di Michele Zazzi

Tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C. varie tribù di Galli (Insubri, Cenomani, Boi e Senoni) invasero la Pianura Padana sottomettendo le culture preesistenti ivi compresa quella etrusca. Le fonti descrivono l’invasione celtica come improvvisa, numericamente rilevante e di grande impatto (Livio, Storia di Roma, XXXV, 2; Polibio, Storie, II, 17, 3-13 e 18, 1; Diodoro Siculo, Biblioteca, XIV, 113, 1-2).
I Galli furono attratti dalla fertilità delle terre, dalla quantità e qualità dei prodotti agricoli e dallo sviluppo delle attività artigianali. In proposito la tradizione riporta due episodi significativi, quello del chiusino Arrunte che a scopo di vendetta avrebbe portato ai Celti transalpini con un carro i prodotti agricoli della sua terra per convincerli ad invadere la penisola e Chiusi in particolare (Livio, Storia di Roma, V, 33), nonché quello di Elico, un celta che aveva lavorato a Roma come fabbro ed aveva poi fatto ritorno in patria portando con se prodotti agricoli ma anche il bagaglio di conoscenze e competenze tecnologiche che aveva acquisito (Plinio, Nat. Hist, XII, 2, 5). Le notizie alludono ad un importante flusso commerciale dall’Etruria verso la Gallia ed è probabile che i Celti con l’invasione intendessero non solo impossessarsi delle ricchezze della penisola ma anche appropriarsi del ruolo di intermediari tra Mediterraneo ed Europa che era stato svolto dagli Etruschi (in tal senso Giuseppe Sassatelli).

La Bologna etrusca (Felzna) ed il suo territorio in particolare furono occupate dai Galli Boi (Servio, Ad Aen, X, 168) che vi rimasero fino al II secolo a.C. e cioè fino al tempo della conquista romana (nel 189 a.C.; i Romani chiamarono Felzna/Felsina Bononia).
Felsina, diversamente da altre città etrusche, non perse del tutto la sua identità urbana anche se l’abitato subì comunque una destrutturazione ed una significativa contrazione. Le fonti parlano di una riorganizzazione del centro sotto forma di villaggi. La popolazione del territorio circostante risultò distribuita in nuclei sparsi in relazione a punti commerciali, centri di produzione, fattorie e vie di comunicazione.
Le sepolture trovarono sistemazione in zone più vicine all’abitato ed il rito inumatorio divenne prevalente. Nelle tombe la ceramica volterrana sostituisce la ceramica attica a figure rosse. Del corredo facevano normalmente parte le armi (notoriamente poco presenti nelle precedenti sepolture etrusche dell’area) connotazione tipica dei guerrieri celtici. La tomba della necropoli Benacci n. 176 ha restituito una spada lateniana con fodero, una cuspide, un puntale di lancia ed i resti di uno scudo con umbone e rinforzi in ferro.

Col passare del tempo le tombe rivelano una sorta di integrazione tra i gruppi dei vinti e dei vincitori con adesione dei nuovi arrivati allo stile di vita degli etruschi: nei corredi oltre le armi compaiono infatti anche i vasi per il consumo del vino e gli strumenti di palestra con il loro rispettivo valore ideologico. Per le élite galliche si verifica una sorta di processo di etruschizzazione. Una tomba di tale tipologia è costituita dalla n. 153 della necropoli Benacci. Nel corredo dell’aristocratico gallo (degli inizi del III secolo a.C.) oltre alle armi – elmo in bronzo e giavellotto in ferro – vi erano un set di vasi da banchetto in metallo, uno strigile in bronzo ed una prestigiosa corona con lamine d’oro a forma di foglie di ulivo e alloro.
Tra i maschi non guerrieri si trovano però anche tombe di individui dediti alla produzione ed allo scambio. Alcune di queste, come attestato dalle iscrizioni, riguardano etruschi che evidentemente si erano ben integrati con i vincitori. In diversi casi i nomi etruschi appartengono a donne, probabilmente andate in spose a celti. In una sepoltura celtica (databile 320 – 280 a.C.) del bolognese, ad esempio, è stata rinvenuta una kylix a vernice nera di produzione etrusca inscritta in lingua etrusca “petnei”, nome gentilizio femminile probabilmente riferito alla moglie del celta ivi deposto.

Dalla necropoli della Certosa di Bologna proviene la stele a ferro di cavallo n 168 del V secolo a.C. Nei primi due registri vi sono un combattimento tra mostri ed il viaggio all’aldilà su carro trainato da un cavallo alato. Nel terzo registro secondo l’interpretazione prevalente un cavaliere etrusco abbigliato con corazza (forse il defunto) fronteggia un guerriero gallo appiedato nudo ed equipaggiato con scudo ovale ad umbone e spina ed armato con spada a doppio tagliente.
Indicazioni bibliografiche
Sull’invasione di Bologna etrusca da parte dei Galli cfr. tra gli altri Giuseppe Sassatelli, Bologna Etrusca La città invisibile, Bologna University Press, 2024, pagg. 171 e ss.; informazioni ed immagini del sito Facebook del Museo Civico Archeologico di Bologna relative alla Bologna gallica.
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