Copertina Le ragazze di San Frediano nella prima edizione Vallecchi

Le ragazze di San Frediano, di Vasco Pratolini, fu pubblicato per la prima volta nel 1949, in rivista; è ambientato a Firenze e precisamente, come recita il titolo, in San Frediano: i protagonisti, da buoni fiorentini, parlano all’uso di Toscana, vi troviamo quindi modi di dire, termini del toscano di ieri ancora riconosciuti oggi, ma poco usati. Nel dialogo tra Bob (Aldo, il bel dongiovanni del quartiere ) e Tosca: “Sei come il boccino, è bastato un colpo per farti cadere dentro la bilia… Vedi, senza il mio amore, bella come sei saresti diventata lo stesso una ciana, una sanfredianina uguale alle altre…”

Il termine ciána è in questo dialogo riconoscibile come fiorentinismo o comunque come termine di uso toscano, ma di cui si è un po’ perso il senso.

Il dizionario etimologico italiano lo definisce sostantivo femminile con il significato di donna del volgo fiorentino e, per estensione, donna sciatta e di modi plebei, ma anche scarpa vecchia usata come ciabatta. Da ciána i derivati: al maschile ciáno, ma anche cianáio, cianáta e cianío nel senso di schiamazzo di gente plebea, strepito sconveniente tipico delle ciane.

Diversa l’accezione data da Stefano Rosi Galli nel suo “Vohabolario del Vernaholo Fiorentino e del Dialetto Toscano di ieri e di oggi”, che definisce il termine sia un pettegolezzo sia una persona chiacchierona: “Quando il termine incarna una persona, rappresenta la figura tipicamente toscana della donna boccalona, chiacchierona, che prima di venire a sapere una cosa, l’ha già spifferata […] Anche gli abiti e lo stile che adotta sono caratteristici: sciatta, ciabattona”. E aggiunge che un tempo le era stata dedicata una festa di quartiere, la “Festa della Ciana” il 16 agosto, in via di Camaldoli, insieme alla festa di San Rocco, ovviamente nel quartiere di San Frediano…

Via di Camaldoli nel 1962 (foto dal web)

Insomma la storia delle parole è sempre affascinante perché dare un nome a cose e persone non è solo un modo di chiamarle, ma porta con sé un mondo lontano che, conoscendone le vicende e gli accadimenti, diviene più familiare.

E che dire poi dei modi di dire?

Un altro grande della letteratura italiana, parliamo di Alessandro Manzoni; pare proprio che dopo aver sciacquato suoi panni in Arno, il nostro a dimostrazione tangibile, ne facesse poi uso nel suo immortale romanzo storico: “I promessi sposi”.

Proprio Renzo, sulla via per Bergamo, usa in una frase un modo di dire toscano:

Se non che si rammentava poi anche, in confuso, d’aver, dopo la partenza dello spadaio, continuato a cicalare; con chi, indovinala grillo; di cosa, la memoria, per quanto venisse esaminata, non lo sapeva dire.

Indovinala grillo?

E cosa significa, da cosa deriva? Lo usiamo ancora?

A me non è capitato da tempo di sentire questa espressione che concentra in due parole il significato più esteso di non sapere come andranno le cose o come andrà a finire.

Stefano Rosi Galli riporta una storiella tradizionale che fa risalire il detto a Ferdinando, il figlio di Cosimo II de’ Medici: pare che un giorno il giovane Ferdinando volendo fare un dispetto a mastro Grillo, nome del giullare di corte, si fosse chinato a raccogliere qualcosa e poi rivolto al giullare avesse chiesto di indovinare cosa fosse dicendo: “Indovinala Grillo!”

E fin qui tutto ben collimerebbe con il detto e il suo significato, ma la storiella continua riportando le parole del giullare medesimo che pare avesse profferito, commiserando se stesso: “Povero Grillo, in che mani sei finito!”, indovinando, per il rotto della cuffia (altro detto su cui indagare?), che di fatto il giovane stringesse nella mano proprio un grillo!

Ma, come tutti i modi di dire la cui storia si perde nel tempo, non mancano altre versioni.

La Treccani lega l’espressione ad un antico gioco di ragazzi oggi non più praticato consistente nel trarre pronostici dai movimenti di un grillo su una specie di circolo disegnato con parecchi numeri, di cui ciascuno con un preciso significato, e usata per dire che non si sa proprio come sarà, come riuscirà qualche cosa, o come stia realmente un fatto.

Un opuscolo stampato a Padova nel secondo decennio dell’Ottocento portava il titolo “Indovinala grillo” e dava indicazioni per predire il futuro, cosa che fa presumere che il detto potrebbe derivare dal gioco.

Ma non è finita qui.

Il “Vocabolario italiano della lingua parlata” di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani, del 1875, riporta la storiella del medico Grillo, sinonimo di medico incapace perché teneva in tasca tante ricette diverse e, quando andava da un malato, ne pigliava una a casaccio dicendo tra sé: “Indovinala, Grillo”.

Tante parole, tante storie. Alla prossima!

Altri articoli correlati su:

Parole desuete e scene di vita di Toscana