Mugello

Il Mugello, nonostante la sua conformazione geologica chiusa tra catene montuose, è stato nei secoli uno snodo strategico fondamentale nelle comunicazioni tra il nord e il centro dell’Italia. Questo territorio è stato attraversato da personaggi, eserciti, mercanti e pellegrini che mai lo avrebbero visitato per motivi locali, ma che lo hanno solcato perché obbligati dalla geografia a percorrere i suoi valichi per andare da Bologna a Firenze o da Firenze verso la Romagna. In questo complesso scenario appare assai interessante ripercorrere brevemente la storia delle comunicazioni transappenniniche attraverso tre valichi: l’Osteria Bruciata, il Giogo di Scarperia e il passo della Futa. La chiave interpretativa scelta è quella della “regola dei valichi”, formulata da Raymond Oursel: ogni itinerario storico, specie in territori montuosi, deve essere tracciato partendo dai passaggi obbligati sul crinale. Questi punti obbligati determinano il corso delle strade e, di conseguenza, gli incontri, i commerci, le guerre e le peregrinazioni.

Passo della Futa 1923

Nel Mugello i tre principali varchi montani lungo l’asse Bologna-Firenze sono la Futa (903 metri), l’Osteria Bruciata (917 metri) e il Giogo di Scarperia (882 metri), valichi che si sono alternati nei secoli nel ruolo di arteria principale a seconda delle necessità politiche, militari ed economiche.

Disegno del 1585 con l’edificio sul passo dell’Osteria Bruciata

Il valico più antico è quello dell’Osteria Bruciata, che probabilmente corrisponde al tracciato di una via romana minore, la cosiddetta Flaminia Minore, costruita nel II secolo a.C. e passante da Fiesole verso Arezzo. Le testimonianze documentali, però, emergono con certezza solo nel XIII secolo, quando viaggiatori come il vescovo Wolfger e cronisti medievali tracciano itinerari che citano località di passaggio come Cornacchiaia e Sant’Agata. A rafforzare l’importanza di questo passo si aggiungono i resti architettonici di antichi ospedaletti, luoghi di ricovero per pellegrini e viandanti. Una leggenda popolare vuole che una locanda situata proprio sul valico fosse teatro di delitti efferati: i clienti venivano uccisi nel sonno, fatti a pezzi e serviti ad altri viandanti. Scoperto l’orrore, l’osteria fu data alle fiamme: da qui il nome “Osteria Bruciata”.

Sant’Agata l’edificio in fondo via della Pieve nel sec. XIII era l’ospitale per i viandanti che affrontavano la via per Bologna

Al di là del racconto macabro, tracce documentarie e rilievi grafici di epoca medicea confermano la presenza di strutture in quel luogo, oggi scomparse.
Ma l’importanza strategica del passo non poteva rimanere incontestata. Durante il XIII secolo, Firenze avviò una lunga e difficile lotta contro la potente famiglia degli Ubaldini, che controllava i territori appenninici e quindi i tratti di crinale, soprattutto nella zona dell’Osteria Bruciata. Per sottrarre alla loro influenza le comunicazioni con Bologna, Firenze progettò una deviazione del percorso. Così nacque nel 1306 la “terra nuova” di Scarperia, seguita, più a nord, dalla fondazione di Firenzuola nel 1332. Questi due insediamenti fortificati furono creati non per motivi economici o spontanei, ma come strumenti politici e militari, veri e propri “fora” della strada, cioè centri funzionali alla gestione e difesa delle comunicazioni.

Passo del Giogo in una cartolina del 1934

Il nuovo tracciato passava dal Giogo di Scarperia, e ben presto venne affermato come la via ufficiale tra Bologna e Firenze. Malgrado le difficoltà orografiche e le condizioni primitive del tracciato, il Giogo divenne la principale arteria di collegamento nel Trecento e Quattrocento. Da lì transitarono eserciti, ambascerie, mercanti e figure storiche come Lorenzo il Magnifico, il Valentino, Machiavelli, Leone X. La via, però, non era comoda: i tratti montani non furono mai carrozzabili, e l’assenza di infrastrutture stabili la rese sempre soggetta a pericoli e insidie, come dimostra una deliberazione del 1399 in cui si chiede di costruire una torre e alcune case per sorvegliare il passo, allora infestato da banditi.

