Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia:

gli affreschi di quattro tombe della necropoli di Montarozzi “strappate” e ricostruite

Al secondo piano del Museo, in una sala climatizzata, gli affreschi di alcune delle tombe della necropoli di Montarozzi (Tomba del Triclinio, Tomba delle Bighe, Tomba della Nave e Tomba delle Olimpiadi) che riproducono la struttura della tomba originale: per motivi conservativi con un lavoro di estrazione particolarissimo, sono stati poi ricostruiti in questa sala. Il termine “strappare” per indicare il metodo utilizzato dà l’immagine del procedimento:

“parete per parete e in un sol pezzo, applicando prima sulle superfici pittoriche un doppio strato di tela finissima con gomma lacca incolore diluita in alcool, le decorazioni delle tombe delle Bighe, del Triclinio e del Letto funebre; pulite e spianate a tergo esse sono state poi ritrasportate su una doppia tela imbevuta di caseato di calcio e fissate infine con tiranti elastici regolabili su telai di pino di Paranà”

scrive Renato Bertoccini nel suo testo “Le pitture etrusche di Tarquinia”.

In altre pagine del volume spiega la tecnica utilizzata dagli Etruschi per istoriare le pareti delle tombe, la stessa praticata dai Greci e dagli Egiziani:

“Veniva steso l’intonaco sulle pareti di tufo delle tombe ottenuto da un impasto composto per circa un terzo di carbonato di calcio e due terzi di argilla, a cui veniva talvolta aggiunta una piccola quantità di torba per mantenerlo umido per impedirne l’indurimento prima che si effettuasse il disegno e vi si stendessero i colori; poi si passava una mano di scialbo bianco o grigiastro per fissare la pittura. Le figure erano dapprima delineate con pennellate rosse, di rado precedute da linee contorno che invece venivano sempre utilizzate per suddividere i riquadri in cui erano suddivise le scene. Pochi i colori base utilizzati; negli affreschi più antichi solo il nero, ottenuto con fuliggine o col carbone vegetale, il bianco (bianco di Spagna o creta bianca), il rosso e il rosa pallido a base di ossido di ferro. Successivamente la gamma cromatica si accrebbe con il giallo di terra di ocra, il blu ottenuto con polvere di lapislazzuli o con un composto di rame, calcio e silice detto frite égyptienne; il verde, unendo malachite e frite égyptienne. Mescolando diluendo questi colori base si ottenevano poi tutte le altre svariate tinte e mezzetinte di cui sono talvolta ricche alcune composizioni”.

Altre interessanti notizie vengono illustrate nei molti pannelli esplicativi presenti nella sala che indicano la necropoli di Monterozzi come la più estesa e ricca di manufatti. Le pitture funerarie in esse contenute sono state datate tra il VII e il II secolo a.C. Un apparato scenico, quello delle tombe dipinte, riservato alle classi più abbienti. La credenza che la vita continuasse oltre la morte determinava la scelta degli artisti di raffigurare scene di vita quotidiana che oggi costituiscono fonte preziosa di conoscenza circa usi e costumi dei nostri antenati. A partire dagli ultimi anni del V secolo a.C. la convinzione più spiritualista determinò scelte raffigurative a carattere diverso: compare infatti un mondo dell’aldilà popolato da dei e demoni.

Tomba del Triclinio

Tomba delle Bighe

Tomba della Nave

Tomba delle Olimpiadi

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Il Volto Santo restaurato nel duomo di San Martino a Lucca

di Salvina Pizzuoli

Quel s’attuffo, e tornò su col volto;
Ma i demon, che del ponte avean coperchio,
Gridar: Qui non à luogo il Santo Volto;
Qui si nuota altrimenti, che nel Serchio:

(Inferno, canto 21°, vv 46 -49)

Siamo a Lucca nella piazza che ospita il Duomo. L’occasione non è solo legata a visitare questa storica chiesa ma alla statua lignea del Volto Santo che in questo settembre ha ripreso, dopo un restauro durato tre anni, il suo posto all’interno della sontuosa cattedrale.

È  la più antica scultura lignea monumentale dell’Occidente, databile tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo.

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Giuseppe Zocchi: Firenze settecentesca

Villa del Poggio Imperiale

La giornata di Giuseppe trascorreva trasportando rena per far calcina, insieme al babbo manovale nei cantieri delle ville signorili e della città e dei dintorni di Firenze, ma anche disegnando con il carboncino su quei bei muri intonacati di fresco che tanto scatenavano il suo desiderio di vedere realizzate le sue immagini fantasiose, anche a costo di sgridate e sguardi incuriositi. Fu così che il marchese Andrea Gerini ne scoprì l’acerbo talento e lo avviò agli studi perché potesse emergere in tutte le sue potenzialità. Fu quindi affidato agli insegnamenti di Ranieri del Pace un artista originale che aveva potuto sperimentare le botteghe romane e diffonderne le novità nelle terre del Granducato: era il lontano 1730.

Non è una leggenda e nemmeno una favola a lieto fine, è la storia di un talento messo fortunatamente a frutto nella Firenze del XVIII secolo.

