di Salvina Pizzuoli

“Ospizio famoso da cui ebbe nome e vita il castello omonimo in Val di Nievole […] Risiede in pianura al lembo settentrionale del padule che fiancheggia il lago di Bientina sull’antica Strada Francesca a confine del Ducato di Lucca. Prese il nome dal rio, che lo costeggia, attualmente chiamato Tassinaja, un dì Teupascio […] È luogo celebre nella storia per essere stata qui la prima Mansione, e la residenza dei maestri dell’Ordine degli Ospitalieri, da dove il loro istituto si propagò in Italia a e fuori. […] magnifica è la torre dell’Altopascio di grandi pietre di macigno, la cui sommità trovasi a braccia 88 sopra il livello del mare e da dove si domina tutta la val di Nievole”(Repetti Dizionario).

Riassume così lo storico toscano le peculiarità di questo antico ospitale.

Ma procediamo con ordine a scoprire l’incredibile storia di questo centro di accoglienza per pellegrini con un’organizzazione all’avanguardia, tenuto dai Frati Ospedalieri di San Jacopo detti anche Cavalieri del Tau.

Ma cos’è la Tau?

Nella forma è una lettera dell’alfabeto greco e dell’alfabeto ebraico e corrisponde alla nostra T, ma ha molteplici significati. È un segno antichissimo, largamente usato dai primi Cristiani insieme ad altre figure simboliche: il pesce, la colomba, l’agnello, la pecorella smarrita etc. Simboleggia la croce, un tipo particolare, detta taumata o commissa. Una Tau bianca contrassegnava i frati ospitalieri di San Jacopo di Altopascio, la cui asta verticale terminava a punta e quella traversa si apriva ai due margini ad angolo ottuso, presumibilmente perché oltre ad alloggiare i pellegrini e curare gli ammalati i frati assunsero anche il compito di mastri carpentieri, stradini o fabbri per rendere sicuro ed agevole il cammino, costruendo ponti o barche dove non vi fossero.

Quindi fa riferimento ad uno strumento di lavoro, ma con valore caritatevole ed assistenziale? Da altre parti si presuppone invece il riferimento all’utilizzo della spada quale strumento di difesa. Il simbolo compare ancora impresso nelle pietre di macigno che costituiscono il materiale utilizzato per la costruzione della bella torre campanaria, anch’essa contrassegno di tutto il complesso ospitaliero.

Terminata nel 1280, era visibile da grandi distanze con i suoi cinquanta metri e dominava su tutto il fortilizio ospitaliero. Ancora oggi svetta sulla piana alta ed elegante con le sue bifore e trifore, emblema di Altopascio. La sua funzione fu a lungo quella di fungere da faro per i pellegrini che si fossero persi nelle boscaglie paludose e brumose della Cerbaia. In alto ardeva un fuoco che come la luce di un faro orientava lo sperduto viandante e la “Smarrita”, la sua antica campana, suonava per una lunga ora dopo il tramonto.

La storia non precisa la data di nascita dell’ospitale che, dalle documentazioni successive, si presume intorno al Mille. Nato ad opera di dodici gentiluomini lucchesi, sorse su quella via Romea o Francesca, oggi più conosciuta come Francigena, in un tratto sguarnito di ospitali e sicuramente in un luogo difficile per la presenza di paduli e boscaglie, ma fondamentale come nodo viario tra la piana lucchese la Valdinievole e il Valdarno e quindi Firenze e Arezzo e Roma lungo la Cassia vetus. Detto erroneamente “Ospizio di Matilde”, attribuendogliene la fondazione, in effetti non attestata da alcuna documentazione, faceva solo riferimento ad una famosa donna di potere la cui dimora paterna, la villa “Vivinaia” era situata nei paraggi.

Altopascio Porta Vettori

Di impianto romano, in opus quadratum, prese la struttura trapezoidale ad opera della conformazione del terreno su cui era sorto. Si accede da Porta Vettori, la maggiore, posta a Mezzogiorno. Superata la porta si apre un grande piazzale: sulla sinistra il campanile lo domina dall’alto, di fronte la Porta Mariani, la porta settentrionale. Lo sguardo del visitatore si muove all’intorno e lo scenario è ancora imponente: “lungo il lato nord la magione vera e propria, con un piano terreno difeso da portico ed un’aula enorme, coperta a volte a crociera […] costituiva il naturale ricovero per pellegrini in buona salute […]al piano superiore quattro grandi corsie, che allora si chiamavano rughe, per i pellegrini infermi. Lungo il lato a mezzogiorno la domus, o residenza degli Ospitalieri, la loro mensa, i loro dormitori […] La muraglia perimetrale aveva al sommo un cammino di ronda […] Due torri ancora individuabili, ma verosimilmente ce n’erano altre due […] Le finestre superstiti hanno preziose cornici e fregi: i peducci in pietra a sostegno del medievale ballatoio, mostrano figure umane, misteriose, allusive, i pilastri hanno basamenti e cornici alla confluenza degli archi, con un senso di stabilità e di equilibrio”.

Così Nori Andreini Galli* nel suo suggestivo racconto fa rivivere l’antico ospitale indicandolo e documentandone l’avanguardia non solo per l’organizzazione, per la divisione in reparti, per la modernità delle cure ma anche per la scelta dei cibi. Era proprio nella piazza grande che veniva sistemato il “calderone”: già di prima mattina i frati servienti, a stanga, lo portavano sistemandolo sui pianali di sasso e sopra la legna; e l’odore della minestra si levava da subito: “e c’eran dentro, col farro, tutti li ‘cauli, fave, lenticchie’, che agli ammalati non s’erano potuti dare. Accanto al calderone, una pilata d’olive in guazzo, da mangiare col pane: acqua e vino”.

Un pasto per tutti!

*Nori Andreini Galli “Altopascio. Il segreto del Tau”

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