di Salvina Pizzuoli


Siamo in località Pieve di San Giorgio a Brancoli, nel cuore della Brancoleria, la valle che si raggiunge percorrendo da Vinchiana la strada lungo il torrente omonimo, e che, per definirla come la descrive lo storico ottocentesco Emanuele Repetti nel suo famoso Dizionario*, è una  contrada composta di più borgate e 9 popoli diversi, nella Comunità Giurisdizione Diocesi e Ducato di Lucca, da cui il paese di Brancoli trovasi fra le 7 e 9 miglia toscane a settentrione.[…]Le colline di Brancoli offrono una delle più belle prospettive della Valle del Serchio, e del piano settentrionale di Lucca, rese più vaghe e graziose dalle numerose ville e case di delizia, ma più che altro dalla varia e ricercata coltura della circostante campagna, ricca di ulivi, di viti, di selve e di limpide fontane.

A tre navate divise da snelle colonne e pilastri con capitelli a diverse fogge ornamentali, il presbiterio leggermente sopraelevato, tre gradini che si ripetono all’interno e che precedono l’altare. Il presbiterio è separato dalla restante navata centrale con plutei, le grigie lastre di pietra che separano le due aree.

A sinistra dell’ingresso, un fonte battesimale ottagonale ad immersione, riccamente decorato con attorno alla cornice quattro protomi, una mancante, che raffigurano animali, un bue, un leone, un angelo presumibilmente simbolo degli evangelisti, Luca, Marco, Matteo; frutti ne ornano il margine superiore.
Stilisticamente omogeneo  è l’ambone risalente al XII secolo, datato 1194 e attribuito alle  maestranze di Giudetto, scultore e architetto di probabile origine lombarda, nominativo che fa risalire a maestranze comacine.
Ammiriamolo in tutta la sua magnificenza.

Se ne trova una lettura particolareggiata negli Atti dell’Accademia Lucchese di Scienze Lettere e Arti. Note del Socio Ordinario March. Antonio Mazzarosa, lette nelle sedute del 22 settembre 1890 e 13 febbraio 1891:

 “Le colonne  poggiano sulle schiene di due leoni, un de’ quali stringe con le zampe la figura d’un guerriero, mentre l’ altro è intento a divorare un grosso serpente, nel  quale forse si volle simboleggiato il demonio. […] Innalzasi il parapetto sovra un architrave avente fregio con foglie e pine che può dirsi bellamente intagliato; ed è di tal simiglianza alle cornici di maestro Guido da Como o del figlio Guidetto che soprastano al grandioso portico del nostro duomo, da ritenerlo uscito dal medesimo scalpello[…]. Piccole colonne adossate, su cui girano archivolti, ne decorano le pareti, alle quali dà termine una sottile cornice scolpita. Nel centro della maggiore di queste pareti vedesi di tutto rilievo su mensola ornata di fogliami, la figura, di forma alquanto bizantina, lavorata con sussidio del trapano,di un angelo simboleggiante l’ evangelista Matteo; il quale indossa lunga tunica increspata in modo, che se non avesse aspetto giovanile, lo diresti un sacerdote col camice, in atto di spiegare al  popolo l’ evangelio; tanto più che tiene aperto con ambo le mani il sacro libro, ov’è scritto in caratteri gotici  EVANGELICA LECTIO FIAT PECCATORUM REMISSIO . Al disopra del capo di questa figura è un’ aquila, attributo mistico dell’ evangelista Giovanni, il cui dorso, arrivando al termine o poggiuolo del parapetto, serve da leggio. Nell’angolo presso l’altare vedesi altra mensola destinata allo stesso uso, ove è scolpita l’immagine di un uomo che,come dice il poeta: < Si vede giunger le ginocchia al petto, < La qual fa del non ver vera rancura  < Nascere in chi la vede> “.

I versi riportati sono di Dante e sono riferiti al Canto X del Purgatorio.

Ma le bellezze non finiscono qui.

Nel presbiterio una croce lignea del XIII secolo, di maestri locali. Sempre nel presbiterio sulla parete a sinistra un affresco racconta l’Annunciazione, attribuito a Giuliano di Simone.


L’altare principale è sorretto da sei colonnine con capitelli fogliati. Sulla colonna centrale è scolpita una figura maschile in atteggiamento orante.


Sulla parete a destra prima del portone d’ingresso un bassorilievo di terra invetriata che raffigura San Giorgio che uccide il drago; l’opera  per i caratteri precipui che presenta è di sicura scuola robbiana.

Anche se non possiamo ammirarla descriveremo per ultima l’acquasantiera sottratta ormai da anni e che completava in modo armonico e contestuale agli altri manufatti l’interno della pieve utilizzando la descrizione del March, Antonio Mazzarosa trovata nelle medesime pagine già citate

“Sopra un cippo piuttosto tozzo, sito a destra di chi entra in chiesa in prossimità della porta maggiore, posa la tazza dell’acqua santa, non molto grande, avente la forma massiccia d’ un cono rovesciato e mozzo nella parte sottile. È di marmo tendente al grigio, che all’ apparenza si direbbe pietra arenaria, ed ha l’esterno ornamento di svariati intrecci, alcuni di foglie e frutta, altri di serpi,[…]. Due teste umane e due di agnello alquanto risaltanti rendono quasi ottagona la sommità della pila. Una di esse teste, che rappresenta un duca, forse Bonifazio III padre di Matilde, ha nell’ armilla della corona la seguente importante iscrizione: RAITUS ME FECIT. Più in basso, in uno stelo dell’ accennata parte ornamentale, dalle cui diramazioni pendono sette fiori, sta impressa la data di fattura che, se gli antiquari Baroni e Matraia non andarono errati nel leggerla, sarebbe il 1099

Salutiamo e ringraziamo sentitamente il signor Alessandro che con la sua disponibilità ha reso possibile visitare la pieve  e ci avviamo per la Brancoleria che riserva ancora notevoli scoperte.

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* E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1833, Volume I, p. 360

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