
L’Appennino tosco emiliano e tosco romagnolo attraversano la penisola diagonalmente e separano l’Emilia e la Romagna dalla Toscana e dalle Marche; sono delimitati, a ovest dal Passo della Cisa, dove i rilievi giungono fin sulla costa tirrenica, e a est dal Passo di Bocca Trabaria, da dove degradano in crinali minori fino a raggiungere il litorale adriatico. Tra i due valichi la catena appenninica mantiene essenzialmente una direzione ovest-est. Il suo profilo è quello di una cresta seghettata e discontinua con varie vette superiori ai 2000 metri (la più alta delle quali, il monte Cimone, raggiunge i 2165 m) e presenta contrafforti preappenninici dall’assetto asimmetrico: più degradante verso l’Emilia e la Romagna, più ripida verso la Toscana.
Una straordinaria barriera naturale estesa dalle coste del Tirreno fino a quelle dell’Adriatico che nel corso dei secoli ha costituito una notevole difficoltà nelle comunicazioni nord-sud.
I tedeschi vollero sfruttare le sue caratteristiche naturali per costruirvi, su un fronte di quasi 300 km, uno dei più straordinari e imponenti sistemi di fortificazioni che la storia ricordi con l’intento di arrestare o quanto meno rallentare l’avanzata degli alleati che, dopo lo sbarco in Sicilia e poi a Salerno e ad Anzio, procedevano lentamente ma inesorabilmente verso settentrione.
L’Organizzazione Todt iniziò i lavori nell’ottobre del 1943, quando la Decima e la Quattordicesima Armata della Wermacht combattevano ottocento chilometri più a sud, e per un anno vi lavorarono cinquantamila operai italiani (alcuni dei quali entrarono poi nelle file dei partigiani fornendo informazioni preziose agli alleati), diciotto mila genieri tedeschi e duemila tecnici slovacchi.
La linea era stata studiata per trarre il massimo vantaggio dalla conformazione geologica del terreno e dall’esiguo numero di strade che l’attraversavano con tortuosi percorsi montani.
“Partendo dal litorale ligure, vicino a Massa, si snodava attraverso le Alpi Apuane, la stretta valle del Serchio e proseguiva sulle montagne a nord di Lucca, Pescia e Pistoia; sopra Pistoia curvava verso nord-est per formare un arco attorno all’alta valle del Sieve, incrociando la Statale 65 sotto il Passo della Futa; poi volgeva di nuovo verso sud-est, per seguire il crinale principale dell’ Appennino, e percorreva la valle del Foglia fino a raggiungere l’Adriatico, dove la montagna si assottigliava in prossimità del mare”. *

Alle estremità di questa linea si trovano due strisce pianeggianti in prossimità della costa, quella tra Pesaro e Rimini e quella tra Massa e Montignoso sui primi contrafforti delle Alpi Apuane, dove passano la via Adriatica e l’Aurelia. Queste zone furono adeguatamente fortificate. Il generale Habicht, direttore dei lavori, decise anche di aumentare le difese costiere tra Viareggio e Marina di Carrara nel timore di un possibile sbarco alleato; nelle altre parti non esisteva una linea difensiva continua: si alternavano fortificazioni nei punti chiave a posizioni naturali favorevoli alla difesa.
La lunghezza complessiva era una distanza enorme per permettere un’ininterrotta linea di difesa, tenendo conto del tempo e delle risorse limitate che l’Organizzazione Todt aveva a disposizione; d’altra parte, l’insufficienza di buone strade che attraversavano le montagne le consentì di concentrare le opere difensive in alcuni punti chiave in corrispondenza dei valichi.

