto prevedeva l’obbligo del mezzadro di risiedere sul podere di non lavorare altrove, di non allevare più di un certo numero di animali da cortile e di essere a disposizione del padrone per dei servizi domestici, secondo l’uso dei Patti.
Sin dal XIII secolo la borghesia cittadina con terre a mezzadria, inizia a costruire lussuose dimore al centro della proprietà terriera. La “villa-fattoria”, provvista di attrezzature per la lavorazione dei prodotti e allo stesso tempo una comoda e spesso lussuosa dimora estiva, è assai simile alla villa del latifondista romano di epoca imperiale, possedendo non solo presse per fare il vino e cantine per conservarlo, ma anche il frantoio per l’olio e due tipi di giardino: il giardino all’italiana, rigorosamente geometrico ornato con siepi di bosso e alloro, e il “selvatico”, un folto arboreto di lecci e cipressi, una parvenza o memoria della riserva di cacciadel cavaliere di origine teutonica nei secoli passati, che ha lasciato il toponimo cafaggio o caggio da gahagium-
Anche in città il signore borghese trasformerà la sua casa-torre in una palazzo di modello orientale, organizzato attorno ad un cortile porticato, echeggiante il khan al quale è ispirato. Tipico esempio di commerciante e possidente con palazzo in città e villa in campagna è quello di Francesco Datini di Prato, della seconda metà del XIV secolo. (Iris Origo “Il mercante di Prato”)

Il pane e il vino erano i prodotti chiave della mezzadria poiché da un lato indispensabili all’alimentazione della famiglia, dall’altro prodotti commerciabili per il padrone e il mercato cittadino. L’olio arriva relativamente tardi e in Toscana in particolare sostituisce i grassi di maiale e il burro. In certe zone favorite l’olio di oliva si unisce al vino e al pane come prodotto principale per il mercato. Gli ortaggi e la frutta, quando erano in eccedenza rispetto alle esigenze della famiglia, venivano smerciati al mercato cittadino – se non era troppo lontano – dove venivano acquistati dai negozianti.

Dopo la Peste Nera e durante il suo ricorrere per tutto il XV secolo, scarseggiava la manodopera nelle campagne e si ricorse quindi agli schiavi, soprattutto slavi e tartari. Questi introdussero anche nuove tecnologie per gli attrezzi agricoli, come aratri e tregge, comuni nei loro paesi di provenienza.
Nelle regioni a nord del Po la mezzadria poderale era rara se non del tutto assente anche alla fine del Medioevo. Nel nord Italia si svilupparono forme di conduzione diverse dalla mezzadria.
Bibliografia
G. Pinto, «L’agricoltura delle aree mezzadrili», in S. Gensini (a cura di), Le Italie del tardo Medioevo, Centro di studi sulla civiltà del tardo Medioevo, San Miniato, Pisa, Pacini, 1990, pp. 433-448.