a cura della Redazione
Siamo a Firenze in un periodo di grande splendore e crescita e magnificenza sia economica che culturale. Magnificenza e opulenza che spesso si accompagnano a costumi non sempre morigerati come aveva voluto sottolineare Dante quando parlava della Firenze della cerchia antica: le osterie pullulano e prosperano tanto da meritare i versi di un grande del tempo: Lorenzo il Magnifico. Già il titolo esplicita una situazione evidente: I beoni, o più esattamente Capitoli d’una historia di beoni, una rassegna dei più famosi bevitori fiorentini del tempo attribuita al Magnifico e da altri invece al suo copista. Quel che conta per la nostra indagine resta comunque il costume e la costumanza della Firenze della seconda metà del Quattrocento di bere e di sbronzarsi o comunque di apprezzare molto il buon vino, soprattutto la Malvasia o Malvagìa. Dai versi emergono oltre ai nomi dei grandi bevitori anche quelli delle osterie che offrivano non solo vino, ma anche assistenza dopo la sbronza e opportuno accompagnamento al bere con ottime pietanze.
Nel testo del Magnifico o di chi per lui troviamo i nomi delle osterie più note: il Fico, il Buco e le Bertucce. Quest’ultima resistette nel tempo tanto a lungo da essere menzionata anche in composizioni di epoche successive e fu frequentata con assiduità dallo stesso Lorenzo: il Fico era nel chiasso Angolanti incorporato poi nell’edificio dell’Arciconfraternita della Misericordia e prendeva il nome dal ramo di fico dell’insegna; il Buco si trovava nei pressi di Santo Stefano di Ponte Vecchio e forse il Chiasso del Buco, nei pressi di via Lambertesca, prende il nome proprio da quella osteria; e le famose Bertucce? Situata all’inizio di via del Corso dal lato di via Calzaioli, a metà strada tra piazza Signoria e il Duomo, nei pressi della chiesetta di San Martino del Vescovo. Non solo bere e mangiare, ma soprattutto allegre brigate di artisti e uomini dotti dove si confezionavano o vivevano le burle raccontate dai novellieri del tre e del quattrocento.

Le Bertucce torna ad essere menzionata molto più tardi nei versi del grande astronomo Galileo Galilei che la menziona insieme ad altre famose al suo tempo: il Porco ad esempio o la Malvagìa. Il Porco prendeva o dava il nome al chiasso dove era ubicata e aveva per insegna la testa dell’animale e, colmo dei colmi, era condotta dalla famiglia Porcellini. Era famosa perché vi si preparavano piatti prelibati: i granelli, le frittelle, le tomaselle e le carbonate. Alcuni piatti sono ancora riconoscibili: i granelli, ovvero i testicoli di montone o di altri animali, erano fritti e sembra fossero stati per la prima volta cucinati a Firenze proprio nell’osteria del Porco; oggi possiamo trovarli tra i piatti maremmani anche grigliati o in padella con olio aglio e rosmarino. Le tomaselle erano invece polpette di pasta zuccherata e uova. Era detta “carbonata” la carne di maiale secca e salata cotta sui carboni o in gratella, altri invece intendono più precisamente con “carbonate” lunghe salsicce secche molto piccanti, cotte sulla brace. Come non bere con questi piatti? Tanto che qualcuno del tempo inserì tra le maggiori molestie il non bere mangiando proprio le carbonate.
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