Da Guido Carocci, Firenze scomparsa. Ricordi storico artistici, Firenze 1897

Il Mercato Vecchio, sulla sinistra una casa torre

“La bella piazza destinata ad uso di mercato non ebbe aspetto e disposizioni regolari che per breve tempo, giacché i semplici banchi che occupavano tutto all’intorno la cosiddetta corona di Mercato, si tramutarono in baracche, prima provvisorie, poi stabili ed a po’per volta tutti gli spazi liberi vennero occupati dai venditori di vettovaglie. … e la decadenza divenne così piena ed assoluta. I palagi furono suddivisi in gran numero di quartieri dove s’installarono diecine di famiglie, le torri vennero abbassate per risparmiar la spesa del restauro, le logge si convertirono in botteghe, gli ampì e maestosi saloni vennero divisi e suddivisi in ambienti più piccoli e su tutte indistintamente le fabbriche di questo quartiere la noncuranza, la mancanza di affetto per l’arte, l’avidità di guadagni, l’opera del tempo, la bar barie della gente, il sudiciume, si collegarono a danno di quelle vecchie fabbriche le quali dovettero subire ogni sorta di mutilazioni e di guasti. E così tartassati, così mal ridotti, quei vecchi avanzi d’una grandezza scomparsa, giunsero fino a noi per esser condannati all’esterminio.

Mercato Vecchio Olio di anonimo XVII secolo

Certamente non era possibile pretender di conservare un intero quartiere nelle condizioni nelle quali era ridotto, con tutte le vecchie fabbriche, molte delle quali specialmente comprese nell’immenso dado del Ghetto, avevano perduta ogni importanza. Bisognava far penetrare aria, luce, salute in que’ vicoli angusti e tortuosi, in quelle cortacce strette e profonde come pozzi; era mestieri toglier di mezzo lo spettacolo indecoroso di catapecchie cadenti e umide appiccicate addosso e dentro alle mura de’ vecchi palazzi, attraversare con qualche comoda via dei gruppi di costruzioni ammassate senza ordine e senza concetto e, soprattutto sgombrare tutto il sudiciume materiale e morale che da anni ed anni si addensava in quell’abbandonato quartiere. Era opera doverosa e dignitosa, che tutti riconoscevano, apprezzavano, desideravano, perché Firenze non avesse, proprio nel cuore, un centro di sozzura e d’infezione, impraticabile e ripugnante.

Firenze durante l’abbattimento per il “riordino”

Ma non bisognava dimenticare che framezzo a tutte quelle brutture rimanevano tante cose buone da far sentire il dovere di procedere con circospezione, con uno studio più accurato nell’opera di scegliere e separare il buono dal cattivo.

Tutto non si poteva salvare e il sacrifizio avrebbe dovuto estendersi anche a molte cose buone; ma non si doveva eccedere nell’estremo opposto. In questi tempi ne’quali l’affetto ed il culto delle cose antiche tornano a farsi strada, a suscitare anche interesse e simpatia, tanto che quasi tutte le città cer cano di rimettere in onore gli edifizj più singolari e più tipici, Firenze avrebbe potuto offrire agli ammiratori del bello artistico un esempio de’ più rari e più preziosi.

Un pezzo di Firenze medioevale, un piccolo quartiere, che presentasse i tipi più caratteristici delle fabbriche d’indole diversa. Le ragioni della viabilità, dell’igiene, del sentimento di modernità avrebbero potuto liberamente sbizzarrirsi, risparmiando un semplice rettangolo di fabbricati, un gruppo pittoresco di costruzioni tanto da formar quasi un museo, un esemplare dell’arte fiorentina del medio evo.

Fabio Borbottoni, la chiesa di Sant’Andrea

La vecchia chiesa di S. Andrea che al disotto delle mille trasformazioni portava le tracce dell’originale struttura, sarebbe stata come il centro di questo piccolo museo di Firenze medioevale. Presso la chiesa la piazzetta colla elegante residenza dell’arte de’ Rigattieri e Linajoli, il torrione degli Ubaldini, poi una serie di stradicciole strette fra le vecchie e severe mura dei palazzi, e delle case dei Da Castiglione, dei Capon sacchi, degli Amieri, de’ Da Cignano, de’ Malegonnelle, de’Lamberti, de’Cavalcanti, de’ Siminetti, dei Della Sannella, de’ Bostichi, de’ Benzi. E sovrastanti a’palazzi ed alle case le vette delle torri che denotavano la po tenza e la magnificenza delle famiglie che ebber qui le loro antiche dimore.

In questo gruppo avrebbero figurato una chiesa quattro o cinque palazzi, sei o sette torri, delle case caratteristiche e quattro differenti tipi di residenze di arti: quelle de’ Medici e Speziali, de’ Rigattieri, degli Albergatori, degli Oliandoli. Ed a corredo, complemento e decorazione di questi edifizi tante e tante altre. Le residenze delle arti dei Medici e Speziali e degli Oliandoli erano comprese in un grande casamento chiamato comunemente il Dado dei Lamberti perché in origine era appartenuto a quella famiglia e poi le era stato confiscato quando il partito guelfo cacciò dalla città tutte le famiglie che erano a capo dell’opposta fazione. Anche questo gruppo di fabbricati è stato distrutto e trasformato. Nell’interno era uno stupendo salone con grandi pilastri adorni di capitelli e fogliami di elegante fattura e colla volta a decorazioni policrome. Il bellissimo stemma e gli stipiti scolpiti della porta dell’arte degli Oliandoli vennero trasportati nei locali di S. Marco dove trovansi altri frammenti di antichità raccolti nelle demolizioni del centro.

