Archeologia industriale in Toscana di Alessandro Ferrini

La produzione di stoffe di lana del Casentino, dai caratteristici colori accesi, costituisce una tradizione che si perpetua nei secoli, fin dall’epoca etrusca e romana: abbondante è la documentazione che prova l’esistenza di antiche gualchiere situate lungo il torrente Staggia. Documenti del XIV secolo attestano che gli abitanti del castello di Palagio Fiorentino, come veniva chiamata all’epoca Stia, pagavano le tasse a Firenze con panni di lana. Con la stessa lana si tessevano le tonache dei frati dell’Eremo di Camaldoli e successivamente anche della Verna e i primi abiti realizzati non a caso erano piuttosto simili, per forma e per colori (“fratino”, “bigio” e “topo”), al saio dei francescani.

Il “panno grosso”, ricavato dalla tosatura delle pecore della valle, era apprezzato per l’alta resistenza all’usura, al freddo e alla pioggia. Infatti il ricciolo, ottenuto con un particolare trattamento detto ratinatura, che contraddistingue gli abiti in panno casentino, costituisce un funzionale doppio strato, favorendo l’isolamento termico, una efficiente impermeabilizzazione e una buona traspirazione.

Agli inizi degli anni trenta dell’Ottocento l’impianto di un opificio nell’abitato di Stia, segnò il progressivo passaggio dalla produzione artigianale, ottenuto con i telai a mano, a quella industriale.

L’opificio di Stia sorse in prossimità del torrente Staggia e dal 1838 ospitò l’intero processo produttivo (filatura, tessitura, follatura e cardatura). Nel 1844 si dotò dei primi macchinari a energia idraulica, di produzione inglese, all’ epoca presenti in Toscana solo a Prato e a Pisa.

Alla metà dell’Ottocento la fabbrica di proprietà di Adano Ricci dava lavoro a più di 300 operai e altri piccoli opifici erano sorti a Pratovecchio e a Papiano, per la produzione di lana meccanica, ricavata cioè dalla carbonizzazione degli stracci.

La prosperità della struttura industriale, passata in proprietà dei fratelli Prospero e Gino Ricci e arricchita di nuovi impianti, si evidenzia dai dati statistici rilevati nel 1888: poteva contare su una “forza effettiva, idraulica e a vapore, di circa 500 cavalli”, dando lavoro a quasi 500 operai e producendo in media annualmente più di 260.000 m di panno, “destinato per le forniture militari e per le richieste del commercio”.

La presenza del Lanificio incise nello sviluppo della zona di Stia, non solo per l’aumento dei posti di lavoro e il conseguente rapido incremento demografico, ma anche per le realizzazione di abitazioni e di servizi per i lavoratori. Già dal 1870 era iniziata la costruzione di un primo nucleo di case operaie lungo la strada per Pratovecchio, e alla fine degli anni ottanta erano presenti una Società di mutuo soccorso, una Cassa di risparmio, un Monte frumentario, una scuola elementare e una scuola di musica, mentre lo stabilimento si dotava dell’illuminazione elettrica, successivamente estesa all’intero paese.

La serie dei fabbricati oggi esistenti testimonia l’evoluzione tecnico-tipologica registrata dallo stabilimento Ricci, definitosi nelle forme attuali dopo gli ampi rifacimenti subiti nel 1898 e nel 1909, come attestato dalle date apposte sulle facciate.

Dopo aver retto alla concorrenza per quasi due secoli il Lanificio di Stia, come venne chiamato dal 1894, entrò in una crisi irreversibile fino alla sua definitiva chiusura nel 1979.

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