Prospetto Dogana delle Filigare al tempo dei Lorena (ASFI)

La vera svolta arrivò nel XVIII secolo con i Lorena. Entrati a governare la Toscana nel 1737, avviarono una politica infrastrutturale che portò alla costruzione della prima vera strada carrozzabile attraverso l’Appennino: la Regia della Futa. Questa nuova via, progettata nel 1748 e costruita tra il 1749 e il 1766, evitava le pericolose salite del Giogo e i frequenti allagamenti della valle del Santerno. Con essa si inaugurava un nuovo assetto viario, più funzionale ai traffici commerciali, ma che emarginava i centri storici come Firenzuola, Scarperia e San Piero a Sieve. La nuova strada, pur tracciando un percorso più lungo, permetteva il passaggio di carri e carrozze, elemento decisivo nell’epoca dell’illuminismo e dei traffici mercantili internazionali.
Nel XIX secolo, con l’unificazione d’Italia, la strada della Futa venne mantenuta come asse strategico. Tuttavia, già dalla seconda metà dell’Ottocento l’avvento della ferrovia cambiò tutto: prima con la linea Porretta-Pistoia (1864), e nel secolo successivo con la più diretta via Prato (1934), il traffico si spostò su altri assi, e il Mugello rimase marginale. Solo la ferrovia Faenza-Firenze (1893), rimase come comunicazione importante dell’area mugellana.

Con l’arrivo dell’automobile nel Novecento, la strada della Futa ebbe un nuovo momento di gloria.

“Abbastanza presto (il 28 agosto 1910, come precisa il Niccolai) viene istituita una linea automobilistica, giornaliera e con servizio postale, da Bologna alla stazione di San Piero a Sieve e viceversa. Le autovetture percorrono la strada nazionale fino a Montecarelli, la lasciano per servire Barberino ma la riprendono prima di Cafaggiolo. Una seconda linea fa il percorso Monghidoro-San Piero a Sieve seguendo anch’essa da prima la nazionale Bolognese e deviando a Casetta verso Firenzuola sulle tracce della strada trecentesca, divenuta rotabile nel 1839, e prosegue per il Giogo e Scarperia. La durata dell’intera corsa Bologna-San Piero, per la Futa o per il Giogo, è stabilita dall’orario in cinque ore e venti minuti.
Con una buona vettura privata e riducendo al minimo le fermate, si poteva fare però molto meglio. «Fra tre ore sono con te! » telefona all’amica, a Firenze, il protagonista di un romanzo dannunziano che l’autore immagina in quel momento a Bologna. Siamo al finale di Forse che sì forse che no (pubblicato proprio nel 1910) dove un episodio è ambientato lungo la strada della Futa e si legge oggi come un documento sull’automobilismo pionieristico in Appennino. Documento incisivo e ai limiti del drammatico, perché Paolo Tarsis (l’uomo che telefonava) non riesce a mantenere la promessa di un arrivo immediato. Egli imbocca deciso la strada per Firenze: « Sospingeva la macchina col suo cuore, su per l’erta, intentissimo ai ritmi di tutti i congegni, sapendo che la sorte era congiunta allo scocco d’una scintilla, al distacco d’un filo». Ma l’automobile lo tradisce: «Era a pochi chilometri dal Covigliaio, nell’Appennino, quando s’accorse che il motore non pulsava più». Il meccanico (si viaggiava col meccanico, allora) «scosse il capo e corrugò le sopracciglia, indovinando il guasto al magnete» e il suo intervento non ebbe successo. «Come passava una vettura di posta, Paolo si fece portare fino al Covigliaio per chiedere aiuto» e tornò con un altro meccanico, che dopo un’ora fece partire la macchina. Ma ben presto si fermò di nuovo: il classico « nulla da fare », anche se il poeta lo maschera con scelte parole: «gli sforzi per sanare il congegno infermo erano vanissimi». Per fortuna, ormai quasi a sera, passa l’automobile di un amico «carica di donne velate e incappucciate» e naturalmente col meccanico. Nuovo consulto e nuovo fallimento; poi Paolo trova un posto sulla vettura funzionante. «Filarono su Firenze senz’altri indugi» (in verità ce ne fu ancora uno: dieci minuti di sosta presso Pratolino «per accendere i fanali mal pronti»), ma quando arrivarono erano passate le otto, avendo Paolo lasciato Bologna sul mezzo del giorno.
Quanto alla «carcassa inanime», restò abbandonata sulla strada: «dal Covigliaio mandarono buoi a tirarla ».
Ma l’automobile avrebbe presto celebrato trionfi, e anche in queste zone con dei motori perfezionati e con i bolidi del Circuito del Mugello e delle Mille Miglia.” (Daniele Sterpos, cit.)

Passo della Fura, Mille Miglia anno 1931

Il capitolo finale di questa evoluzione arriva negli anni Cinquanta del Novecento, con la costruzione dell’Autostrada del Sole. Il nuovo tracciato, realizzato tra il 1956 e il 1964, attraversa il Mugello con gallerie e viadotti, sfruttando anche un antico percorso che passa dal monte Citerna. È un’ulteriore conferma che la tecnica moderna non ha cancellato i tracciati storici, ma li ha reinterpretati e valorizzati.
Tuttavia, i passi storici dell’Osteria Bruciata, del Giogo e della Futa, pur perdendo centralità funzionale, rimangono testimoni vivi di una lunga storia di passaggi, conquiste e trasformazioni.
Oggi, questi valichi sono parte integrante del nostro patrimonio culturale con i loro paesaggi, il loro retaggio e il fascino della loro storia.

Bibliografia:

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