… Qualche cosa insomma di completo, d’unico al mondo, sicché poche città avrebbero potuto presentare un insieme più attraente e più interessante. Ed invece hanno buttato giù tutto senza misericordia, né riguardo! Ora una piazza né grande né piccola, con edifizi diversi per forma, per stile, senza un tipo che li accomuni e gli armonizzi, senza aver diritto ad esser qualificati per opere d’arte, delle strade diritte diritte, che s’incrociano ad angolo retto, con delle palazzine dal l’aspetto gaio, ridente, mescolate a dei casoni immensi, senza garbo, a delle case graziose, di buona e corretta architettura, ma sempre di carattere imitativo, senza slanci, senza nulla che attragga particolarmente, occupano lo spazio dove fu un giorno la parte più vecchia di Firenze.

Dinanzi a tutto questo sfoggio di modernità, parrebbe d’essere all’estremo lembo della città nuova, in un quartiere sorto sopra ad un terreno vergine, se per un caso strano, per effetto di una degnazione tutta speciale non si vedessero quasi spersi e vergognosi colle loro tinte annerite dal tempo, il torrione massiccio che fu in antico il palagio de’ Compiobbesi, poi residenza dei Consoli dell’Arte della Lana, una parte completata e raffazzonata di uno de’ palazzi dei Sassetti, nascosta in un angolo misterioso, la facciata del palazzo de’ Catellini da Castiglione.

Que’ poveri tre avanzi di un intero quartiere fanno l’effetto di que’ cartellini e di que’ tasselli che si sogliono murare o sulle mura o per terra, allo scopo d’indicare il luogo dove sorgevano edifizi: che non ci son più!

Da tutta questa distruzione non si sono salvati che pochi frammenti che interessano la storia e l’arte, dei modesti ricordi di bellezze e di opulenze tramontate, depositati oggi come in un ossario in alcuni locali dell’ex-convento di S. Marco, dove costituiranno un museo di memorie e di frammenti medioevali fiorentini.

Museo di San Marco

I pilastri e le colonne delle logge de’ Pilli, degli Strozzi, de’Tosinghi, degli Agli; le porte delle residenze de’ consoli de’Rigattieri, degli Albergatori, degli Oliandoli; delle finestre originalissime dell’antico Vescovado, gli architravi stemmati, le mensole leggiadramente intagliate; le tavolette dei camini; i colonnini delle scale e delle terrazze; i frammenti di fregi, di cornici; i capitelli ; i basamenti tirati fuori dalle rovine, offri ranno insieme alle collezioni di stemmi e di pezzi di decorazioni scolpite, un degno soggetto di studio dello stile e delle decorazioni medioevali. Anche più impor tante, perché più rara, sarà la raccolta di brani di decorazioni murali tolti prima di sotto alle replicate mani di tinta e poi sottratti alla general rovina: essi offriranno un esempio dei più preziosi, ed in questo genere unico al mondo, giacchè poco o nulla si conosceva fino a pochi anni addietro, in fatto di affreschi decorativi appartenenti ad edifizi privati. Così tutte le memorie del Vecchio Mercato si limiteranno a questa collezione di frammenti, sufficienti appena a dare un’idea della ricchezza e del sentimento artistico squisito che dominavano in tutte le costruzioni della nostra vecchia città. La raccolta di frammenti della vecchia Firenze è disposta nel chiostro grande detto di S. Domenico nell’ex-convento di S. Marco, nel gran corridojo e nelle celle dell’antico noviziato ed in altri locali annessi e comprende un numero straordinario di oggetti variatissimi. I resti di affreschi decorativi staccati da molte case, costituiscono un esempio dei più rari e più importanti ed hanno già suscitata la giusta ammirazione degli artisti e dei dotti italiani e stranieri.

Ricchissima è la raccolta di frammenti ornamentali di varie epoche che va dal basso medioevo fino al tempo del barocchismo, numerosissima quella degli stemmi. Con paziente cura si sono potute rimettere insieme in quei locali anche delle parti importantissime di antichi edifizi come due finestre dell’antico Vescovado, la stupenda porta dell’Arte dei Rigattieri, quella dell’Arte degli Albergatori, quella degli Oliandoli, dei camini, molte finestre, dei frammenti di logge, di scale ecc. Gli eruditi e gli artisti avranno un giorno preziosi elementi di studio e d’imitazione, framezzo a questa infinita quantità di oggetti che senza il buon volere e le cure di alcuni appassionati amici dell’arte e dei patri ricordi, correvano rischio di andare distrutti e dispersi, come pur troppo è avvenuto per talune cose sfuggite o sottratte alla sorveglianza degli speciali incaricati.

Firenze scomparsa: da sinistra la Piazza del Mercato Vecchio vista dalla Loggia del pesce, in alto a destra vista dalla parte del Duomo, in basso a sinistra La Loggia del Pesce, quindi la chiesa di San Salvatore e di Santa Maria degli Ughi, in alto a destra la lastra marmorea che ricorda l’antico alloggiamento della Loggia del pesce trasferita in Piazza de’ Ciompi

Vai a: Firenze scomparsa: Mercato Vecchio (parte prima)