Percorsa e descritta dal prof. Giovanni Caselli

Arezzo, l’antica Arretium, giace all’esterno della grande curva che l’Arno compie uscendo dal Casentino ed entrando nel Valdarno Superiore, ai piedi dell’Alpe di Poti, davanti a una fertlissima pianura, ora paradiso di tante piccole industrie.
Sulla bassa collina di San Cornelio o Castelsecco, fuori Porta Trieste, a sud est della città, si vedono i resti di una cinta muraria per 700 metri di lunghezza. Ma la città etrusca sorgeva nell’area ora occupata dal Duomo e dalla Fortezza, ma della città rimangono soltanto pochi blocchi delle mura del IV secolo a.C. Della città etrusca distrutta da Silla nell’81 a.C. si sono ritrovati solo frammenti: decorazioni fittili architettoniche. A Catona furono rinvenute le decorazioni con rilievi accumulate dopo la distruzione da qualche pia persona.

Statue di bronzo arcaiche, fra le quali spicca l’opera unica nel suo genere, della Chimera d’Arezzo, del V secolo a.C., forse restaurata da Benvenuto Cellini dopo il recupero fortuito. Arretium divenne famosa dapprima per la produzione di ceramica a vernice nera che poi col tempo si evolve, nel I secolo a.C. in una celeberrima detta ‘terra sigillata’ o ‘ceramica arretina’, diffusa in tutto il mondo, persino in India, tramite il commercio, vi furono diversi altri tipi di ceramiche ugualmente creati ad Arretium.

In epoca ellenistica anche ad Arretium, come a Faesulae e in altri luoghi in Italia, fu edificato un grande santuario sul Colle di San Cornelio, ma di questo rimangono solo alcune pietre.
I romani occuparono quella che fu la città più industrializzata dell’Etruria dopo Populonia, durante il III secolo a.C., quando fu costruita la Via Cassia.
Caio Clinio Mecenate, amico e consigliere di Augusto, amico di Virgilio e di Orazio, era un aretino, rampollo di una antica nobile famiglia. Il Museo Archeologico di Arezzo è stato intitolato all’eroe eponimo dei prìncipi italiani di epoche posteriori.
A nord di Arezzo, nella verde valle del giovane Arno, il Casentino, sopravvivono i discendenti degli Etruschi, ciò è inequivocabilmente attestato dalla permanenza toponomastica (vai all’articolo dedicato) del maggior numero di nomi etruschi di qualsiasi altra area dell’Etruria storica. Anche l’esame genetico della popolazione vi rileva una predominanza del gruppo sanguigno ritenuto tipico del popolo che provenne dall’Anatolia verso l’XI secolo a.C. A causa di una menzione da parte di Plinio il Vecchio, che fa il nome di certi Umbri Casuentini o Casuentillani, questa regione viene messa dagli storici in Umbria, di umbro la regione non ha nè la toponomastica, né l’evidenza archeologica, né l’etnografia, e nemmeno geograficamente quella valle si può affiliare a questa regione; persino l’alta Val Tiberina faceva sicuramente parte dell’Etruria, come afferma Plinio il Giovane nella descrizione della sua villa ‘in Tuscis’. Quella assegnazione và dunque vista o come un errore di Plinio il Vecchio, o come errore di chi lo ha interpretato troppo palesemente. Ad Arezzo discendeva un’antichissima via di crinale che dalla costa adriatica transitava sulle montagne del Falterona e del Pratomagno, questi ultimi i più grandi pascoli alti della regione, un punto di riferimento estivo per milioni di pecore provenienti dalle Maremme.

Quando ai piedi del Pratomagno, sui terrazzi del lago pliocenico valdarnese, solcato profondamente dall’Arno, si stabilirono comunità di agricoltori in corrispondenza degli attuali villaggi di Loro Ciuffenna, Gropina, Castelfranco, Pian di Scò, Cascia, etc.

si sviluppò una via di controcrinale, cioé una direttrice che trasversalmente collegava questi centri fra di loro, correndo esattamente presso il piede della montagna, all’inizio del terreno alluvionale. Questa strada divenne poi la Via Cassia da Arretium fino alla Sieve. L’opera deve essere stata assai dispendiosa per i Romani; questa strada, detta oggi ‘Via dei Setteponti’, ne ha almeno sette volte sette di ponti su altrettanti rovinosi e profondi torrenti impassabili senza un solido ponte. Putroppo, neanche un solo sasso rimane su alcuno di questi torrenti a testimoniare che in alcun luogo vi fosse un ponte romano: eppure gli itinerari farebbero passar di qui la Via Cassia. Da Arretium a Florentia l’Itinerario di Antonino dà 50 miglia tonde (74 Km), la Tabula Peutingeriana dà cifre non esplicite, ma che con questa collimerebbero, quindi ambedue gli itinerari si riferiscono alla strada di Adriano, sulla sinistra dell’Arno. La strada da Arezzo a Firenze, doveva essere in epoca antica la Setteponti già descritta, che giungeva a Fiesole o a Firenze transitando tutta sulla destra del fiume, e questo itinerario è ben più lungo di 50 miglia romane. Questa, la Cassia Vetus, scendeva sulla Sieve ben oltre l’attuale Pontassieve, dove sul fiume si trovano gli unici resti di ponte romano in zona, il Ponte a Vico, fra Pontassieve e Rufina. Da qui la via raggiugeva Fiesole da occidente rimanendo sulle alture. Solo una stazione è data fra Arretium e Faesulae-Florentia, lungo questa direttrice, si tratta di ad Fines seu Casa Caesariana, che era al confine –ad fines– fra i territori di Arretium e Faesulae-Florentia, quindi verso Castefranco di Sopra. In seguito la Via, da Pontassieve a Firenze può essersi avvicinata all’Arno e in parte aver corso lungo di esso, da Le Sieci in poi.

Nell’epoca imperiale si verifica l’apertura di una nuova strada da Clusium a Florentia, quella degli itinerari e del cippo miliario adrianeo, per cui la chiameremo Cassia Adrianea. Solo evitando il grande giro di Pontassieve si può giungere da Arezzo a Firenze in 74 Km: L’attuale A1 impiega 63 Km, ma questa taglia fuori sia Arezzo propria che Firenze.
Questa nuova strada iniziava quindi a ad Novas, subito fuori Clusium e transitava lungo le pendici orientali dei Monti del Chianti, tenendosi piuttosto alta in quota. Traversava il crinale dei Monti del Chianti a Cintoia, per discendere a Strada in Chianti, Grassina, Badia a Ripoli, dove ad angolo retto piegava per Florentia. Lungo questo itinerario le stazioni erano: ad Graecos, verso Sinalunga, ad Iuglandem, verso Palazzuolo in Val d’Ambra; Biturigia, un rudere detto ‘Cetamura’, presso Badia a Coltibuono; ad Aquileia, un’altro rudere presso Cintoia in Chianti.
Ma la storia non è tutta qui: devono essere esistite varie altre strade, altenative o varianti delle due descritte. Ad esempio, vi era, con tutta probabilità, una via che percorreva il Valdarno Superiore lungo la sinistra dall’Arno, questa passava poi per San Donato e Bagno a Ripoli, dove si è trovato un fondo stradale su un arco di mattoni di età imperiale. Qui a Bagno a Ripoli era possibile raggiungere la Cassia Vetus, a nord dell’Arno tramite un diverticolo, per Quarto e Rimaggio, al Girone, o Quintole, dove sono noti da sempre i resti dei piloni di un ponte romano, peraltro citato dal Villani come ‘l’antico ponte de’ Fiesolani’.
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