Parliamo ovviamente del giovane Giuseppe Zocchi (1711-1767), fiorentino, e della sua prorompente passione per il disegno, divenuto poi incisore e pittore di fama e di cui si conservano in vari Musei del mondo le opere: dipinse a Firenze nel palazzo Rinuccini, decorò la galleria Gerini, ma anche la villa Serristori e il soffitto del teatro della Pergola. Numerosissimi i paesaggi e le vedute sia di Firenze che della Toscana, ma disegnò anche per lavori in pietre dure e per le illustrazioni di classici latini e molte delle sue opere furono poi incise, da altri e da lui stesso.

Nell’estate del 1744 dalla bottega di Giuseppe Allegrini “stampatore in rame” usciva la scelta di XXIV vedute delle principali contrade, piazze, chiese e palazzi della Città di Firenze tratte dai disegni dello Zocchi.

Ci piace allora riproporre alcune sue “vedute”, particolari e minuziose della Firenze di allora, in una Galleria di immagini che possano, per quanto minime, presentare e far conoscere le sue opere che, oltre all’apporto artistico, rappresentano un ampio documento a livello storico e antropologico.

Visita la galleria delle stampe di Giuseppe Zocchi

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Liberty

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Pisa: Piazza dei Cavalieri

Storia di palazzi e di antiche istituzioni marinare

di Salvina Pizzuoli

Nell’ampia e splendida Piazza dei Cavalieri, Pisa conserva e mantiene viva la memoria di un antico e potente passato coniugandolo con le eccellenze di una sua storia più recente.
Palazzi rinascimentali ed edifici religiosi fanno da corona alla bella piazza ricca di antiche vestigia artisticamente pregevoli e legate ai nomi di illustri architetti e artisti.
La sua strutturazione odierna risulta da una trasformazione nel tempo dell’antica Piazza delle Sette vie, appellativo che risale all’età comunale quando ben sette strade vi sfociavano. La trasformazione dei suoi palazzi si deve ai progetti di un architetto illustre, Giorgio Vasari, quando, per volere di Cosimo I Medici, nacque un nuovo Ordine militare e marinaro, l’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano: era il 9 gennaio 1561 quando  l’Ordine veniva istituito con l’obiettivo di liberare il Mediterraneo dalle incursioni Barbaresche e ridare quindi sicurezza alla navigazione del mare nostrum.

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Borgo Stretto e la chiesa di San Michele in Borgo

di Salvina Pizzuoli

Entriamo in via di Borgo Stretto, la via che percorre il Borgo Vecchio e che possiamo definire quasi la sua spina dorsale: stretto e variopinto, nonché pieno di vita e di presenze. Ma partiamo dalla sua origine che si perde lontana nel tempo quando il termine Borgo la legava all’insediamento che si era andato sviluppando fuori dalla cerchia di mura altomedievali intorno al XII secolo, nato proprio in prossimità di quelle Porte di accesso da cui affluivano, in entrata e in uscita,  viaggiatori, mercanti, artigiani dalle vie verso nord in direzione di Porta a Lucca e delle strade per Lucca e Firenze. …

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Pieve di Pernina sulla Montagnola senese

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Raggiungere la pieve romanica di Pernina sa un po’ di pellegrinaggio dovendo percorrere, volendo anche a piedi, strade bianche tra verdi boschi di lecci. La posizione è piena di fascino così com’è in un’ampia radura erbosa, il grande cipresso che svetta a sinistra e l’alto campanile a destra. A pochi metri, proseguendo lungo la strada sterrata, il Romitorio di Villa Cetinale e la Scala Santa, di 200 scalini scavati nella pietra, che li unisce e, dall’altro lato, a pochi metri dalla strada provinciale, il castello di Celsa: il paesaggio è da favola ed ha un sapore magico che solo il silenzio, interrotto da brevi cinguettii, può regalare al visitatore in una surreale visione d’insieme.  … continua a leggere  Pieve di Pernina sulla Montagnola senese

Tracce di Firenze

Pianta della Catena. Veduta di Firenze attribuita a Francesco Rosselli. Si nota la catena che la chiude circondandola e che le dà il nome e l’Autore che disegna in alto a destra ci dà il punto di vista.

Tracce di Firenze è il titolo di uno scampolo museale all’interno di Palazzo Vecchio, due stanze, la cui visita è gratuita, che raccolgono mappe, stampe, alcuni particolari ad olio che raffigurano, ad opera di artisti italiani e stranieri, la Firenze di un tempo.
Su tuttatoscana molti gli articoli dedicati alla Firenze scomparsa per i rimaneggiamenti e le demolizioni attuate durante il periodo in cui fu capitale o la Firenze com’era, in base alle documentazioni e ricostruzioni delle epoche passate.
In questa pagina alcune immagini che riportano opere che la documentano in un determinato periodo storico.

Vai a: Tracce di Firenze

Galleria immagini: Viareggio in “Liberty”

Viareggio, particolare della decorazione del villino Flora

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