di Salvina Pizzuoli

Siamo in località Pieve di San Giorgio a Brancoli, nel cuore della Brancoleria, la valle che si raggiunge percorrendo da Vinchiana la strada lungo il torrente omonimo, e che, per definirla come la descrive lo storico ottocentesco Emanuele Repetti nel suo famoso Dizionario*, è una contrada composta di più borgate e 9 popoli diversi, nella Comunità Giurisdizione Diocesi e Ducato di Lucca, da cui il paese di Brancoli trovasi fra le 7 e 9 miglia toscane a settentrione.[…]Le colline di Brancoli offrono una delle più belle prospettive della Valle del Serchio, e del piano settentrionale di Lucca, rese più vaghe e graziose dalle numerose ville e case di delizia, ma più che altro dalla varia e ricercata coltura della circostante campagna, ricca di ulivi, di viti, di selve e di limpide fontane.

Un panorama decisamente suggestivo si para davanti a noi in questa terrazza che si apre sul sagrato della pieve di San Giorgio. Siamo arrivati qui per una strada che s’inerpica, stretta, sinuosa, lenta, tra il verde, di olivi e boschi, castagneti e vigne, ricca di acque scroscianti, tra il comparire di campanili massicci e chiese e borghi incastonati sui fianchi di lussureggianti colline: solo lo spettacolo della natura merita il viaggio, ma ci aspetta anche quello relativo alla visita della bella pieve che già all’esterno si manifesta in tutta la sua originaria e leggiadra architettura, grigia e imponente ma nello stesso tempo rassicurante per l’armonica commistione tra natura e pietra.


Nella sua linearità la facciata, inquadrata da lesene angolari, presenta semplici abbellimenti che meritano una notazione. Il portale è costituito da un’architrave sostenuta da stipiti con capitelli decorati a palmette; l’archivolto, la fascia decorativa dell’arco, poggia su corti piedritti. Le imposte, ovvero i punti di appoggio dell’archivolto, sono decorati da un’aquila e da un grifone a sinistra, da palmette a destra. Una cornice a foglie di acanto spinoso decora la ghiera dell’arco.


Da sottolineare la decorazione della cornice sottogronda della navata destra: un fregio a girali alla cui base compare una figura umana che tiene in mano quello che sembra un grosso coltello o un pennato.
Più ci si sposta indietro nel tempo più difficile diventa dare voce alle simbologie che sono presenti all’interno delle architetture religiose medievali. Come per il personaggio che decora l’architrave della porta di accesso del lato sud: il Brancolino.

Alcuni studiosi escludono possa trattarsi di un idoletto pagano, altri ritengono più probabile che sia un riutilizzo dalla chiesa preesistente in loco, la chiesa di San Giorgio documentata nel 767 (Archivio Arcivescovile di Lucca) in merito ad una donazione, poi ingrandita per volere del vescovo di Lucca Anselmo da Baggio (nato a Milano e in carica dal 1057) poi Papa Alessandro II (1062), .
Il bassorilievo rappresenta una figura umana stilizzata, nuda, con braccia larghe e mani grandi sollevate verso l’alto: resta una lettura incerta e di conseguenza anche il suo valore simbolico.
Se il lato sud della pieve porta decorazioni, il lato destro è più semplice e spoglio.
Ma entriamo all’interno ad ammirare i preziosi arredi che fanno di questa pieve un vero gioiello proprio perché si presenta pressoché integro nei caratteri originari e costituisce un significativo esempio dell’architettura romanica religiosa della campagna lucchese.
Procediamo con ordine proprio per non rischiare di perderne qualcuno tanto l’occhio resta affascinato e attratto da così elegante bellezza architettonica e artistica.

A tre navate divise da snelle colonne e pilastri con capitelli a diverse fogge ornamentali, il presbiterio leggermente sopraelevato, tre gradini che si ripetono all’interno e che precedono l’altare. Il presbiterio è separato dalla restante navata centrale con plutei, le grigie lastre di pietra che separano le due aree.



A sinistra dell’ingresso, un fonte battesimale ottagonale ad immersione, riccamente decorato con attorno alla cornice quattro protomi, una mancante, che raffigurano animali, un bue, un leone, un angelo presumibilmente simbolo degli evangelisti, Luca, Marco, Matteo; frutti ne ornano il margine superiore.
Stilisticamente omogeneo è l’ambone risalente al XII secolo, datato 1194 e attribuito alle maestranze di Giudetto, scultore e architetto di probabile origine lombarda, nominativo che fa risalire a maestranze comacine.
Ammiriamolo in tutta la sua magnificenza.



