Percorsa e descritta dal prof Giovanni Caselli

La Clodia dei pressi di Blera, bassa Etruria

A un altro chilometro di distanza si trova La Storta, una stazione, la prima, fuori Roma che continuò a svolgere la stessa funzione durante il Medioevo. Più oltre è il bivio dove parte la Cassia. Vi è alla Storta un’iscrizione del 379-387 d.C. che ricorda la costruzione di stalle per i cavalli del cursus publicus. Una cappella qui ricorda l’apparizione di Gesù a Sant’Ignazio di Loyola durante il suo viaggio a Roma.

Oltre La Storta il tracciato antico differisce dall’attuale in quanto traversava una serie di valli torrentizie che il tracciato moderno evita, forse ricalcando di nuovo il percorso preistorico. All’Osteria Nuova abbiamo forse la stazione di Ad Careias, su un incrocio con la strada che provenendo dalla valle dell’Arrone si dirigeva verso Cesano e la Via Cassia.

Il villaggio di Galera si erge sulla sua rupe tufacea in luogo dell’antica Careiae (oggi S. Maria di Galera), poco a sinistra della Via Clodia, di cui non sappiamo nulla altro che la città antica fu distrutta dai Saraceni nel IX secolo; poi risorse come castello e borgo. Il villaggio fu abbandonato nel 1809 a causa della malaria, nessuno più lo occupò ed è oggi una pittoresca e romantica rovina coperta di rovi. La Clodia continua, ora attorno al cratere del Sabatinus Lacus (Bracciano), traversando numerosi torrentelli che corrugano il basso e ampio cratere. Presso la stazione ferroviaria delle Crocicchie esiste un incrocio con un’altro tracciato antico; nei pressi vi sono i ruderi di una grande villa, su un podio di 110 per  95 metri con archi sul fronte a vista; vi si trovano vaste cisterne per l’approvvigionamento idrico. Fra qui e Cerveteri giace una plaga un tempo desolata, ora coltivata, ma semideserta. Molte sono le strade antiche che traversano il territorio che un tempo era ben più fittamente abitato di oggi, lo dicono, se non altro, le numerose necropoli costituite da tombe tagliate nelle pareti tufacee.

Resti della villa di Santo Stefano

Incontriamo quindi, presso la strada, le rovine di Santo Stefano, disegnate da Pirro Ligorio nel XVI secolo. Si tratta delle rovine di una villa dove è prominente un edificio alto una quindicina di metri che doveva essere il magazzino della stessa villa.

La Clodia transita di lato al lago e fuori vista del bacino stesso. poi la Via saliva sull’orlo del cratere offrendo una meravigliosa vista e in cima al cratere, in luogo dell’attuale cappella di San Liberato era Forum Clodii, dove numerosi sono stati i ritrovamenti di iscrizioni funebri. Sembra che questa fosse stata una prefettura da cui si amministravano i numerosi piccoli villaggi rurali del Sabatinus  occidentale.

Si ha notizia che qui vi fu eratta una villa da certa Mettia Edone, all’epoca di Augusto, alla quale fu dato il nome partenopeo di Pausilypon. Più avanti, lungo la strada che costeggia il lago, si incontrano i Bagni di Vicarello, sorgenti note ai romani, forse, come Aquae Apollinares, che si trovavano in un luogo all’altezza di Manziana, a meno che non si fosse trattato delle Terme di Stigliano, a ovest della Via Clodia.

Da qui in poi il tracciato della Via Clodia non è più ricalcato da strade di alcuna importanza. Tratti della via ora si ritrovano in tronconi di vie vicinali, ora in vie campestri, fossati o semplici confini di campi. A volte i vecchi selciati riemergono durante lavori di scavo, altre volte si è persa ogni traccia della direzione esatta della via. Nonostante ciò, i centri che si trovavano lungo la Via esistono, per la maggiore, ancora oggi. Passato Oriolo romano la via traversava il Munio (Mignone) e si dirigeva si Blera per Veiano e Barbarano Romano. Tutte cittadine etrusche, note principalmente per le necropoli che si vedono su ogni parete tufacea, nei canaloni che solcano l’altopiano laziale. A Veiano, Vicus Veianus, secondo la leggenda si rifugiarono i superstiti di Veii. A San Giuliano, non lontano da Barbarano, si trovano i resti di una città etrusca forse da riferirsi a una Marturano ricordata da Livio. L’etrusca Bleva e la romana Blera,della quale rimangono pochissimi resti, fu distrutta dai Longobardi e risorse borgo rurale. La Via Clodia traversa il borgo da un capo all’altro, sotto , nel vallone del Torrente Biedano è l’estesa necropoli e la strada lo traversava sul Ponte del Diavolo e poi sul Ponte della Rocca, ambedue del II secolo a.C., ancora parzialmente in piedi.

