di Salvina Pizzuoli
C’è un quartiere a Livorno che porta scritte nel suo nome le caratteristiche che lo contraddistinguono: la Venezia Nuova.
Tra la Fortezza Vecchia e la Fortezza Nuova ponti, palazzi, chiese e soprattutto canali, qui detti fossi, pieni di imbarcazioni: l’effetto di estraniamento è immediato, pare di essere proprio a Venezia, tanto è simile nella sua struttura peculiare.





Se in un primo momento non capiamo a cosa si debba questo angolo inusitato di Livorno, se ne scorriamo la storia e della città e del quartiere in particolare capiamo immediatamente.
E allora, prima di immergerci in un giro tra stradette, fossi e architetture, scopriamo la lontana pagina di storia che possa illuminarci.
Livorno nasce da un progetto mediceo a partire da Cosimo I e dalle scelte politiche di altri tre granduchi fino a Ferdinando II: se nel primo era nata la volontà di trasformare il piccolo villaggio che era allora Livorno in uno scalo mercantile e commerciale della Toscana, nel 1577 con Francesco I venne fondata la città moderna. Con Ferdinando I, nel 1590, il bastione di nord-est fu trasformato in una grande fortezza, la Fortezza detta Nuova (1590 – 94) rispetto alla Vecchia, e nel 1593 con le Leggi Livornine, nate con lo scopo di attirare soprattutto gli Ebrei perché possedevano una fitta e proficua rete commerciale, liberandoli dalle persecuzioni religiose cui erano sottoposti nei territori soggetti alla Spagna, e l’istituzione del porto franco, si dette un nuovo impulso alla creazione di un importante scalo mercantile.
Il porto mediceo fu completato con Cosimo II (1619).
Per permettere all’attività portuale di svilupparsi anche attraverso il trasporto delle merci via acqua dentro la città e per dare spazio alla crescente popolazione, favorita dalle Leggi Livornine, da Ferdinando II fu promosso un progetto di reticolo di fossi e fondachi: da qui la nascita, necessaria, proprio come spazio rubato al mare, di un quartiere, la Venezia Nuova la cui edificazione ebbe inizio nel 1629 con successivi ampliamenti nella seconda metà del XVII secolo. All’architetto Giovanni Battista Santi fu affidata la realizzazione.
Ma perché Venezia Nuova?
Se Livorno era già una città cosmopolita, non guastavano maestranze veneziane per trasformare una zona occupata da acque acquitrinose e paludose in terraferma secondo quel metodo ormai sperimentato che aveva permesso la formazione degli isolotti che costituivano Venezia, il tutto con un ingegnoso sistema di pali: molti, conficcati nel fango, venivano a costituire un ammasso fitto con lo scopo di solidificare il terreno fangoso; sott’acqua e fuori dal contatto con l’aria il legno non solo non marciva ma nel tempo si mineralizzava divenendo resistente e stabile.
Durante il secondo conflitto mondiale la città fu abbondantemente bombardata, la Venezia Nuova subì danni ma non così ingenti tanto che ancora oggi possiamo trascorrervi ritrovandola quasi del tutto nelle sue vesti originali.

Il nostro giro ha inizio proprio da quella Fortezza Vecchia che ora nel rosseggiare dei suoi mattoni si staglia con tutta la sua mole davanti ai nostri occhi in un paesaggio di alberi e di vele, di grandi navi e traghetti. Ci spostiamo a destra della Fortezza per entrare da via della Venezia nel quartiere.

La prima struttura architettonica che incontriamo è la prestigiosa chiesa di San Ferdinando, esempio illustre di “barocchetto toscano”, come sottolinea il signor Paolo che così ci spiega mentre ammiriamo il biancore delle decorazioni: se il barocco si contraddistingueva per il giallo degli ori, il barocchetto toscano per il bianco degli stucchi.
Su disegno di Giovan Battista Foggini fu costruita tra nel 1707-1714, ma subì molti restauri dopo i danni riportati nella seconda guerra mondiale: costituita da un’unica grande aula è articolata in cappelle. Sopra l’altare si eleva una cupola sostenuta da pilastri. Ricca di stucchi, marmi e statue tra queste il gruppo scultoreo che occupa l’altare maggiore: “La liberazione degli schiavi”, opera di grande pregio insieme ad altre presenti nelle cappelle, dello scultore carrarese Giovanni Baratta.



Ci spostiamo dall’altra parte dello slargo dove rimane a simulacro dei danni determinati dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale la facciata di una chiesa oggi sconsacrata, ma il nostro obiettivo, lungo il fosso che corre lateralmente allo slargo, sono i locali dei Bottini dell’Olio, i grandi magazzini per lo stoccaggio dell’olio che contenevano 304 serbatoi stagni in muratura e ardesia, ancora oggi emblematico esempio della funzione attribuita ai fossi e ai traffici che lungo queste vie d’acqua si svolgevano: i mercanti potevano tenere d’occhio la propria attività direttamente dai palazzi in cui risiedevano e che vi si affacciavano. Esempio chiarissimo ne è Via Borra con i palazzi, Huigens, mercante di Colonia, il Palazzo delle Colonne di Marmo, entrambi esempi di architetture mercantili.


Presso il Ponte della Madonna la facciata di quella che fu la Chiesa di San Gregorio Illuminatore, armena, distrutta in parte durante il secondo conflitto mondiale, oggi tangibile presenza della composizione cosmopolita del quartiere.

Lasciamo per ultima la monumentale chiesa di Santa Caterina che con la sua alta cupola domina il paesaggio della Venezia Nuova. Una edificazione lunga e travagliata condizionata sia da problemi economici che statici su un originario progetto di Giovanni del Fantasia per poi conoscere l’avvicendamento di vari architetti trascinando, la sua costruzione dal 1720 al 1756.



Raggiungiamo quindi la Fortezza Nuova, baluardo difensivo, una parte della quale fu ridotta proprio per dare più spazio al quartiere della Venezia, rosseggia sul Fosso Reale che con le sue acque ancora oggi la circonda.



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