“Malmantile nel Val d’Arno sotto Firenze. – Castello semidituro e disabitato con sottostante chiesa parrocchiale (S. Pietro al Malmantile, o in Selva) circa 3 miglia toscane a libeccio della Lastra a Signa. La fortezza del Malmantile posa sul dorso pietroso dei poggi che a sinistra fiancheggiano la lunga e tortuosa gola della Golfolina, fra l’Arno e la Pesa, in mezzo alle selve di lecci, di quercioli e di pini, sull’antica strada maestra e postale fra Firenze e Pisa, presso le scaturigini del torrente Rimaggio, o Rio maggiore, il quale sbocca in Arno all’ingresso superiore della Golfolina. Il nome di Malmantile, che vuol significare in nostra lingua una cattiva tovaglia da tavola, fornì lieto argomento all’egregio pittore Lorenzo Lippi per il suo classico poema eroicomico, cui intitolò Il Malmantile riacquistato”.

Con queste poche ma ben compendiose parole lo storico toscano Emanuele Repetti descrive nel “Dizionario” questo piccolo borgo sulle colline che sovrastano il corso dell’Arno, in prossimità della gola della Golfolina, dove il fiume si muove sinuoso come ben si nota dalla strada che lo costeggia.

Pochi ma imponenti i ruderi del castello con i beccatelli, le mensole di pietra serena a sostegno degli archetti in laterizio a sesto acuto, e i merli simili alle mura di Lastra a Signa, altro borgo murato come ancora ricordano i lunghi tratti e le porte che si aprono nell’antico caposaldo difensivo della Repubblica di Firenze, rafforzato ad opera di Filippo Brunelleschi nel XV secolo.

Anche la nascita del presidio fortificato di Malmantile, lungo la strada che collegava Firenze a Pisa, fu voluto dai Fiorentini e fu edificato intorno al XV secolo, in posizione strategica lungo una importante via di comunicazione e viaria e fluviale.

Colpisce tutto il complesso che mantiene una sua imponenza: percorrendone il giro di mura si nota la loro forma quasi perfettamente rettangolare, le due porte, una di fronte all’altra, una verso Pisa e l’altra verso Firenze, e la presenza di possenti torrioni quadrangolari. Anche il toponimo si impone all’attenzione per la sua derivazione latina da “malum mantile”, cattiva tovaglia, che per estensione ha significato luogo dove manca una buona accoglienza. E, come in tutti i borghi la cui storia si perde nelle pieghe del tempo andato, anche l’etimo curioso di Malmantile è legato ad un’antica leggenda. Si narra che il vescovo di Milano, Sant’Ambrogio, in un viaggio verso Roma, si fosse fermato non lontano da Firenze, siamo nel lontano IV secolo, e che incontrasse San Zanobi, vescovo di Firenze, presso una villa della zona, in altre versioni in una locanda del contado, dove furono ospitati trattenendovisi alcuni giorni. Colpito dalla cattiva accoglienza da parte del proprietario o del locandiere, Sant’Ambrogio profferendo “mala mantilia!” avesse precipitato e la costruzione e i suoi abitanti in un crepaccio. Non mancano ovviamente altre e diverse tradizioni, come per tutte le leggende che si rispettino. Certo l’accaduto doveva aver conquistato l’immaginario di molti se, quando sorse il fortilizio, assunse proprio il nome da quell’antica maledizione!

Meritano una deviazione e la Chiesa di San Pietro in Selva e l’eremo di Lecceto.

Non lontano dal paese la chiesa conserva nella facciata alcuni affreschi trecenteschi: San Cristoforo, due Santi vescovi, le stimmate di San Francesco. E, nella lunetta del portale, una sinopia, per il suo colore rossastro, raffigurante San Pietro tra due santi.

Sempre nei pressi di Malmantile, alle porte del paese, una strada laterale conduce all’eremo di Lecceto, che accoglie il visitatore nella piacevolezza del paesaggio e nella bellezza di una curatissima oliveta. La chiesa dei santi Jacopo e Filippo e il convento domenicano annesso risalgono al XVI secolo come mostrano i particolari stilistici che li caratterizzano. All’interno il bel chiostro e nella chiesa la pala di Neri di Bicci di “Madonna col Bambino”.

Proseguiamo lungo la via detta livornese in direzione di Pisa. La strada segue i meandri del fiume e il paesaggio è gradevole. Dopo alcuni chilometri, sul lato sinistro, il Masso delle Fate o il Masso della Golfolina ricorda il lavorio lungo e laborioso dell’acqua dell’Arno che era riuscito ad aprirsi un varco lungo la stretta o gola della Golfolina.

Giungiamo quindi in località Porto di Mezzo che ricorda come l’Arno fosse navigabile e come questa attività avesse reso le località nei pressi di Signa importanti per gli scambi commerciali da Livorno-Pisa e con Firenze, utilizzando i cosiddetti “navicelli”, le imbarcazioni a fondo piatto che, nella necessità, potessero essere sollevate e portate a braccia per superare determinati impedimenti al cabotaggio via acqua o comunque caricate e scaricate più volte delle merci che trasportavano a causa di punti di secca in cui il navicello si arenava. Una figura di lavoratore legata alla navigazione sull’Arno era quella dei navicellari coadiuvati dai “bardotti” che, con le funi legate alla vita e trascinando l’imbarcazione lungo le alzaie, i sentieri tenuti sempre sgombri, permettevano al navicello di procedere.  Nella zona di Lastra a Signa divennero importanti porticcioli fluviali: Porto di Mezzo, Ponte a Signa e Brucianesi. Va sottolineato infatti che il tratto navigabile in ogni stagione si fermava al Porto di Mezzo.

Proseguendo si incontra la località detta La Lisca (chi volesse saperne di più a questo link) il toponimo che l’arguzia toscana legava al ritrovamento nella zona, e oggi in bella mostra nel sottotetto del caseggiato sulla destra, di un osso di balena, detto affettuosamente “la lisca”.

E giungiamo a conclusione del nostro percorso a Brucianesi. Lungo la strada a destra, nel piazzale davanti alla chiesa un recente tabernacolo conserva un affresco del XV secolo di Madonna e Santi, rinvenuto in uno antico lungo la strada. A sinistra l’abitato di Brucianesi che, con un po’ di immaginazione e trasportandolo a ritroso nel tempo, assume, con i suoi porticati e la sua conformazione, le fattezze di un piccolo agglomerato affacciato sul suo porticciolo. Dall’altra parte della strada, lungo il nuovo tabernacolo, il sentiero che conduce al fiume.

Quanta storia e quante antiche tradizioni in uno spazio, limitato, lungo il corso dell’Arno!

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