da: Leonardo Rombai e Marco Sorelli, Dall’assetto ancien régime alla «rivoluzione stradale» lorenese, in Manifestazione espositiva itinerante: percorsi e valichi dell’Appennino, 1985

Mappa dell’area del Mugello (XVIII secolo)

Prima che nel Settecento le riforme lorenesi portassero una vera e propria rivoluzione nella viabilità del Mugello, questa regione presentava un sistema stradale che era il frutto di secoli di storia. Il territorio, già in epoca etrusca e romana e poi nel Medioevo, soprattutto a partire dal Trecento, quando Firenze riuscì a imporre il proprio dominio sul Mugello, vide nascere una rete articolata di percorsi che mettevano in comunicazione la città con i valichi dell’Appennino e con la pianura padana.

Disegno del 1585 con l’edificio sul passo dell’Osteria Bruciata

La valle del Mugello, in questo senso, rappresentava un’eccezione rispetto ad altri bacini intermontani della Toscana: la sua rete viaria era più fitta e vitale, segno di un’intensa attività economica e sociale. Le strade attraversavano la valle da sud a nord, partendo dalla pianura fiorentina e risalendo verso i valichi, mentre altre vie correvano lungo la Sieve, assecondando la sua naturale direttrice longitudinale.

Questo fitto reticolo era percorso da una moltitudine variegata: vi transitavano mercanti, pastori, viandanti, contrabbandieri e soldati. Tuttavia, la qualità delle strade lasciava molto a desiderare. La maggior parte erano mulattiere o sentieri stretti e sterrati, che si inerpicavano lungo i pendii senza adattarsi alle caratteristiche del terreno. Raramente erano inghiaiati o lastricati, e le salite ripide, le curve strette, le valli profonde rendevano i viaggi lenti, difficili e rischiosi. La maggior parte di questi percorsi non erano altro che mulattiere: sentieri stretti, quasi sempre sterrati, che si arrampicavano sui crinali o tagliavano pendii ripidi senza preoccuparsi troppo delle pendenze. Chiunque li percorresse affrontava un viaggio lento, pieno di disagi e pericoli.

Armand Jean Heins, Carrozza aperta del XVI secolo trainata da cavalli (stampa)

Le poche strade di pianura, larghe 5-6 braccia (circa 3 metri), permettevano il transito di vetture leggere. Al contrario, la moltitudine di vie di colle erano spesso larghe solo 3-4 braccia (circa 2 metri), percorribili solo a piedi, a cavallo o con animali da soma, e soggette a frane e all’erosione delle acque piovane e dei torrenti che talvolta scorrevano direttamente nel loro tracciato. Entrambe le tipologie di strada, in pianura e in montagna, erano mantenute in uno stato di trascuratezza cronica, aggravata dai mesi piovosi.

La situazione dei ponti era ancor più critica: molti corsi d’acqua erano privi di attraversamenti stabili e si dovevano guadare, con grande rischio per le persone e le merci, soprattutto in inverno e primavera.

La responsabilità della manutenzione gravava completamente sulle comunità locali, che venivano obbligate a fornire manodopera e animali attraverso le cosiddette comandate. Tutti i lavoratori della terra, a qualunque titolo (proprietari, mezzadri o affittuari), erano tenuti a scavare fossi e ripulire rii durante la bella stagione, per garantire il deflusso delle acque. Questo sistema, scaricando i costi sulle popolazioni, non permetteva di mantenere le infrastrutture in condizioni adeguate ai bisogni economici della valle e alle grandi correnti di traffico verso la Padania.

Filigare l’antico complesso della Dogana

Firenze, già nel Medioevo e poi nel Cinquecento, aveva sempre visto nella scarsa praticabilità delle vie appenniniche una forma di difesa naturale: gli ambasciatori veneziani Marco Foscari e Tommaso Contarini, rispettivamente nel 1527 e 1578, notarono come la difficoltà di queste strade garantisse la sicurezza del Granducato. La rete stradale restava dunque in stato di precarietà anche per scelta politica e strategica, in modo da scoraggiare invasioni.

Anche quando Ferdinando I, nel 1588, progettò di migliorare la principale strada Firenze-Bologna per permettere il passaggio delle carrozze, si scontrò con il timore di “aprire un adito” ai nemici e con l’opposizione del papa e dei Bolognesi. Così, la strategia della difficoltà rimase invariata per secoli.