Se ne trova una lettura particolareggiata negli Atti dell’Accademia Lucchese di Scienze Lettere e Arti. Note del Socio Ordinario March. Antonio Mazzarosa, lette nelle sedute del 22 settembre 1890 e 13 febbraio 1891:
“Le colonne poggiano sulle schiene di due leoni, un de’ quali stringe con le zampe la figura d’un guerriero, mentre l’ altro è intento a divorare un grosso serpente, nel quale forse si volle simboleggiato il demonio. […] Innalzasi il parapetto sovra un architrave avente fregio con foglie e pine che può dirsi bellamente intagliato; ed è di tal simiglianza alle cornici di maestro Guido da Como o del figlio Guidetto che soprastano al grandioso portico del nostro duomo, da ritenerlo uscito dal medesimo scalpello[…]. Piccole colonne adossate, su cui girano archivolti, ne decorano le pareti, alle quali dà termine una sottile cornice scolpita. Nel centro della maggiore di queste pareti vedesi di tutto rilievo su mensola ornata di fogliami, la figura, di forma alquanto bizantina, lavorata con sussidio del trapano,di un angelo simboleggiante l’ evangelista Matteo; il quale indossa lunga tunica increspata in modo, che se non avesse aspetto giovanile, lo diresti un sacerdote col camice, in atto di spiegare al popolo l’ evangelio; tanto più che tiene aperto con ambo le mani il sacro libro, ov’è scritto in caratteri gotici EVANGELICA LECTIO FIAT PECCATORUM REMISSIO . Al disopra del capo di questa figura è un’ aquila, attributo mistico dell’ evangelista Giovanni, il cui dorso, arrivando al termine o poggiuolo del parapetto, serve da leggio. Nell’angolo presso l’altare vedesi altra mensola destinata allo stesso uso, ove è scolpita l’immagine di un uomo che,come dice il poeta: < Si vede giunger le ginocchia al petto, < La qual fa del non ver vera rancura < Nascere in chi la vede> “.
I versi riportati sono di Dante e sono riferiti al Canto X del Purgatorio.
Ma le bellezze non finiscono qui.

Nel presbiterio una croce lignea del XIII secolo, di maestri locali. Sempre nel presbiterio sulla parete a sinistra un affresco racconta l’Annunciazione, attribuito a Giuliano di Simone.

L’altare principale è sorretto da sei colonnine con capitelli fogliati. Sulla colonna centrale è scolpita una figura maschile in atteggiamento orante.

Sulla parete a destra prima del portone d’ingresso un bassorilievo di terra invetriata che raffigura San Giorgio che uccide il drago; l’opera per i caratteri precipui che presenta è di sicura scuola robbiana.

Anche se non possiamo ammirarla descriveremo per ultima l’acquasantiera sottratta ormai da anni e che completava in modo armonico e contestuale agli altri manufatti l’interno della pieve utilizzando la descrizione del March, Antonio Mazzarosa trovata nelle medesime pagine già citate
“Sopra un cippo piuttosto tozzo, sito a destra di chi entra in chiesa in prossimità della porta maggiore, posa la tazza dell’acqua santa, non molto grande, avente la forma massiccia d’ un cono rovesciato e mozzo nella parte sottile. È di marmo tendente al grigio, che all’ apparenza si direbbe pietra arenaria, ed ha l’esterno ornamento di svariati intrecci, alcuni di foglie e frutta, altri di serpi,[…]. Due teste umane e due di agnello alquanto risaltanti rendono quasi ottagona la sommità della pila. Una di esse teste, che rappresenta un duca, forse Bonifazio III padre di Matilde, ha nell’ armilla della corona la seguente importante iscrizione: RAITUS ME FECIT. Più in basso, in uno stelo dell’ accennata parte ornamentale, dalle cui diramazioni pendono sette fiori, sta impressa la data di fattura che, se gli antiquari Baroni e Matraia non andarono errati nel leggerla, sarebbe il 1099
Salutiamo e ringraziamo sentitamente il signor Alessandro che con la sua disponibilità ha reso possibile visitare la pieve e ci avviamo per la Brancoleria che riserva ancora notevoli scoperte.
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* E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1833, Volume I, p. 360
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