di Salvina Pizzuoli

Non un cartello, non un’indicazione nemmeno nei pressi: non c’è. Dimenticato!

Una strana intuizione mi guida e mi inerpico su per una strada sterrata, ma perfettamente percorribile anche in macchina. E l’incanto subito mi prende: un sentiero ampio e con tornanti sale lungo il verdeggiante crinale della collina e come sentinelle gigantesche piante altissime e secolari lo fiancheggiano guidando il passeggero e ammaliandolo con il loro incredibile fusto che a perdita d’occhio sale sale fino a terminare in un pennacchio verde che si perde nello sfondo grigio- blu del cielo piovoso.

Cosa sono queste piante, mi sono immediatamente chiesta? Non sono una botanica, ma riconosco che sono specie inusitate qui, nei nostri climi. Sono sequoie giganti? Se la risposta è sì, ho sicuramente imboccato la strada giusta che mi porterà al palazzo di cui  percorro il parco, uno dei più vasti della Toscana e con specie esotiche come le IMG_1308sequoie. Proseguo e radure erbose, dove spiccano tronchi possenti, si aprono lungo il tragitto e salgo, salgo. Quanto pare lungo un cammino quando non ne conosci l’effettiva misura. Mi sembra di salire da tanto e ancora non so se ho sbagliato o se sto seguendo una giusta intuizione.

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E poi, eccolo, dal basso in alto lo vedo nella sua rosseggiante magnificenza. Pochi angoli, pochi spigoli, ma superfici arrotondate ne tratteggiano l’ampia struttura resa snella dai movimenti circolari delle due terrazze che ne definisco l’entrata: meraviglia e contentezza si mescolano mentre mi congratulo per aver scovato questo particolare gioiello dell’architettura ottocentesca dovuta al gusto creativo di un autentico personaggio: il  marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona che ha impiegato quasi cinquant’anni dal 1843 al 1889 circa a completare questo edificio sicuramente unico nel suo genere.

Palazzo Sammezano, la facciata
Palazzo Sammezzano, la facciata
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La facciata, particolare

Come nuovo proprietario iniziò i suoi interventi di trasformazione su una struttura preesistente, varie volte passata di mano e ristrutturata,  venduta nel 1603 agli Ximenes d’Aragona e poi ceduta ai Panciatichi. Sembra anche che il sito fosse già stato scelto nel lontano 780 dallo stesso Carlo Magno per soggiornarvi, certo non così come lo vediamo oggi, ma più probabilmente una rocca munita nel Valdarno di sopra, costruita secondo i dettami del tempo. In realtà la zona è piena di toponimi che ricordano questo evento più leggendario che reale e ignorano l’attuale palazzo con parco, testimonianza di uno stile definito “orientalismo” che stava diffondendosi in Europa già dagli inizi dell’Ottocento.

L'ingresso, particolare
L’ingresso, particolare

Ma il nostro architetto sostituisce la vecchia struttura sì, secondo i canoni, ma adattandola alla sua visione personale come si respira nelle varie sale che si susseguono una diversa dall’altra : coloratissime e intessute di piastrelle, stucchi, ghirigori ornamentali e policromi alcune, altre bianchissime dove candidi stucchi costituiscono volte del colore della luce. Occorre vederle per capire. Lo stupore è la prima reazione, ma è forse la più superficiale, poi ogni angolo crea una suggestione unica in un’atmosfera di sogno e con simbologie da svelare.

Archi e porte, particolare
Archi e porte, particolare

Capitelli policromi, arabeschi, colonne istoriate, nicchie, archi, portali, volte che sventagliano rivestimenti come filigrane di gesso: colpiscono, incantano, accendono con le multiformi coloriture dei materiali diversi di cui sono costituiti.

Se i colori ci abbagliano altrettanto sa dare la mancanza degli stessi che si respira nelle sale per il candore accecante degli stucchi e dei peducci che a  differenza dei capitelli non poggiano su un pilastri o una colonne, ma come mensole incassate sostengono volte e ballatoi.

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Archi e piastrelle policrome

E festoni, preziosi ricami in muratura, e ventagli o code di pavone dai colori smaglianti  accolgono il visitatore lasciandolo frastornato mentre procede di sala in sala.

La sala bianca
La sala bianca

Il rischio è che solo in pochi riescano a vederlo questo suggestivo palazzo e a gustare i fascini che sa suggerire. C’è un comitato benemerito che si occupa attualmente delle visite guidate, una lunga lista che spesso non può essere esaurita. Chi sono i componenti, come si chiama? Vi offro la sigla, il resto scopritelo da soli se  il bel palazzo è riuscito a conquistarvi: Comitato FPXA 1813-2013, Organizzazione no profit.

Ventagli o code di pavone
Ventagli o code di pavone

3 pensieri su “Visita al “palazzo che non c’è”: Villa Sammezzano in località Leccio di Reggello.

  1. Carissima Pina, ti consiglio di informarti preventivamente. Non ho seguito le ultime vicende, ma temo sia sempre più difficile visitare il Castello. Noi siamo riusciti a vederne alcune sale solo perché fortuitamente ci stavano girando alcune scene per un film in costume. Come scrivo nell’articolo ci indicarono un Comitato, quello riportato, ma causa pandemia, causa lavori di manutenzione e ripristino, non so bene quanto possa essere ancora attivo e quanto sia fattibile una visita. Mi spiace, in effetti merita.

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