Dal punto di vista del terreno il settore più debole della linea si trovava a ridosso della Statale 65, sulla direttrice Firenze-Bologna, poiché il Passo della Futa è tra i meno alti e il terreno attorno non è ripido come in altri settori della catena. Essendo la Statale 65 l’unica buona strada che attraversava le montagne, e presumendo che le unità alleate l’avrebbero logicamente seguita, i tecnici della Todt fecero del Passo della Futa il luogo più fortificato di tutta la linea. Le difese principali non furono collocate sul passo vero e proprio, ma dentro ed attorno all’abitato di Santa Lucia, due chilometri più a sud, dove la strada segue uno sperone ascendente fra due vallate caratterizzate da ondulazioni e bassa boscaglia. Da posizioni favorevoli erano stati ricavati eccellenti punti di osservazione e vasti campi di tiro per cannoni anticarro e armi automatiche e, poiché c’era la possibilità per i mezzi corazzati di manovrare sui prati che si trovano ai lati della strada, era stato scavato attraverso di essa un profondo fossato, rinforzato con tronchi di abete, il quale si estendeva per due chilometri e mezzo a sud-est e per tre chilometri a nord-ovest della strada, protetto da complicati campi minati. Una intricata rete di postazioni e di fortini si trovava immediatamente al di là del fossato. Questi fortini, costruiti col cemento armato ed infossati, erano dotati di torrette Panther armate con cannoni da 75 mm. Postazioni per fucilieri, casematte in cemento per mitragliatrici, collegate per mezzo di strette trincee, erano protette da altri campi minati e da reticolati di filo spinato. I ricoveri per i reparti di riserva erano stati scavati nei pendii opposti della montagna, sul versante che guarda Bologna.

A est del Passo della Futa le difese si susseguivano in una linea quasi ininterrotta di undici chilometri oltre il Passo del Giogo, fin sulle montagne sovrastanti il Passo della Colla coperte di abetaie che rendevano difficile agli osservatori dell’artiglieria alleata individuare le posizioni difensive attraverso lo studio delle foto aeree. I piccoli fortini sotterranei erano stati ottenuti scavando gallerie che sbucavano sui pendii opposti e le postazioni erano state opportunamente mimetizzate così da renderne difficile l’individuazione anche a distanza ravvicinata.

Altrettanto simili erano le difese estese ad ovest della Statale 65, fin sulle montagne sopra Vernio; il che creava una eccellente protezione ad entrambi i lati del Passo della Futa. “Per i rimanenti duecentocinquanta chilometri della linea l’Organizzazione Todt fece affidamento soprattutto sulle difese naturali che l’aspra configurazione delle montagne forniva”. Si trattava quindi di una serie continua di postazioni più che di una linea presidiata in tutta la sua estensione; una linea che consisteva piuttosto in singoli capisaldi e solo in taluni settori ottimamente difesa.
La ripida conformazione dei pendii a nord dell’Arno offriva ottime condizioni per fronteggiare l’avanzata dei soldati nemici costretti ad arrampicate non sempre facili verso la sommità dei crinali.
Inoltre le case isolate, i paesi e i piccoli borghi posti sulle poche vie di comunicazione, colpiti dai cacciabombardieri alleati avrebbero costituito efficaci sbarramenti alle truppe in avanzata come la distruzione dei ponti sui numerosi corsi d’acqua fatti saltare dai genieri. Quelle stesse case che in precedenza sarebbero state presidiate da reparti equipaggiati con mitragliatrici e lanciagranate, assicurandosi a vicenda il fiancheggiamento. L’armamento era in genere leggero ma le postazioni, avrebbero dato superiorità ai difensori che tenevano posizioni elevate rispetto agli attaccanti costretti a risalire i pendii su strade e campi che spesso non offrivano alcuna protezione, dal momento che in certi punti erano stati abbattuti perfino gli alberi.
Un’ottima quanto inutile strategia difensiva non finalizzata a ottenere una vittoria impossibile quanto a rallentare l’avanzata della V armata americana al comando del generale Clark e dell’VIII inglese al comando del generale Alexander a prezzo di un incredibile bagno di sangue.
* Ferruccio Montevecchi, La strada per Imola, Bologna 1991
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