Qui la Via Clodia dista solo 7 Km in linea d’aria dalla Via Cassia il cui tracciato romano transita a ovest del Ciminus Lacus (Vico).

La Via, ora qui scomparsa, raggiungeva l’altra misteriosa città scomparsa di Norchia, ossia l’etrusca Orcle o la latina Orgola, che fu distrutta dai Saraceni nel IX secolo.

La città non è mai stata scavata, ma la necropoli è spettacolare, con le false facciate di templi scolpite nel tenero tufo rissiccio, migliaia di fori, camere, falsi cataletti, ora tutti vuoti, saccheggiati da secoli se non da millenni. Il luogo era deserto e remoto, fino alla costruzione del brutale raccordo stradale Viterbo-Tarquinia, che ha devastato una campagna piena di stratificazioni storiche e praticamente sconosciuta agli archeologi, eccetto per le necropoli. Attraverso una campagna, fino a poco tempo fa dominio dei butteri del Casalone -ora dominio del ‘fuoristrada’- si giunge alla bella Tuscania.

Fu un disastro a far conoscere Tuscania al pubblico. Nel 1971 un terremoto devastò quella cittadina che fino ad allora aveva mantenuto un carattere quasi ottocentesco, ed era comunque un luogo dignitoso e tranquillo. Il terremoto che distrusse o danneggiò i tesori della sua architettura romanica, nonché le vecchie case del centro, portò a Tuscania schiere di archeologi da tutto il mondo e il centro è adesso ‘recuperato alla storia’ ben più di altri.

A Scalette fu localizzato un vasto sepolcreto a incinerazione e inumazione del VII secolo, cioé dei primi abitanti di Tuscania. La città divenne nel IV secolo di notevoli dimensioni ed era collegata al proprio porto sul Tirreno a Regas, presso Montalto. Nella campagna di Tuscania vi sono grotte, cunicoli, ipogei a migliaia, le tombe del periodo etrusco.

L’altura dove sorge la magnifica chiesa romanica di San Pietro era occupata dall’acropoli e la chiesa ha sostitito il tempio pagano. Divenne poi un municipio romano dal III secolo a.C.

Le chiese di San Pietro e di Santa Maria Maggiore sono fra i massimi monumenti del medioevo italiano.

La Via Clodia seguiva, grosso modo, la direttrice Canino, Pianano, e Castro sul confine toscano attuale.

Saturnia, Porta Romana e via Clodia

In Toscana la strada raggiungeva gli attuali centri di Manciano e Montemerano per arrivare a Saturnia sull’Albegna.

Saturnia, sul suo colle naturalmente protetto, era collegata con le altre città etrusche molto eglio di quanto le condizioni della viabilitàattuale farebbero presumere.

Roselle, resti della citta etrusca, anfiteatro

Nel territorio di Sovana e Statonia sorgeva questa città ritenuta, nella leggenda, la più antica d’Italia.

Dionisio di Alicarnasso dice che il nome della città è quello di Saturno, secondo i romani sarebbe derivato da ‘sator’=seminatore. Gli etruschi non erano interessati a problemi etimologici e chiamarono la loro città Aurinia; questa appartenne al territorio di Vulci.

Saturnia conserva un bel tratto di strada lastricata e una delle sue porte cittadine con pilastri etruschi e arco romano.

Da Saturnia la strada traversava quella Maremma collinare, coperta da fitta macchia e, fino a pochi decenni orsono,quasi impenetrabile, per arrivare a Roselle. Da Roselle i collegamenti con altre strade erano numerosi.

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