La complessità del sistema viario emerge chiaramente da un documento del 1527, in cui Marco Foscari elencava otto direttrici principali che dal nord valicavano l’Appennino verso la Toscana:

– La via di Pontremoli, l’antica Francigena, celebre per il passaggio di Carlo VIII.
– La strada della Garfagnana, attraverso la Foce delle Radici e San Pellegrino.
– La via del Val di Setta, che conduceva a Prato passando per Bruscoli.
– La direttrice da Bologna a Firenzuola e Scarperia, considerata la più impervia.
– La via della Valle del Lamone, che univa Faenza al Mugello via Marradi.
– La strada del Muraglione, da Forlì a Dicomano.
– La via della Val di Bagno, percorsa dai lanzichenecchi di Borbone nel 1527.
– La via della Marecchia, da Rimini verso San Sepolcro, la più lunga ma meno ripida.

Accanto a queste grandi vie, esistevano numerosi percorsi minori. Nel settore occidentale del Mugello, Barberino era un crocevia strategico dove si concentravano i transiti dei pastori diretti alla Maremma.
Strade come la via del Sasso, la via della Faggeta, la Traversa del Covigliaio e la via di Castro si riunivano qui. Secondo lo Statuto della Dogana di Firenze del 1579, tutti i pastori provenienti dal Bolognese e dalla Romagna dovevano fermarsi a Barberino per pagare la gabella sulle greggi.

Non era raro che queste stesse vie fossero percorse anche da eserciti. Nel 1529, le truppe papaline di Clemente VII usarono i percorsi minori del Mugello per calare su Firenze. La forza militare comprendeva 1.100 uomini e 34 pezzi di artiglieria, trasportati grazie ai buoi e ai cavalli reclutati sul posto.

Riproduzione figurativa di pezzo d’artiglieria – produzione italiana (sec. XVIII)

Dal Trecento, Firenze realizzò una nuova strada, la Bolognese del Giogo, protetta da Firenzuola e Scarperia. La direttrice divenne il principale collegamento con Bologna e l’Emilia.

Nonostante i ripetuti lavori di manutenzione e allargamento, la situazione rimase complicata. Nel migliore dei casi, occorrevano due giorni per il viaggio, ma in inverno si arrivava a quattro.

Molti viaggiatori illustri testimoniano le difficoltà:

Nel 1471 Galeazzo Sforza fece smontare le sue carrozze e le fece trasportare a dorso di mulo.
Nel 1600 il cardinale Aldobrandini dovette montare su un muletto a Scarperia e solo dopo la discesa riprese la carrozza.
Nel 1732 l’infante Carlo di Borbone poté passare con sei calessi grazie a interventi straordinari.
Nel 1739 Francesco Stefano di Lorena e Maria Teresa affrontarono un passaggio estenuante, con veicoli alleggeriti e pariglie supplementari di cavalli e buoi.

La Bolognese del Giogo, con le sue frane, le sue strettoie e i dislivelli, resistette come arteria principale fino al 1752. Quell’anno venne inaugurata la Bolognese della Futa, la prima vera strada moderna, carreggiabile in tutte le stagioni e adatta ai nuovi traffici e alle carrozze.
Era la fine di un’epoca e l’inizio della grande trasformazione stradale dei Lorena, che avrebbe dato al Mugello una nuova centralità commerciale e politica.

Il percorso** della Postale regia da Firenze a Bologna

Qualche curiosità:

Il Passo dello Stale, menzionato in documenti storici, è un antico nome per il Passo della Futa, un valico appenninico che collega il Mugello alla Romagna. In passato, “Stale” era il nome di un ospizio per pellegrini situato in quella zona, e il nome potrebbe riferirsi anche alla località di Santa Lucia allo Stale, nel comune di Barberino di Mugello.

Una leggenda popolare vuole che una locanda situata proprio sul valico fosse teatro di delitti efferati: i clienti venivano uccisi nel sonno, fatti a pezzi e serviti ad altri viandanti. Scoperto l’orrore, l’osteria fu data alle fiamme: da qui il nome “Osteria Bruciata”.
La dogana di Barberino, oggi scomparsa, era uno degli snodi fiscali più importanti per la transumanza.
Nel Settecento si tentò per la prima volta di avere un piano organico di manutenzione, ma la vera modernizzazione arrivò solo dopo l’apertura della Futa.

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